copert_lazzarini_2016Paola Lazzarini

IN QUIETA SOLITUDUNE

Poesia

Effedì Edizioni

 

 

 


IN QUIETA SOLITUDINE
di
Paola Lazzarini

Sono passi di luce a muoversi discreti ed eleganti tra le pagine del nuovo lavoro di Paola Lazzarini. All’ormai consueto andamento composto e armonioso si aggiunge una tensione esistenziale e spirituale di grande intensità.

La tematica e la disposizione della ricerca sono costanti, da quell’incipit potente che è Inquieta cerco (“Cerco”) a quell’altro viscerale e plastico A volte mi attraverso (“Sull’acqua e sulle foglie”): scavo interiore prima di tutto, analisi attenta e precisa dei moti inquieti dell’anima, ma anche, inscindibilmente unita, ricerca dell’Altro, di Colui che muove ogni atteggiamento, ogni senso, ogni gesto. La prima sezione è dunque un cammino intimo verso le fibre più profonde, cammino meditativo e assorto, immerso in ampi spazi di solitudine: è qui che prende comoda dimora l’ascolto fine dell’interiorità, è qui che si possono udire tutte le voci, i canti, i sibili più sottili. Nella prima sezione in particolare il senso dell’udito assorbe quasi totalmente la percezione. E non è solo questione di lessico il ritorno insistito di parole come vento, parola, canto, silenzio.

In tale scenario, in tale sfondo sonoro ed emotivo si rintracciano passi biblici familiari: certamente il sussurro di una brezza leggera (1Re 19,12) in cui il profeta Elia riconosce la presenza di Dio; basti ricordare al frusciare del vento /per trovare il cielo (“Cerco”) e ma meglio ti ho sentito / nel fremere silenzioso /di inquiete ali di farfalla (“Ali”). Ma riecheggiano anche le parole di Cristo nel Vangelo secondo Giovanni: Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce (Gv 3,8). E le parole che seguono costituiscono per la lettura della raccolta un ulteriore appoggio: …ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito.

In effetti ogni ascolto è per Paola Lazzarini tensione all’essenza intima della realtà materica, metafora di scavo interiore e intuizione, per quanto incerta e intermittente, della presenza di Dio: La campana echeggia/sulla roccia che rimanda il suono / la Tua Parola, il canto (“Sentiero”); Qui ascolto/ passi di silenzio (“Al varco”); io sono Voce senza corpo (“Attimi”).

Chi compie il cammino verso il Senso e la Voce non può non incontrare, e non fare i conti, con la verità di sé, e dunque con il proprio limite, la debolezza, la fragilità, la pena. Su questi passaggi sofferti Paola Lazzarini scrive forse i versi più caldi e accorati: Il mio respiro è tempesta (“Tempesta”); Che fare della buia pena /pietra inutile /ansia d’amore intimidita /da fragili parvenze… (“Parvenze”)
Ma proprio qui, nella verità disarmata di sé, nell’intuizione, e nella fede, l’autrice esprime forme spirituali molto alte, rivelando una relazione profonda con Dio, lontana dalla commiserazione, dallo scoraggiamento, dal senso di sconforto buio, di disperazione: la buia pena è piuttosto via, tessuto di relazione.

Tanto che lo stesso dolore si trasforma in offerta, in dono, in occasione preziosa per una nuova vicinanza a Cristo: dono alle Sue mani trafitte / e sarà stelo e fiore (“Parvenze”), e ancora, in un bagliore che riscatta ogni oscurità, quale dono portare / alla tua nudità / se non tutto il mio nulla / e il mio peccato (“Epifania”). La relazione, l’intimità e la fiducia sono così grandi che l’autrice giunge a offrire se stessa per consolare Cristo ( in un anelito comune a grandi mistiche, tra l’altro): Ti offrirò, lo prometto, /la mia spalla per piangere, /ti consolino queste mani /ardenti d’infinito. (“Se le nuvole”)

Il continuo e alto orientamento a Dio non si limita a una dimensione privata, esclusivamente interessata di un puro cammino interiore: la pena, lo sguardo, la preoccupazione e l’abbraccio sono dilatati sul mondo, a partire da una dimensione che ha qualche cosa di cosmico: Quanto umano dolore /può contenere un giorno? / E quanto il Cielo /che vuoto echeggia di lamenti? (“Misura”). E se il dolore è di tutti, lo è in misura “scandalosa” quando è dolore di bambini. A loro l’autrice dedica più componimenti, con una vicinanza estrema, quasi corporea: Finchè io viva, mai dimenticarti… /ecco ti sono madre. (“Ad Aylan, profugo bambino”). E’ poesia di affetti quella di Paola Lazzarini, e lo è soprattutto in questi ritorni di inquietudine, senso della maternità, abbandono in Dio: Tra le tue braccia cullami, Signore, / quando mi coglie l’ansia del mattino, /come una nuova mamma che riceve /dalle mani di un altro il suo bambino (“Cullami”).

Se nella prima sezione prevale il senso dell’udito, canale prezioso per l’ascolto interiore e l’accesso al divino attraverso l’interiorità, la scoperta della sua presenza nelle corde più intime dell’animo, la seconda sezione è pervasa e intrecciata di luce, luce che disvela il senso e il ritmo del tempo nelle feste della cristianità. Qui la via a Dio è la Rivelazione, e dunque il calendario liturgico, la celebrazione dei misteri luminosi della fede. Non si tratta però di descrizioni aride o di imitazioni ingenue di generi rituali: ancora una volta è l’indole riflessiva personalissima a dettare i versi, a porre l’attenzione su dettagli che divengono incandescenti e rischiarano il senso del tutto. Ciò avviene specialmente nei riconoscimenti del divino, come nell’angelo in blue jeans che affretta silenzioso il passo / sfiora le mura / della cattedrale /la ghiaia dei sentieri /che non scricchiola. (“Un angelo”).

I rimandi alla più alta spiritualità si fanno qui ancora più nitidi – difficile non ricordare la lirica di Giovanni della Croce: Sorgente di tutte le sorgenti / amore di tutti gli amori /luminoso buio, oscura luce (“Sorgente”). Anche qui, come nel grande santo e poeta, ossimori da capogiro per dire l’inesprimibile.

Ed è interessante considerare la compagnia di cui Paola Lazzarini ama circondarsi: grandi mistici insieme a grandi poeti -certo Ungaretti e Montale, ma in molti passi anche una poetessa minore eppure tanto cara all’autrice come Bianca Dorato. Agli uni debitrice di grazia, agli altri di “forma di grazia”, nella compostezza alta della versificazione, asciugata di ogni parola inutile, essenziale, levigata, pulita, in un’armonia mai stucchevole di abbondanti ma discrete figure di suono -perfette per l’ascolto- e in una proposta felice di luci sui significati più alti.

Alfonsina Zanatta
Dicembre 2016

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