“L’isola dei topi” di Alberto Bertoni
(Einaudi, Torino, 2021) 

…..L’isola dei topi potrebbe rappresentare la sintesi dell’opera poetica di Alberto Bertoni. Chi non conosca questo autore e voglia a lui avvicinarci, troverà in questo libro tutto ciò che serve. Il titolo può inquietare e per molti versi è a prima vista enigmatico. Il poeta stesso ha però chiarito, in diverse occasioni, che il riferimento è autobiografico: sin da piccolo egli ha avuto dimestichezza con le creature dei canali e prime tra tutti i topi, liberandosi da ogni sentimento di repulsione o di timore. L’isola dei topi è quindi il luogo dell’infanzia, della memoria, ma è anche metafora di un mondo a parte, di uno spazio-tempo simbolico di cui fa parte, probabilmente, la stessa poesia.

…..Sette sono le sezioni che compongono il libro e che costituiscono le cornici, spesso intersecate tra loro, dei temi chiave e che sono stati presenti in modo costante nella scrittura in versi di Bertoni: Alberi e bestie, Case, Milieu, Avvistamenti, Brindisi e dediche, Was war (Ciò che è stato), Canalchiaro.

…..La prima sezione Alberi e bestie si apre con la bella poesia intitolata Metamorfosi – dedicata dal poeta a sua moglie. Bertoni ha pubblicato il volume Ricordi di Alzheimer (in tre edizioni del 2008, 2012, 2016, pubblicate da Book Editore, accompagnate da una lettera in versi di Francesco Guccini oltre che da una nota critica di Milo De Angelis.) in cui ha raccolto le poesie sulla malattia patita dalla moglie: “E così, rimanendo tali e quali, / fruste di salici, ali/ potremo all’infinito ricordarci” (pag. 5).
La poesia in questione è toccante e molto autentica. Così già in questa prima sezione sono presenti tutti i temi cari a Bertoni: la memoria, appunto, la riflessione sulla lingua, il mondo autobiografico degli affetti, le città, le storture del presente. I temi sono passati in rassegna con ironia, lucida immaginazione, tenero senso melanconico, e con un linguaggio pulito, talvolta discorsivo, ma sempre adeguato, paradossalmente “alto” anche quando si sofferma su aspetti quotidiani. Un linguaggio, quello di Bertoni, che sa incorporare passaggi e lemmi del quotidiano, di uso impoetico ma che il respiro, il ritmo, la cadenza musicale della sua poesia sa trasformare in qualcosa di più elevato di fronte a cui non si resta indifferenti.

…..Così Bertoni ci avverte: “Tieni conto che nel giro di un secolo/ avremo il mare a Modena” (pag. 6) e che “il gabbiano atterra nel fossato/ mezzo secco, impantanato/ e il guaio è che il fossato/ è più di cento chilometri lontano/ dal tuo esserci o no/ a guizzare elegante/ tra le pieghe bianche/ dell’Adriatico che ami” (pag. 7). Questa natura etica della poesia di Bertoni si sposa magnificamente con la sua naturale attitudine all’osservazione, alla capacità di registrare gli eventi traendone materia poetica: Si veda quando scrive “Persone senza voce aspettano/ ai bordi di questa natura felice/ gente qualunque di cui non conosco/ età, provenienza, radice/ (pag. 9) con passaggi di immagini che ricordano i quadri di Edward Hopper. E si veda ancora. “La chitarra non ha suono/ e il mondo è malridotto/ qui, nel mercato di Ferragosto/ dove al bordo di me stesso/ mi accampo, esito,/ trascorro/ fra un pensiero buono/ e un altro disastroso/ intanto che mi muovo/ dal banco dei formaggi al monticciolo/ di cipolle rosa” (pag. 13).

