“Nature reversibili” di Emilia Barbato
(LietoColle, 2019)

…..Emilia Barbato è l’autrice della raccolta “Nature reversibili”, uscita nel 2019 per LietoColle nella collana I Giardini della Minerva a cura di Maurizio Cucchi. La raccolta è suddivisa in quattro sezioni: Il vento, Stormendo, Nel nome e nel corpo del porfido, Camille.
Scrive Maurizio Cucchi nell’introduzione: “È questo un libro che nella impeccabile compostezza della scrittura, nell’equilibrio della lingua e della forma, senza ricorso alcuno a effetti speciali o sottolineature enfatiche, riesce a coinvolgerci anche emotivamente. Emilia Barbato osserva il vento che passa tra le foglie creando una musica e una serie fittissima, a tratti misteriosa di corrispondenze interne a un mondo, quello di cui ci parla, con tanta sensibile delicatezza. Una poesia, la sua, dove entrano oggetti minimi (la camicia, il piumone, la tovaglia, “le povere cose: l’inizio / di una sedia, qualche foglio, / un quarzo rosa, / due miserabili candele,”) e figure della realtà quotidiana, ma anche del mito e della poesia o del cinema. Appare, ma quasi tenuto in ombra, un personaggio, in un habitat urbano di cui Emilia Barbato accenna svariate presenze. Appare l’amore, ma sempre in una estrema discrezione di pronuncia che è anche segno di una viva capacità di controllo morale delle sensazioni e delle emozioni, le quali, peraltro, si avvertono screziare, trascorrendo intense, il tessuto dell’esserci reale e naturalmente poi del verso. Appunto come quel vento che “passa veloce / nelle stanze dimenticandole”, ma che, non di meno, “porta un nome di cielo”.

…..Insomma, in mezzo a tanta poesia attratta inesorabilmente dalla prosa, dalla narrazione, che fa uso ampio di gerghi e glossari quotidiani, che ci inonda coi propri ricordi personali, che si specchia nella propria autobiografia proposta come forma universale dell’essere, ecco che Emilia Barbato cerca la poesia tout court.
Non che si perda in inutili ricerche linguistiche, in parossistici giri di parole, in neologismi o arcaismi comunque autoreferenziali e neppure si perde in formalismi respingenti. Nulla di tutto questo, nessun esibizionismo, ma una verticalità limitata (come ha notato Giorgio Galli in “Poetarum Silva”). Emilia Barbato segue il suo demone poetico che si nutre di situazioni sospese e di stati di allerta, e cerca di dare un nome a sensazioni improvvise, di darci conto dell’invisibile o per lo meno di ciò che tendiamo a non vedere. E lo fa con metafore discrete, con immagini calibrate e sfumate al tempo stesso, con un approccio quasi sacro alla scrittura, mai eccessiva, mai ridondante e mai neppure scontrosa o irritante per la sua asciuttezza.

…..La poesia di Emilia Barbato è un canto sommesso che tuttavia colpisce l’immaginazione di chi legge, che non mette l’io al centro di tutto (“Io sono la polvere, / il nonnulla che si lascia/ andare, la parte trascurabile”, pag. 46) e che utilizza la poesia per cercare un modo autentico di stare al mondo, al cospetto delle cose del mondo, di quelle essenziali, per intenderci. E così non stupisce il suo soffermarsi sul tema del vento, metafora dell’inafferrabilità del senso della poesia, forse anche metafora dell’amore, di cui abbiamo tuttavia necessità. Ci dobbiamo accontentare di cogliere i fenomeni restando al di qua dell’essenza ultima, ma solo sforzandoci di guardare oltre troviamo un senso a questo nostro restare da questo lato del vetro.

…..E così “Il vento” apre il libro: “è un bombo incastrato/ in uno sconosciuto” (pag. 15) e dobbiamo accettare di sentici dire “Cerchi una trappola per addomesticare/ il vento…hai a stento un fondo di caffè/ in una tazzina e un ricordo” (pag. 16) e ci resta il sapere che “hai un mulinello intraducibile sotto le dita, / l’erba e il suo passo cauto di formica” (pag. 17). Perché il “vento passa veloce/nelle stanze dimenticandole” (pag. 18). E così la nostra vita, l’amore e la poesia che l’accompagna. Tutto nel libro si gioca in questa dinamica tra aspirazione e ricaduta; tra desiderio di slancio e malinconica quiete.

