“Ricordati di Bach”, di Alice Cappagli
(Einaudi, Torino, 2020)

La forza della musica

…..Tutto ha inizio con un incidente stradale che vede Cecilia, 8 anni, costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico che la lascerà, nonostante il buon esito dell’operazione, con una grave lesione al nervo radiale.
La bambina verrà sottoposta a lunghe cure, ma la guarigione completa è lenta e non immediata e non è neanche detto che il suo arto sinistro torni a essere funzionante. La sua mano viene definita “mano di frolla” perché per quanto cerchi di comandarla o di trasmetterle la sua forza, questa cede per lasciar posto alla propria volontà non collaborativa.
Passano i giorni, trascorrono i mesi. Medici su medici, terapie, riabilitazioni e ancora riabilitazioni, eppure, un vero successo, una vera svolta per quella menomazione non arriva. La madre si sente terribilmente in colpa essendo stata lei a sbandare con la macchina, la bambina è sfiancata da questi continui ritmi dettati da altri – e che ancora nel tempo futuro lo saranno.
Una visita a casa della Zia Cocca e inizia il cambiamento. Perché vede quel violoncello ormai abbandonato, uno strumento appartenuto al nonno e di cui adesso lei diventa erede. Imparerà a suonarlo, l’ha chiamata, l’ha scelta. E non può sottrarsi a quel richiamo.

…..Così Cecilia, a dispetto di tutto e di tutti – in particolare dei suoi genitori –, entra all’Istituto Mascagni di Livorno, un conservatorio, e di quelli seri. Scoprirà così a poco a poco cosa significa segarsi i polpastrelli con le corde, imparare solfeggio e armonia, progredire o regredire, scoraggiarsi o meravigliarsi. Educare la sua mano, sfidarla. La cura è nella sfida: Cecilia troverà, nel tempo, una forza inaspettata, un’energia che si sprigiona direttamente dalla fatica e dal rapporto col suo violoncello.
Nessuno credeva in lei: soltanto colui che accetta di divenire il suo insegnante, Smotlak, spirito spericolato e grande scommettitore, capace di perdere a un tavolo da gioco un Goffriller del 1703, che punta su di lei come si può puntare su un cavallo. La questione, come vedrete leggendo il libro, non è così semplice. La scommessa c’è davvero ed è un fatto che genera un gioco pericoloso e perverso che, sottotraccia, anima anche il meccanismo narrativo e che porta i protagonisti sull’orlo di un abisso emotivo che solo chi mette sul piatto il proprio futuro può capire. E soffrire, sospeso tra incredulità rabbia e speranza.

…..Per Cecilia la musica non è solo una terapia. E’ una passione potente che le cambia la vita diventando il “suo” modo di vivere, il solo che conoscerà. “Fai finta di dover parlare di tutto quello che è finito in un abisso. – le dice il suo maestro – Della gioia e del pianto, della vita e della morte. Fai finta di dovermi raccontare qualcosa che non ha mai avuto parole per essere descritto. Rimane Bach. Tolto tutto rimane solo lui: la lisca del tempo.” Questo è un passaggio chiave del racconto.

…..Cecilia, come detto, ha otto anni ai tempi dell’incidente e ne avrà diciannove quando tenterà i primi concorsi. In mezzo ci sono i dieci anni di duro lavoro con Smotlak, burbero, tremendo. Intorno a loro, una schiera di personaggi che imparerete a conoscere pagina dopo pagina: Odila, compagna di corso e unica amica, la terribile prof. Maltinti, il «sovietico» Maestro Cini… Ma «le vere lezioni non sono quasi mai a lezione», e Cecilia non tarderà a capirlo, scoprendo che un vero maestro insegna veramente tutto: perfino a vivere.

…..Smotlak è così cinico che il lettore potrebbe odiarlo: lui ha un metodo complesso per insegnare musica, ma ha anche una strana forma di accudimento: ora bastona, ora spinge Cecilia a non mollare. Non è facile reggere il gioco, soprattutto se alle lezioni c’è anche Odila, che è un’amica , anche un’ottima esecutrice, ma non davvero una musicista sino in fondo. Perché per Smotlak essere musicisti è innanzitutto un fatto di testa. E la competizione è dietro l’angolo, come sanno bene i ragazzi che studiano nei conservatori. Il paradosso è che Cecilia, pur coi suoi deficit, lei è una musicista.

…..Il racconto, come già il precedente “Niente caffè per Spinoza”, si svolge a Livorno, che l’autrice conosce bene. Benché il cuore del romanzo stia nella relazione tra Cecilia, il violoncello, Smotlak, i genitori, l’amica-nemica Odila, la città è un “personaggio” fondamentale nel libro con le sue strade, i suoi luoghi, i suoi colori. E questo legame si sente ed ha un ruolo importante nel gioco della trama. Che ci stupiamo che questo racconto non sia ancora divenuta la base per una film, una fiction.

…..Le gioie, le fatiche, le rinunce che Cecilia deve affrontare per seguire i propri sogni sono la centro del racconto: la protagonista deve fare i conti coi genitori esigenti, non ha lo stesso tempo libero dei suoi compagni di scuola, eppure deve continuare a portare a casa voti degni (per un patto con i genitori); non può avere una relazione come i suoi coetanei perché scuola e conservatorio assorbono tutte le sue energie. La musica richiede sacrificio, studio, passione, ma per la nostra Cecilia essa è come l’aria che respira. «Signora, – disse con solennità, – lei ignora la potenza della passione musicale. Qualunque fede è capace di operare una rivoluzione, perfino un miracolo.» «La musica è così, cara signora, la musica è una porta attraverso cui guardare il mondo. E Cecilia l’ha capito, non è vero?»

…..“Ricordati di Bach” è un romanzo autobiografico: il percorso di Cecilia è lo stesso che ha portato Alice Cappagli ad essere violoncellista della Scala per trentotto anni. Il racconto è dunque un classico romanzo di formazione, che talvolta indugia nei riferimenti tecnici o che mostra alcune ripetizioni narrative, ma che sa coinvolgere il lettore sino in fondo. E’ un libro che consigliamo vivamente di leggere: specie a chi pensa che la musica sia un “passatempo”, un puro piacere di cui possiamo far a meno. In un mondo in cui la cultura sta soffrendo come accade oggi, ricordarsi di Bach e che essere musicisti è frutto di uno studio infinito, mi pare particolarmente importante. «E mi tenni la corda rotta per ricordarmi che la precarietà, nella musica, è universale come nella vita.» Ma senza la musica, la vita muore.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autrice
Alice Cappagli è livornese e ha suonato il violoncello nell’orchestra del Teatro alla Scala per 37 anni. Ha pubblicato per Statale 11 un racconto a tema musicale dal titolo ‘Una grande esecuzione’ (2010).
Per Einaudi ha pubblicato “Niente caffè per Spinoza” (2019 e 2020) e “Ricordati di Bach” (2020).

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