…..Bertoni è dunque capace di trasformare ciò che è normale in qualcosa di diverso, qualcosa che inquieta, che ci obbliga ad una fermata, ad una riflessione creando atmosfere sospese pur appoggiandosi su dati di evidente quotidianità. E’ lo sguardo attento della poesia, della lingua poetica a compiere questa metamorfosi: “lingua che parli la ferita/tragica e perversa/ romantica e vitale, / molto più grande/ del mio corpo incapace di migrare/ dove l’aria è della migliore/ sfumatura verderame” (pag. 11)

…..La seconda sezione Case è in realtà piena di cose e di animali. E’ un modo strano quello di Bertoni, un mondo apparente quieto, domestico eppure carico di energia nascosta. La memoria resta il motore del pensiero poetico che si misura con oggetti, persone e animali. Essa attraversa tutta l’officina poetica di questo autore e si connette con la sua concezione melanconicamente realistica della vita. “Come fantasmi, come multipli di zero, /come essenze del nulla, del non /essere che saremo/ presto/ Vili materie e tracce/ tutto sommato umane” (pag. 25) e oltre “Dalle cose, ho divorziato/ le compro, mi cadono, ne rompo/ l’involucro e via/ nel cassonetto… così mi adatto a conquistare/ l’assoluto non essere che sono” (pag. 26).
Ma ecco che scatta l’inatteso e come in un raccontino di Kafka (molto presente nel background letterario di Bertoni): “Ma come sanno vendicarsi, loro!/ Un inciampo improvviso del tono/ le scioglie nel più roco/ sprofondo di voce/ pretende che le cose/ conversino al mio posto/ dall’angolo di modo più remoto” (pag. 26). Si noti l’uso “narrativo” del punto esclamativo e il recupero poetico successivo nel tono, nel ritmo musicale. Bertoni, in altri passi, chiama poi in causa animali diversi: millepiedi, insetti, cornacchie e soprattutto la sua gatta Musetta cui dedica affettuosi versi. Gli animali non sono semplicemente descritti, ma entrano come a far parte del mondo umano, anzi ne sono specchio e metafora, come nella più solida tradizione letteraria.

…..Nella terza sezione Milieu il viaggio si snoda sempre attraverso i luoghi e le persone della memoria personale. Bertoni ci dice del nonno Geminiano, degli incontri col poeta e scrittore Michel Kruger come con i semplici passanti al mercato, e ancora con il mendicante di San Francesco descritto con ironia e la giusta dovuta dose di pietas. Ma è Modena, città-madre del poeta, ed i paesi attorno a Modena stessa, ad essere al centro del percorso. Modena è citata, raccontata, nominata dettagliatamente nella sua sostanza e nella sua toponomastica: Piazza Grande, Il Duomo, Piazza d’Armi, Viale Amendola e Via Sassi, fino all’esplicita dichiarazione d’amore: «Modena mi piace / nel cielo di cemento e nel cotto / dei muri che sopravvivono / per le strade un po’ storte del centro».
Il dato poetico è che Bertoni affila lo sguardo, solleva le sue antenne e coglie, con sobrietà e precisione, senza scivolamenti languidi, i dati nascosti del paesaggio e mette in rilievo evidenze nitide: “Il paesaggio è come sempre /nel mio sguardo/ e racconta di acque/ tremolanti fra le piante/ tutt’attorno al perimetro/ oggi solo immaginario/ di un lungo lontanissimo peccato (pag. 49).

…..La sezione successiva è Avvistamenti e il viaggio continua cercando sempre nuovi punti di vista sul mondo che è sempre una “questione di angolature”. E ci si perde tra Arcoveggio e i magnifici cieli di Parigi; ci si attarda sulle sue pagine perché scrive “mi commuove la legnaia/ a bordo di sentiero/ ordinata e lontana da ogni altra/ traccia umana” (pag. 62) e ci si culla nel piacere di “misurare le distanze/ nella calma di un tempo uguale, /al diavolo la fretta, / il dover essere puntuale, / e imbattersi in un cenno di saluti/ fra le case” (pag. 65).

…..La poesia di Bertoni si nutre così anche di trame interpersonali in cui la poesia può spaziare con delicata cura, con sommessa discorsività poetica . Ma così facendo Bertoni non perde di vista anche un altro intento: L’isola dei topi è un libro che vuole esprime il senso del limite. Bertoni da un lato ci tranquillizza con le sue immagini pacate, ma dall’altro lato percepisce, sente, e ci svela il nostro confine, i nostri limiti nello stare nel mondo, del nostro essere in bilico tra la vita e la non vita, tra il quotidiano e l’abisso, l’umano e il bestiale. Questo limite è segnato stilisticamente anche dai versi spesso interrotti da enjambement o delimitati da una linea sonora del canto poetico, sostenuto dall’uso di assonanze, consonanze di cui Bertoni si serve con abilità ed eleganza.