…..La sezione successiva “Stormendo” ci mette a confronto con qualcosa di sacro: la natura, di cui facciamo parte e che incontriamo dento e fuori di noi, e che ha qualcosa di religioso. Ma non si tratta di una religiosità confessionale, bensì di una religiosità laica, umanamente cosmica. Nel senso che per Barbato ciò che conta è lo stupore dell’incontro con le esperienze della natura e della vita, cosa che ci restituisce il senso del nostro esistere: “la bellezza dice è un attimo /irreparabile” (pag. 23) e qui, in questa poesia, la natura è luce che ci rivela probabilmente un’immagine sacra “nella navata un fascio di luce/ lui flette la testa/”, ma al tempo stesso ci mette in comunicazione con l’universo: “la distrazione/ dell’universo me lo rende risospingendo/ dalle trame dell’ordine l’eccezione” (pag. 23).
E da qui inizia un viaggio tra la “musica di foglie”, “la forma liscia di un uovo” che è “la parola che scrivo” (pag.25): in questo gioco di rimandi con la scrittura riappare l’arte: “le nature reversibili/ di Arcimboldo brulicano/ di segreti che si fanno ponte/ dalla tua alla mia soglia” (pag. 27). Qui sta il nodo del titolo del libro: poesia, immagini d’arte, natura, sentimenti si confondo quali “nature reversibili”, specchi del nostro ininterrotto cercare, cercarci: “l’inchiostro fregi la carta/ come l’ala di un corvo il cielo,/ una macchia di blu, siedo, ecco/ la risposta muta di Dio a una preghiera” (pag. 30). E’ la forza evocativa di una estrema fragilità, quella della poesia, che costruisce un baluardo allo svanire. “tessi sogni nella notte con un filo/ di refe poi aspergi sposa la casa, / nel gioco imperscrutabile di Dio” (pag. 31).

…..“Nel nome e nel corpo del porfido” è la terza sezione. Qui si conferma l’intreccio tra religiosità, natura e amore che cerca di sublimare il dolore attraverso la poesia. E ora ci si affida alla scrittura “la sera sulle forme/ di un edificio è una parola/ mancata che risale la sua/ cuspide” (pag. 35) ora si afferma decisi “è un edificio religioso questo corpo” (36); ora ancora con un richiamo mitico “e Eva, prima donna, custodirà il desiderio/ nel cuore di una roccia” (pag. 37). Le parole chiave sono: voce, pozzo, sasso, luna, ghiaccio… l’atmosfera è più umbratile, melanconica perché, con un balzo verso toni e registri più quotidiani “solo che tu non ci sei ed è mattina/ e neanche scrivi: “ciao, come stai?” (pag. 42).

…..Chiude la raccolta la sezione “Camille”. Qui ritroviamo accanto al fluire lento ed elegante di emozioni e gesti, ricordi e squarci di paesaggio, creature animali e vegetali, ed accade qualcosa di nuovo. Il vento ora è voce archetipica, misteriosa lingua, canto universale degli uccelli, che Barbato convoca sull’albero della sua poesia. Come accade nel testo di apertura della sezione (pag. 45) con picchi rossi, codirossi, passeriformi, oltre agli alberi quali i tigli e i platani. E il suono tende al silenzio e, dunque, alla radice della poesia: “pomo, ponte sia/ da te a me lingua, parola, / bocca, aspirazione roca/ di una bacca intradotta” (pag. 49).
Ma ci sono altri esseri che misteriosamente appaiono inqueti: “qualcosa si agita in fondo, /una biscia, una lisca, una lince/… (pag. 47) oppure vediamo che “… i rondoni si aprono in formazione/ scoordinate sulla rete metallica del tetto” (pag. 48). Segni, presagi, apparizioni ora solcano la pagina e non basta “Siedo raccolta, la luce/ è una squama di salmone/ e tasselli di ali di libellula/ bordata di rame… /” (pag. 50).
Tutto questo dialogo sommesso con elementi della natura, a volte viva altre volte morta, conduce la voce della poetessa verso il suo necessario ultimo intimo desiderio: “..vorrei aver/ la pazienza della pietra, la fede/ nel mondo, solo/ perché è giorno e apri gli occhi/ senza dare alcuna notizia” (pag. 50). Il silenzio, ritrovato nella voce impossibile della natura, richiama la dimensione dell’altrove e se vi sono versi in cui emergono i simboli del disfacimento: polvere, fumo, miserabili candele, rose essiccate, briciole di pane (pag. 46 – 47), la poesia cerca la quiete “nei giochi colorati / di una fontana” e conscia che “siamo l’impulsività delle lingue,/ chiediamo assoluzione” (pag. 51).

