“Nel villaggio oscuro. Poetica e poesia”
di Eugenio De Signoribus
(Manni, San Cesario di Lecce, 2023)

…..Eugenio De Signoribus è uno dei poeti più importanti del panorama della nostra poesia. Nato nel 1947 a Cupra Marittina, ha esordito nel 1989 con Case perdute e da allora ha pubblicato varie raccolte poi riunite in Poesie 1976-2007 (Garzanti).

…..Il suo ultimo libro “Nel villaggio oscuro” apre la nuova collana diretta da Antonio Prete che scrive:
“L’itinerario poetico di Eugenio De Signoribus trasmuta nella vita della lingua le lacerazioni e le opacità e i bagliori dell’esistenza. Accoglie il visibile – con le sue ferite, con il suo chiuso orizzonte – in un movimento del verso la cui musica non vela l’asperità, e nella forma dolorosa lascia trasparire quella dolcezza che per i primi poeti della nostra lingua era il proprio della poesia. “L’amore della lingua contiene gli altri amori”, scrive.
La riflessione sulla poesia si modula sia nella forma della prosa sia nella forma del verso. La prossimità al visibile della natura, alla sua bellezza, dialoga con la meditazione sul male che assedia il nostro tempo, la peregrinazione nell’ombra non distoglie lo sguardo dalla luce. Come la malinconia non è separata dall’indignazione, l’esplorazione interiore non distrae dal compito civile di denunciare le forme violente del potere.”

…..In questa direzione De Signoribus resta fedele alla sua impostazione, al suo percorso poetico fatto di immagini improvvise che segnano l’apparire della poesia nel caos del mondo. La sua poesia è fatta di luci che si accendono e scompaiono, di bagliori che colgono uno scorcio dell’anima e della realtà e così facendo attirano l’attenzione sull’insieme che altrimenti resterebbe nascosto, forse proprio anche per la sua evidenza che appunto lo nasconde. Troppa luce rende ciechi: De Signoribus si è sempre mosso in una sorta di penombra luminescente che vive e si rigenera nella cura del linguaggio. Colasanti ha parlato, a proposito della poesia di De Signoribus, di “prato di lucciole”, non a caso: a cavallo tra pura poesia e poesia civile, tra immaginazione metaforica e aderenza al vissuto, tra ricordi personali e slanci riflessivi, la poesia di De Signoribus propone dunque una nuova tappa.

…..In questo ultimo libro De Signoribus apre infatti un’ulteriore riflessione proprio sulla sua poetica e sul fare poesia: “Ora forse, ci possiamo sedere e osservare la vena trasparente e remota del travertino: e in essa vedere l’alba della materia e l’indicibile nostalgia d’ogni forma di vita, scarnita o levigata, resa vivente, opera-parola” (pag.13). Molto distante, sul piano stilistico e tematico, dall’altro poeta marchigiano Umberto Piersanti, De Signoribus parimenti tuttavia cerca l’innocenza della parole nella poesia che trae dal groviglio della complessità “la giusta parola” che così rivela “tutta l’emozione del suo ritrovamento, o della sua reinvenzione” (pag. 15). “Il libro di poesia è un percorso coerente a una campo-base, emotivo e di pensiero, a uno di arrivo, cioè ad uno stato di sosta, più alto ma sempre provvisorio, oltre il quale la vista è annebbiata… l’unico fine è salire nel proprio profondo, più scavato e più illuminato” (pag. 16)… Anche la parola, quando appare in sé “abusata”, è sempre unica nel suo essere pensata come necessaria, nella composizione del verso, nella sua pronuncia” (pag. 17) e infine “L’amore per la lingua è il più fedele. Ha in sé la potenza unica della scoperta della parola. Il poter dire ciò che si è e chi si diventa, il confronto con l’altro, col mondo”. (pag. 19)

Quando esci, parola,
di scatto o pensierosa

e vai in compagnia
per sciogliere la pena

ti seguo per via
ti lascio andare

anche se la scena
non è che turbinosa…
(pag. 23)

*

lingua madre

con te sola posso
affacciarmi al mondo

e ti sogno e rimpasto
ti smanto e ti rivesto
(pag, 26)

*

Non posso far finta di niente
su niente, neppure volendo

non posso, assorbo, ogni cosa
tormento di macchia spugnosa

porosa anche la mente
nel suo mostrarsi-ritrarsi

alla lente
(pag. 28)