…..Brindisi e dediche è una sezione coraggiosa. Perché non è facile costruire una lunga sezione tutta dedicata a incontri personali, a ricordi occasionali, a ritratti di amici perduti, con dediche a personalità varie ( Francesco Guccini, Claudio Lolli, Giancarlo Sissa, Gregorio Scalise e Michela Turra, Alberto Cappi, Maurizio Cucchi, Daniele Del Giudice, Nanni Balestrini per citarne alcuni) che fanno parte evidentemente del milieu bolognese del poeta. E la cosa più difficile è riuscirci mantenendo un livello di scrittura che non cada nel retorico, nel già letto e sentito. Bertoni pare riuscirci grazie alla sincerità del suo approccio, al mestiere certamente, ma anche per la forza straniante della sua poetica che gli permette di sollevare il prosaico della vita a domanda sul senso della vita stessa: “Sei sicuro che una fonte canti/ e che il fiume fuggendo/ senza più fiato fra gli alberi/ pensi come noi di arrendersi/ agli argini tremanti, ai soprassalti/ delle lanche in amore/ mentre ci aspetta, immobile, una foce?” (Su una foto di Ghirri, pag. 82)

…..Una delle sue ossessioni, condivisa da molti poeti, è forse quella di lasciare la traccia. Forse l’attenzione per la memoria e per le persone che incarnano la memoria stessa, per quelle piccole storie che s’incuneano in quella più grande di tutti noi nasce in Bertoni dall’idea che nulla va lasciato andare a male e che recuperare il senso di ciò che è stato è uno dei compiti della poesia. E’ questo il tema di Was war (Ciò che è stato) sesta sezione del libro che già nel titolo ha un chiaro rimando a Paul Celan, con tutte le implicazioni necessarie e dolorose che riguardano la storia del Novecento e l’orrore dell’Olocausto che ha tragicamente segnato la vita del poeta rumeno. Ed anche qui numerosi sono i richiami, le citazioni, le dediche agli scrittori, fari nel buio che illuminano il cammino: Kafka, Melville, Larkin, Sereni… e molti altri, dai maestri della letteratura agli amici scrittori, docenti colleghi, compagni di strada e di vita.
Ma questo è anche il capitolo dei topi. In quasi tutte le poesie della sezione si presentano i topi e la poesia di apertura ci riconduce al fatto che i topi sono parte della biografia del poeta e nella poesia Genesi egli fa il proprio autoritratto: “Figlio di una cooperativa anonima/ e di qualche stranissimo incantesimo/ racchiuso in una storia morta e sepolta/ ma alla fine più vera del vero/ se gli chiedi qual è il bilancio/ lui ti parla di topi/ osservato da bambino senza schifo/ lì, fra le canne dei canali/ sulle cui rive è nato” (pag. 104)

…..Ed è da quest’isola dei topi, spazio-tempo mitico dell’infanzia, luogo primigenio della memoria che il poeta ci scrive: “Guardo tutto dal faro/ i gradino scoscesi, la fila dei giorni/ intanto che il mio saluto/ e qualche bacio accoglie/ dall’isola dei topi” (pag. 105).
Il senso dell’appartenza ad un luogo rivela una volta di più la sua centralità nella poetica di Bertoni. Abbiamo tutti bisogno di una radice, sempre, ovunque: “Ottobre del ‘69/ e me quattordicenne senza cielo/ di reticolo di tane prigioniero/ un autunno di topi nel pensiero” (pag. 106). I topi, metaforicamente, sono come un logo poetico che ora accompagna il poeta nel viaggio dentro se stesso: “Vedo l’altro me stesso/ non allo specchio ma dietro/ un parabrezza cieco/piegato sul volante/ contro l’ultimo raggio/…. E tu ruotando/ preciso lo sterzo/ sistemi le ruote in parallelo/… rifugio a quel punto la tua auto/…. dell’agguato/ di un topo temerario” (pag. 107).