…..La poesia riunisce “l’alto e il basso, la gioia e i dolore, la vita e la morte, il visibile e l’invisibile, e, soprattutto, i significanti-significati della lingua parlata e quelli di un’altra lingua che qui è il francese cantato da Camille” (Franca Alaimo, in “Poesia del nostro tempo, 7/6/2019). Che potrebbe essere l’autrice stessa, demiurgo gentile che restituisce vita alle “rose essiccate”, che si ferma “ ad ascoltare la musica delle canne, /la fiamma mancata del candelabro,/ la voce di ogni oggetto respinto” (pag. 54). C’è la volontà di cogliere ciò che manca, ciò che resta fuori dal flusso del mondo e non vien meno l’angoscia della fine: “ma poi cosa ti sopravvive/ se la parola è un simulacro…/ un testamento di verso, la tua/ poesia per lei sparita? Cosa mi resta/ se non due nomi e una data” (pag. 56).

…..La conclusione è dunque malinconica e come in un film in bianco e nero degli anni settanta di Michelangelo Antonioni : “vedo da lontano/ la figura malinconica dell’uomo/ che si versa da bere in un privè”. (pag. 57)

…..Stefano Vitale

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Cerchi una trappola per addomesticare
il vento e un corteo muto di apostoli, compiti
l’autunno mentre le persone se ne vanno:
la schiena, le figure sempre più piccole, l’andatura.
Nella notte vaghi illuminato da un luccichio
metallico, hai a stento un fondo di caffè
in una tazzina e un ricordo: qualcuno beveva
studiando un equilibrio instabile di piatti.

* * *

Le nature reversibili
di Arcimboldo brulicano
di segreti che si fanno ponte
dalla tua alla mia soglia.
Quel rotacismo cabala
e alchimia, la bocca
dove ti crescono grappoli
di fresie e foglie di baffi,
inventano nuove lingue
inconsapevoli per la mia,
solleticano e mordono:
penetrano una fonologia.

* * *

Il piumone resta spettatore,
la tovaglia raccoglie qualche briciola
e il cartello Bovisa Pavia sul distributore
indica la tua direzione come un becco di tortora.

Come attira la terra mentre precipiti,
un doppio sole nero gli occhi in basso,
mi hai lasciato senza rimedio, battendomi
il petto, dicendomi “non prendere freddo!”

* * *

dove finisce il canto degli uccelli
quando i tigli imbruniscono?
Cosa pensano i picchi rossi di tutto
il grande silenzio? E io che siedo
su una radice e guardo dalla stagione
sbagliata un platano, in cosa credo?
Nel nutrimento che mi viene dalle tue mani
come anellidi alla bocca di un codirosso
la cui peluria tradisce l’età?
E quando taci? Forse anche io
vado dove si riparano le intenzioni
e la voce dei passeriformi che guardano
da bulbi neri e lucidi
i colori calare di un’ottava
sulla terra restituendola
alla sua semioscurità

* * *

Lo scalpello nella fessura,
la pressione nel martello,
così, trafitto e scomposto
dal colpo, il porfido,
sulla durezza un’incisione:
“qui giace una solitudine
minerale di celeste bellezza”
inutile accendere lumi prima
dello Shabbat il suo nome
è Eva, prima donna,
custodirà il desiderio
nel cuore di una roccia.

* * *

L’uomo che veniva dal mare,
una coppa Oribe per Orsola
“nuda, bianca, imposseduta”
nei collage di Bodini, la fame
di poesia, pomo, ponte sia
da te a me lingua, parola,
bocca, aspirazione roca
di una bacca intradotta.

* * *

In alto, guardando tra i tetti
di un caffè francese o anche
in certi film di Ozu,
la notte si vela quel poco
di bianco e un breve sogno
mi prende per mano, suoni,
foglie di lunaria dico, parole
fumose, sono trasparenza
un diorama di fili d’angelo.

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…..Note sull’Autrice
…..Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e risiede a Milano. I suoi testi sono apparsi in diverse antologie, sulla rivista “Poezia” di Bucarest, “Immaginazione” delle Edizioni Manni e sulla rivista “Aperiodico ad Apparizione Aleatoria” delle Edizioni del Foglio Clandestino.
…..Geografia di un orlo (CSA Editrice, 2011) è la sua prima raccolta. Seguono Memoriali bianchi (Edizioni Smasher, 2014), Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016), primo classificato per la sezione Libri Editi IX Edizione del Concorso Nazionale di Poesia Chiaramonte Gulfi – Città dei Musei, Il rigo tra i rami del sambuco (Pietre Vive Editore, 2018), primo classificato Luce a Sud Est – Concorso di scrittura sociale.

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