“L’etica dell’acqua” di Giuseppe Manitta
(Avaglianopoesia, Roma, 2021)

…..Partiamo dalla fine. E’ dall’approdo che comprendiamo il senso del viaggio.

Non avere una geografia
significa avere tutto,
avere l’arte di creare cose che non ci sono,
godere della gioia della perdita
prima ancora dell’approdo
e soffrire per un porto mai raggiunto.
Sognare sempre. (pag.87)

…..Questa la poesia che chiude la raccolta, che guarda a specchio quella che la precede

Riscattare il silenzio
per contare gli angoli delle vie
e raccontare la biografia dei riflessi.
E’ forse questa la follia
il tradimento di se stessi?
Le topografie non hanno
una sola dimensione,
sono mappe degli istanti
e noi una di loro.
La necessità della migrazione
è rifiutare il punto fermo,
è riconoscere l’eresia dell’approdo. (pag. 86)

…..“L’etica dell’acqua” è un libro che si concentra sulla presa di coscienza della necessità del viaggio, della migrazione intesa certo come spostamento da un luogo all’altro, ma anche come ricerca di stessi. L’acqua è qui metafora e elemento reale al tempo stesso, è principio filosofico come pensava Talete ed è il concetto sociologico della “società liquida” di Zygmunt Bauman. L’acqua è anche l’elemento fluido per definizione, forma del transito perenne.

…..Per Manitta dunque la chiave del nostro esserci sta proprio nell’acqua, universo che sintetizza la contemporanea esigenza di un punto fermo e, nel movimento, la necessità di non fermarsi. Manitta auspica, con la sua poesia, un ritorno “all’etica dell’acqua” per recuperare un, sia pur complesso e difficile, equilibrio tra stabilità e movimento.

…..L’origine del viaggio può risiedere nel senso di inadeguatezza, nella necessità di cambiare la nostra condizione, in una “disappartenenza”, magari anche dolorosa. Ma si può essere “liquidi”, e quindi in costante movimento proprio nell’appartenenza a tutto: questo è quel che spera il poeta.
Si tratta, per Manitta, di cambiare punto di vista: l’acqua ha la capacità di attraversare le “geografie” con il suo flusso, anche quando sembra apparentemente statica, l’acqua cambia forma e si adatta. Noi possiamo essere come l’acqua: consapevoli che il nostro destino storico ed esistenziale è quello del viaggio per vivere appieno il nostro appartenere ai luoghi, alle persone, alle cose che abbiamo incontrato e al tempo stesso a nessuna di loro. In tal senso la sua poesia assume un senso “civile” inviandoci a prendere coscienza e conoscenza della nostra relatività, della nostra identità mobile segnata da confini sfumati. E mi viene da dire che non si deve dimenticare che Giuseppe Manitta è siciliano, e come tale sospeso, ontologicamente e filogeneticamente, tra l’ancoraggio alla sua isola e l’esigenza di cercare altrove la propria realizzazione, senza perdere di vista le radici, ma con la mente e lo sguardo sempre altrove.

Non per tutti l’attesa si ferma all’approdo.
Quella era la stessa acqua di ieri,
ma la pazienza del vuoto insegue
un riempimento,
poco conta quale sia l’inizio.
Poi ogni strada, ci accorgiamo,
non ci appartiene.
Per questo migriamo continuamente
in noi stessi
e nella cronologia di nebbie
che non possiamo conoscere.
Eppure, conquistare il pontile
significa catalogare le origini. (pag. 85)

…..Non poteva essere detto con maggiore chiarezza. La poesia di Manitta è, in questo libro, “diversa” da quella a cui ci aveva abituato. Resta il lampo lirico, l’attenzione-tensione per l’istante del precedente “Gli occhi non possono morire” (2018), ma qui si fa largo una visione più “pensante”. Alla presa diretta dell’istante si aggiunge la riflessione meditata, persino filosofica. E come si è visto, la poesia appare come lo spazio del dubbio che è il motore della coscienza e della primordiale curiosità della conoscenza del mondo e di se stessi, senza presunzioni ma con la forza dei propri limiti.

…..Giuseppe Manitta, è anche uno studioso, caporedattore della rivista «Il Convivio», autore di saggi e articoli per riviste specialistiche e di monografie: egli è abituato alla riflessione critica. In L’etica dell’acqua si sofferma a riflettere, ad immergersi nella modernità alla ricerca di quanto possa condurre e provocare per l’io la perdita di una forma originaria, e arriva a cogliere la propria inconsistenza all’interno di un divenire che scorre, e che è materia fluida. E da qui cercare una via d’uscita. Siamo obbligati alle traiettorie e prospettive di una visione parcellizzata e sempre mutevole, in una società appunto liquida. Manitta, che canta dell’acqua “verticale” e “orizzontale”, trasparente e cristallina in una polimorfia di esempi e prospettive, ci dice che è nel cambiamento la nostra condizione, nella migrazione la possibilità di salvezza e tuttavia rivelazione della propria inconsistenza.