…..Presenza inquietante è anche il topo “sagoma che s’infila scura” (pag. 108), richiamato da uno scricciolo morto “essere corpo/ per la fame del topo/ Un delitto notturno/ microaccidente assurdo/ nell’ordine del cosmo” (pag. 109), esseri nascosti “chiusi nelle tane di un altrove” (pag. 110), che il poeta non teme perché come detto sono parte della sua infanzia e di cui si chiede “dove saranno i topi di ieri sera/ con la pioggia che scrosci/ leggera?”(pag. 116) o cui traccia un profilo delicato e ironico “Non so perché in francese/ topo e sorriso quasi coincidono/ souris, sourire/ ( 118) poesia che poi si chiude coi versi: “Mi piace immaginarli/ nel vibrare sciolto/ di ogni muscolo del corpo/ circospetto ma pronto/ al più rapido scatto/ faccia a faccia/ primo o dopo/ il nostro ego scosso/ e loro” (pag. 118). Fino a immedesimare gli uomini coi topi stessi: “Puri ciarpami/ noi stessi nei nostri/ involucri di corpi/ seduti scomposti/ in tasca due biglietti irregolari/ nanosecondi di topi benestanti/ o quasi” (pag. 124).

…..Chiude il volume Canalchiaro, un brano in prosa che per così dire spiega tutto il libro. C’è il riferimento allo straniamento come chiave della poesia novecentesca cui Bertoni s’ispira, c’è di nuovo Modena città-madre solcata da canali lungo cui il poeta ama passeggiare come faceva sin da bambino. Ci sono naturalmente i topi che sono qui evocati anche sulla base di un fatto di cronaca: un’impresa edile, facendo lavori di ristrutturazione, ha picconato il pavimento di una cantina e da qui è emersa un’orda di topi che ha travolto i malcapitati operari. E c’è il ricordo degli affetti familiari espressi dal passaggio alla casa materna e il ricordo della peste del 1630, quella del Manzoni, che ci riporta ai giorni del virus, dell’epidemia che stiamo ancora attraversando. E le parole conclusive del poeta sono illuminanti: “E allora non posso fare altro che aggirarmi ancora un poco, orfano ed estraneo, in questo mondo di topi a frotte, figlio girovago a rischio di contagio che rimane a tutt’oggi misterioso e ancora privo di orizzonte e di utopia”. (pag. 128).

…..Siamo di fronte quindi ad un libro importante, complesso ma al tempo stesso lineare e coerente che ci dice come sia possibile fare ottima poesia utilizzando tutti gli strumenti tradizionali della poesia novecentesca riuscendo ad evitare di cadere nella ripetizione, evitando il deja vu di tanta poesia narrativa che tanto fiorisce a cavallo delle metropoli lombarde e le campagne emiliane.
Con questo libro Alberto Bertoni raggiunge il climax della sua produzione poetica che lo consacra tra uno degli autori più importanti del presente capace di creare un ponte originale e solido col passato più fecondo della nostra poesia.

…..Stefano Vitale

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Da L’isola dei topi (Einaudi 2021)

Dalla sezione ‘Alberi e bestie’

Metamorfosi

Una delle prime cose che farò
quando tutt’e due saremo alberi
sarà dimenticarti
ma senza whisky e senza psicoanalisi

No, saprò dimenticarti
donando le foglie piú casuali,
ribelli, irregolari
alle schiere di passeri sui rami
e – vedrai – saprò dimenticarti
come ho già dimenticato
gli immani soffi atlantici
le diastoli e le sistoli del mare
che si tende o si apre
di sei ore in sei ore
cosí che ogni giorno quattro volte
avanza e si ritira

Io e te con le facce come
cortecce di rughe,
buchi da sembrare tane
e radici del buio piú profonde
io e te saremo entrambi bravi
a dirci come siamo stati
portatori nel complesso sani
d’abbandoni e resistenze

E cosí, rimanendo tali e quali,
fruste di salici, ali
potremo all’infinito ricordarci

…..***

Profezia

Tieni conto che nel giro di un secolo
avremo il mare a Modena

Un po’ alla volta dalla parte di Soliera
ma subito implacabile lambendo
Vaciglio Crocetta Madonnina
e la Sacca, in balía della sua danza,
di quella inesauribile risacca
Ma se è vero, pensa
quali e quanti stabilimenti balneari
sorgeranno nei quartieri eleganti
di Sant’Agnese e Buon Pastore
anche se per me, confesso
lo stesso non è bello
di qualcosa pensarmi spettatore
che vivrò solo da morto
non importa se nel Duemilaecento
o poco dopo…

E poi –
siamo sicuri che vorremmo
noi modenesi in piazza Grande una piscina
o – peggio – un re Artú sommerso
sul portale della Pescheria?