…..De Signoribus oscilla dunque, in una prima parte, tra riflessione sulla poesia e manifestazione della sua poetica attratta dalla necessità di una lingua precisa e chiara e dalla riflessione civile sulle cose del mondo senza dimentica che la lingua nasce dalla carne concreta del mondo stesso. Può apparire come un estremo rifugio, specie per chi ha attraversato tempi e battaglie anche difficili e contraddittorie.
La preoccupazione del poeta è in ogni caso “l’abbassamento della lingua poetica… che ha ridotto davvero a un bisbiglio la voce dei poeti in cammino… salvare la propria lingua dalla frantumazione e dal baratro” (pag. 35). Egli sa bene, come molti della sua generazione, che “una poesia non sposta un fuscello o un granello di sabbia” (pag. 38), ma esorta “a rielaborare una lingua che non sia consumabile immediatamente” (pag. 39).

…..Poi De Signoribus si lascia attrarre dal tema del tempo pandemico. Molti altri hanno ceduto a questa sirena. “Nel villaggio oscuro” è allora il tempo del silenzio obbligato della pandemia che prende a far da protagonista nel libro. Il poeta attraversa questa crisi col suo sguardo, come se egli si ritrovasse certamente in uno spazio di sofferenza, ma anche in un ambiente, per molti versi, adatto al proprio sentire. E’ questo che rende l’approccio di De Signoribus specifico: perché egli allarga il campo scendendo nel suo profondo, andando oltre.

Tempi virali

per tutto il tempo limbale
rientrerò nel dire

(respiro sulla parete
sete a ogni sospiro)

sia per scansare i morire
che risalire al verbale
(pag. 47)

…..Certamente troviamo delle immagini più ovvie: “sono senza voce/cieco nomade in casa/ il tempo non c’è più/ ora è attesa-sospesa/ e brancola a testa in giù” (pag. 49), ma è il riscatto della lingua a fare la differenza:

Immagina

Immagina uno spazio diviso
dove non entra un saluto
anche se esce un vicino

dove solo è scandito
il rosario del vecchio
o il lamento del calendario

(ogni santo ha un dolore
non una fava secca
in bocca senza denti)

e il mascherato ciaffuglio
girà lì biascicando…

immagina la vita alla chiusa
degli indifferenti inquilini

gurgùglia nella propria veste
e ammuta guelfi e ghibellini
(pag. 52)

…..E’ la ricchezza franta e imprevista della lingua a dare così linfa alla poesia che trova un suo senso e ragione. Le immagini parlano un linguaggio che coglie nel segno e i volti sono “una cencia mappa”… “il narciso assoluto/ ammicca a chi lo bada/; “in sé barbugliando/ perduto ogni possesso” pag. 53). O ancora troviamo espressioni quali “l’impaurito-infurbito/alliscia solo il sé” (pag. 54), immagini come “e tutti i nomi galleggiano e s’incrociano/ e sbattono tra loro ottusamente/ anche tu, nello sbrullìo vorticante, /cerchi di aggrapparti a qualcosa/ che non si sgrani come un biscotto” (pg. 57).

…..Non è un caso se la sezione che segue, ovvero “Tempi interiori” abbia un esplicito riferimento a Jolanda Insana (1937-2016) nei versi “e stracco e di me ostaggio/ caddi sulle storture…” (pag. 61). Ma a mio modo di vedere il riferimento va oltre e coglie la comune scelta di affidarsi alla creatività che emerge dalla lingua stessa, nel meticciato tra registri alti e bassi, usando forme del dialetto e del parlato, oscillando tra rapidi toni ritmici e passi lenti e misurati. Siamo sempre dentro agli effetti della pandemia: “…quasi senza sfasura/senza alcun dolore//ma con vergogna pura/ come in un’autogogna// ripresi la salita/ delle calvària stanza// (pag. 61). Così la stanza è “muffosa”, e siamo ridotti “nel blablìo/ senza ombra sul muro” (pag. 65), ma De Signoribus, come detto, va oltre e rende questo tempo qualcosa di più vastamente esistenziale, non solo situazionale:

(uscire)

tutti premiamo alle porte
o fuggenti da fame
o da regimi di morte

o da noi stessi, da colpe
o scansate o deposte,
inestricato cordame…

in tanti siamo col pane
dei pententi e il fardello
di nodi e ferite

vaga la vista al cancello
oltre l’armato confine

…..Come si vede, il poeta attraverso consapevolmente il suo tempo: dalla pandemia, alle migrazioni, alla guerra e ci appare voce contemporanea pur nel suo stile coerente con la propria storia poetica e culturale.