L’etica dell’acqua è la nostra inconsistenza.
La ricerca di una purificazione
si capisce solo dalle parole
………che non si possono leggere,
eppure scavarle per la strada avrebbe un senso.
Sì, scegliere proprio una trazzera
piena di buche e separare il fango
dai ciottoli, raccogliere l’acqua
con le mani, spostare le pietre più grosse,
modificarsi nel plasma della Creazione.
Se tracciamo un solo rigagnolo,
vedremo l’acqua scorrere e farsi limpida.

Nell’istante della chiarezza
accogliere noi stessi nella migrazione
fino a scegliere la geografia della salvezza. (pag. 80)

…..È l’acqua che dunque rivela l’eresia dell’approdo, l’impossibilità di fermarsi in una forma definita. Si avverte in questi versi il bisogno di autenticità così non viene meno l’aspirazione all’altrove che spinge l’uomo ad autodeterminarsi, ma resta la nostalgia della perfezione anche espressa dal poeta nella lontananza da Dio e dal dio, in senso lato.

…..Perché la purificazione non può che avvenire nella conferma della condizione di provvisorietà ed è il sogno a darci la possibilità-illusione del completo possesso di sé.

…..E’ il dramma della frattura dell’identità (arci-tema novecentesco) che anima i testi di Manitta: «Non riusciamo più a chiamarci / ma indichiamo solo pronomi / per la paura di tacere» (pag. 81) ed è l’immedesimazione con l’elemento liquido a dare il senso: «Sotto la risacca / la superficie è identica / e non serve a nulla guardare, / perché basta chiudere gli occhi / per vedere le ombre e con queste la luce […] le onde, loro portano alla riva / il cigolio dei morti, consapevoli / che quando andranno a sbattere / su Capo Pizzuto / solo l’aria sarà sola erede. / Bevendo quell’aria siamo un po’» (pag. 17).

…..Come si sarà notato, lo stile è discorsivo, ma calibrato, la lirica emerge dal tono sommesso, meditativo, ma Manitta sorprende per il tono definitorio e filosofico che segna i suoi testi in questa raccolta. Cosa che, appunto, fa da contrappunto, al senso di instabilità e precarietà dell’esistenza che viene descritta.
Si capisce che per Manitta, la poesia è uno strumento di conoscenza o comunque di presa di coscienza (cfr. pag. 15). Così i suoi testi abbondano di tentativi di “approdo” attraverso la continua ricerca di una zeppa cognitiva e definitoria: ”… e le ombre sono intatte. / Ora nessuno sa dove stanno./ E’ la benedizione del vuoto” (pag. 18); – “La consuetudine è il tradimento della sostanza … come il dolore che non chiede mai/ una vita sola” (pag. 19) – “la verità sta negli angoli, / prospettiva e assedio degli sguardi” (pag. 20) – “ crepe e i turbamenti delle discariche/ sono l’anima delle cose” (pag. 21) e si procede con “il tradimento del vuoto” , “l’inquietudine dei frammenti” – “ Siamo un’eresia fatta di rassegnazione” – “La parvenza è una successione/ di piani inclinati,/ è l’estasi del fallimento” – “La guerra è un soggetto di larve…/ L’abbaglio del tempo è credersi infinito” – “Non è luce/ è la paura di vedersi/ nell’inganno della Creazione” – “Siamo una litania di particelle”.

Non esistono angoli assoluti,
ci sono prospettive che guardano
alla forma che vogliamo:
esseri imperfetti che hanno senso
chiamandosi per nome.
Questo resta: uno spazio che non è tutto
E l’impalcatura della resa.

Era bello non saperlo,
escludere il pensiero persino dei numeri
sempre gli stessi almeno in superficie. (pag. 37)

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Giuseppe Manitta è autore di alcuni studi di italianistica. Ha curato i volumi Carducci Contemporaneo (2012) e Boccaccio e la Sicilia (2015, 20162), inoltre si è occupato del petrarchismo cinquecentesco di Antonio Filoteo Omodei.
…..Tra le pubblicazioni principali si ricordano: A partire da Boccaccio (Mursia, 2005, 20107); Noi e il mondo. La novella italiana da Pirandello a Calvino (Mursia, 2007, 2012); Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (1998-2003) (Il Convivio, 2009); Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (2004-2008). Con appendice (2009-2012) (Il Convivio, 2015, 20172); Mihai Eminescu e la «letteratura italiana» (Il Convivio, 2017).
…..Ha tenuto conferenze in diverse università italiane e straniere. È caporedattore della rivista “Il Convivio” e collabora, inoltre, a varie riviste specialistiche, tra le quali “La Rassegna della Letteratura Italiana”, “OBLIO”, “Zibaldone. Estudios Italianos”.
…..Cura la bibliografia leopardiana del “Laboratorio Leopardi” dell’Università La Sapienza di Roma. Di poesia ha pubblicato “L’ultimo canto dell’upupa” (2011, con premessa di Giorgio Barberi Squarotti e introduzione di Carmine Chiodo) e “Il giullare del tempo” (2013, con prefazione di Francesco D’Episcopo). Nel 2018 ha pubblicato “Gli occhi non possono morire”; il suo ultimo libro di poesie è “L’etica dell’Acqua” (2021) Avagliano Editore.

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