Altro per adesso non ho chiesto
casa d’altri sentimento profezia
perché il silenzio non è bianco
fra Ghirlandina e via Lanfranco
quando la pioggia oggi scivola sul marmo
come frusta di vento e malattia

…..***

Belle Arti

Le monde ou rien
la scritta d’oggi sul muro ridipinto
vicina a un’altra piú bella
Io ti credo sorella!
Ma, nel parcheggio,
un ordine
Lasciate libero il paesaggio, voi
ch’entrate cercando
la chiave universale del linguaggio

…..***

…..Dalla sezione ‘Milieu’

poesiafestival

Capovolgo la domanda
che il poeta tedesco Michael Krüger
pone a se stesso
di come sarebbe la sua vita
se non avesse visto il Duomo di Modena
e mi chiedo che vita è la mia
a vederlo tutti i giorni
il Duomo di Modena
La domanda non è retorica
perché basta fissarne delle parti
che il discorso sussulta, avanza a salti,
a un certo punto fa violenza alla sintassi
e vorrei che non Krüger ma tu
una nuova sequenza di frasi
cominciassi, invece d’incepparti
incespicare sui lati
piano piano scivolando negli anfratti
di questi nostri passi piú esitanti
tessuti d’una luce senza braci
liscia, pallidissima, carica di baci
Come mi piaci

…..Dalla sezione ‘Case’

Vecchi giochi

Dalle cose, ho divorziato

Le compro, mi cadono, ne rompo
l’involucro e via
nel cassonetto
oppure le sposto e le trasloco
di senso e di ruolo
come un vecchio gioco,
cosí mi sento l’uomo
piú adatto a conquistare
l’assoluto non essere che sono

Ma come sanno vendicarsi, loro!
Un inciampo improvviso del tono
le scioglie nel piú roco
sprofondo della voce,
pretende che le cose
conversino al mio posto
dall’angolo di mondo piú remoto

….***

…..Dalla sezione ‘Was war (Ciò che è stato)’

Nello specchio

Nello specchio stamattina ho visto
un sorriso che non conosco
Mi sono insaponato,
ho lavorato di rasoio
e alla fine ho ridato faccia d’uomo
al topo color cenere che sono,
i baffi vibratili sul naso,
gli occhi due buchi senza fondo
e le labbra aperte sugli spigoli
della chiostra di dentini dove esplodo
il mio squittio di primo buongiorno

Sarà che il mondo
è pieno di ambulanze, ma
– Nessun problema! – ho urlato,
non fosse per lo sguardo
intimo e privato
che dilapida anche adesso nel riflesso
questo gioco di ruolo del mio sogno

…..***

Salutz

Ogni giorno ricomincia
qualcosa di antichissimo
Enea che da Troia sbarca
dove il Tevere s’insala
Guardo tutto dal faro
i gradini scoscesi, la fila dei giorni
intanto che il mio saluto
e qualche bacio accogli
all’isola dei topi

…..***

Sera d’estate
Altroché se i topi esistono,
cara la mia
estremista dell’empatia,
veloci e disinvolti nelle svolte
sulle rive del laghetto
le code come fruste
fra le oche
Il topo capo è quello
che comanda l’assalto
e costringe a uno slalom
badanti e famigliole
cui non serve coraggio
per deviare mezzo metro,
arrancare nel caldo
Fuggo presto per schifo, lo ammetto
e mi dichiaro vinto
risucchiato nel coro
dove ombre e memorie
te le cantano loro

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…..Note sull’Autore
…..Alberto Bertoni è nato a Modena nel 1955. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni saggistiche: La poesia contemporanea (il Mulino 2012), Poesia italiana dal Novecento a oggi (Marietti 2019), Una questione finale. Poesia e pensiero da Auschwitz (Book Editore 2020).
…..Per Einaudi ha pubblicato L’isola dei topi (2021). Come poeta in proprio ha pubblicato diverse raccolte confluite poi nel volume Poesie 1980-2014 (Aragno 2018).

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