(Vedi il riferimento: “E due…”: anno 2008)

Lieta di far parte di un nuovo gruppo di persone che non ha paura di esprimere la propria opinione e di pubblicare le proprie idee su carta stampata, mi accingo con doveroso ossequio ad applaudire la nascita del sandwich letterario composto da Conte-Marocco-Cucchi (prefazione-testo-postfazione) nato nel caldo mese di agosto in una Torino deserta, ma subito percorsa da un frisson irrefrenabile.

Evitando di commentare l’arrampicata sugli specchi di Giuseppe Conte – poeta che potrebbe anche permettersi di non essere manipolato così tristemente – voglio proporre un piccolo excursus nelle frasi (definirle poesie mi sembra davvero eccessivo) dell’autrice.

“Ad Antonio Maria / il melograno al centro / del mio labirinto” sublime metafora nella dedica al marito dove fortunatamente l’albero sé movente non si è perso nel labirinto, ma ha fatto centro.

“Il mio cuore è vuoto” e fin qui ci siamo; “la mia testa è vuota” e anche su questo siamo d’accordo; “Solo gli oggetti vivono / in questa stanza, intorno a me” e qui dovrebbe esserci una piccola nota esplicativa: siamo in pieno animismo o è una presa di coscienza che tutti gli esseri viventi vengono considerati come oggetti di contorno?

”Il libeccio soffia impetuoso / alimenta i fuochi dell’isola /fino a notte” è un soffio lirico davvero indimenticabile: puntuali riflessioni meteorologiche al servizio della cultura!

Non poteva mancare Istanbul: le “Pantofoline rosse di seta / dalla punta aguzza / per camminare soffici / nelle alcove azzurre / di un palazzo ottomano” già presenti in “Nuvole di nulla” farebbero squittire di gioia Ferragamo, Dior, Gucci e qualsiasi imprenditore del ramo calzature.
Da sottolineare che sull’abbigliamento l’impegno è notevole ”Si chiudevano nelle loro stanze, passi e bisbigli / poi le porte si aprivano silenziose / le gonne di raso e taffettà frusciavano sulle scale / uscivano, lei sedeva nel riquadro della finestra/ davanti alla grande Montagna Bianca / Lo sguardo si apriva come la corolla di un fiore / un giorno il suo corpo goffo di bambina sarebbe diventato flessuoso, / allora avrebbe indossato quegli abiti fruscianti come la madre e le zie, / un giorno….”.
E ancora “Indosso bene l’infelicità / come un abito su misura / mi dona, ha il colore del pomeriggio / è morbido e aderente / leggero e caldo, lo infilo in un attimo / toglierlo fa molto male”. Domanda: ha provato a far scendere la cerniera lampo?

Inutile insistere: la difficoltà nel trovare un risvolto poetico in qualsiasi pagina (63, per lo più bianche o cosparse di qualche riga per un totale di E.13) ci spinge a chiedere pietà alla Mondadori, affinché smetta di invadere il mercato con opere di cui nessuno, a parte pochi fruitori ma non dell’opera stessa, sente la necessità: a meno che le agevolazioni sull’acquisto delle rotative da stampa Cerutti non sia così consistente da equilibrare l’ecosistema della prestigiosa casa editrice.

Un applauso dunque per la dimostrazione di potere al servizio dell’indecenza!

Excalibur
Febbraio 2012

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