…..Tempi bellici” è la terza sezione e per il poeta è sempre la parola ad essere al centro, quella parola ora negata dalla guerra: “ancora una volta vacilla la ragione/e se la parola non scende in agone/ più forte dei forti armati/ il mattatoio non avrà salvati/ e il pianto bagnerà la distruzione” (pag. 71). Questa sequenza poetica è stata scritta, ci avverte il poeta, dal 16 maggio al 9 luglio 2022, rivista e ripresa il 24 agosto e il 24 ottobre. E nulla è cambiato, la guerra è sempre lì a scandire il tempo, a segnare il “silenzio della parola” (pag. 80), a “plagiare la mente e il cuore” (pag. 74) perché “tentare la pace/ è un insulto al falegname” (pag. 77) e restiamo “fuori e dentro ostili/ anche a noi stessi…” (pag. 78).

…..Ma ancora una volta è la fiducia nella parola che non viene meno: nella poesia “Congedo” (scritta, ci avvisa il poeta in una nota, nel giugno 2022), De Signoribus scrive “la parola saliva/mattone su mattone/cercando d’elevarsi”…”l’infaticata parola/ ha la lingua mozzata/ e dibatte per spire/come una serpe tranciata…(pg. 85) e il poeta non desiste, consapevole, resiste: “su questa aspra crosta/ tra schegge di salvezza// sanguinano le dita scarnire durezza// d’illusione tradita” (pag. 86). Si colgono gli echi della poesia di Montale, di Caproni e si sente la presenza di una voce antica quanto viva e presente.

…..Poeta colto e ricco di riferimenti, De Signoribus dedica l’ultima parte ad una ”Antologia” di suoi testi legati ad occasioni specifiche, pubblicazioni parziali o al libro “Stazioni” (edito da Manni nel 2018). Ancora una volta egli coglie la posizione del poeta che “durante il dì, egli osserva vivendoli/ i minimi moti interiori e i cataclismi terrestri,/i popoli sotto le macerie/…Durante la notte, egli cerca di scrivere/ di questo miserabile teatro, / cerca di scrivere, di nuovo prova,/ in realtà attende, solo attende/ la parola nel corpo e nello spirito/ la parola soccorrente”…(pag. 93).

…..In questi passaggi c’è tutta la pietas che innerva la sua poesia e c’è tutta la coscienza del disagio dell’individuo e la dichiarazione di una fragilità che cerca forza e rifugio nella parola di chi “senza voce grida” (pag. 94). Egli sa che “l’odio è la vigna più fertile/ e mai placherà la sua sete” (pag. 111) e teme perché talvolta “…perdo la speranza/ nel dono del perdono” (pag. 112).
Eppure c’è un varco sembra dirci il De Signoribus oggi con la sua lingua creativa di sempre, che qui echeggia persino Dante: “sopra il fronte s’invetrina /lì restando incollata// è l’alba imprigionata/ che frena la rovina/ e misero tremando/ vedo la risalita” (pag. 117).

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Eugenio De Signoribus è nato nel 1947 a Cupra Marittima.
…..Ha pubblicato le raccolte Case perdute (Il lavoro editoriale 1989, Premio Montale), Altre educazioni (Crocetti 1991, Premio Cittadella), Istmi e chiuse (Marsilio 1996, Premi Montale, Lerici e Matacotta), Principio del giorno (Garzanti 2000, Premio Biella e Lerici-Pea), Ronda dei conversi (Garzanti 2005, Premi Dino Campana, Frascati e Carducci). I cinque percorsi sono raccolti in Poesie. 1976-2007 (Garzanti 2008, Premio Viareggio-Repaci) e il sesto libro è Trinità dell’esodo (Garzanti 2011, Premi Giuseppe Dessì e Brancati-Zafferana).
…..Prove di prose e versi sono in Memoria del chiuso mondo (Quodlibet 2002), Nessun luogo è elementare (Tallone 2010), Veglie genovesi (Il canneto 2012).

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