“Non tutto è dei corpi” di Giorgio Luzzi
(Marcos y Marcos, Milano, 2020)
…..Nato a Rogolo, in Bassa Valtellina, il 7 gennaio 1940, Giorgio Luzzi si è trasferito nel 1972 a Torino, affermandosi come poeta, scrittore, saggista e critico letterario. Questo libro “Non tutto è dei corpi” è stato quindi pubblicato nell’anno dei suoi 80 anni. E si tratta di una pubblicazione davvero notevole che ci offre una testimonianza significativa della poetica di questo autore. Il libro è infatti, come recita giustamente la quarta di copertina, un “compendio stilistico ed esistenziale” della sua opera, un libro che “si misura con il mutare della storia e delle forme di cultura e di attualità. Nelle sei parti di cui è composto, mostra un ventaglio tematico più che mai ispirato alla contemporaneità e ai rivolgimenti che coinvolgono il tempo in cui viviamo. Tutto ciò in una forma pulsante e sottesa di allegoria sempre stilisticamente meditata”.
…..Proviamo allora a fare una sintetica ricognizione dei principali aspetti della sua poesia che in questo libro incontriamo.
…..La prima cosa da sottolineare per un poeta importante come Giorgio Luzzi è la sua forte coscienza della tradizione letteraria cui si rapporta comunque con cautela, al fine di evitare forme di banale ossequio più o meno mascherato. Come spesso ha fatto nella sua produzione, e così fa anche in questo libro, Giorgio Luzzi utilizza l’arma dell’ironia e del comico per alleggerire la relazione con gli elementi portanti della lirica. Ma per poter far ciò egli sa che occorre una precisa e mirata conoscenza della tradizione e dei riferimenti poetici. In altre occasioni, nel libro, Luzzi allarga i confini del lirico attraverso citazioni non letterarie e con passaggi prosastici mostrando grande abilità nel gestire contesti impoetici. In “Non tutto è dei corpi” Luzzi è perfettamente consapevole della sua poetica e del ruolo che intende occupare oggi con la scrittura e ci dà un saggio notevole della sua competenza letteraria.
…..Questo rapporto consapevole con la tradizione deriva, come è già stato notato dalla critica, dall’influsso della neoavanguardia e del Gruppo ’63: Luzzi, tuttavia, si limita a riprendere la verve linguistica, la vena ludica-espressionista: egli non cade, e ciò è evidente in questo nuovo libro, nell’astruso neo-sperimentalismo autoreferenziale. Una cosa è la forza di metaforizzare, di costruire rimandi e allusioni altra cosa è la cripticità gratuita. Per Luzzi è fondamentale, cercare e trovare un senso alla realtà attraverso il linguaggio e così facendo spingere il lettore ad essere vigile, attento, coinvolto. C’è anche sicuramente l’influsso di Gadda che agisce in lui, come mostrano l’uso agile e appropriato del plurilinguismo che provoca contaminazioni espressive molto interessanti e brillanti: reticoli di assonanze e consonanze che spesso sostituiscono la rappresentazione vera e propria dell’oggetto trovando così, come detto prima, un senso più profondo alla realtà attraverso il linguaggio.
…..Altro aspetto fondamentale che ritroviamo in questa raccolta è la prospettiva onirica, strettamente collegata col ragionamento precedente. Luzzi segue da sempre la traccia di un linguaggio pulsionale, intermittente a scavalco tra realtà e immaginazione, ponendo il verso nel cuore “dell’enigma della visibilità”. La poesia ricrea l’oggetto e così facendo le da maggiore consistenza e al tempo stesso lo mette a confronto col tema fondamentale della ricerca di senso. Luzzi, ricollegandosi anche a riferimenti di natura psicoanalitica di stampo lacaniano (ponendo al centro del tutto la parola, il linguaggio), sembra dire che tra senso ed esistenza non c’è mai sovrapposizione piena, né totale conciliazione. L’esistenza fa parte dell’essere che non sarà mai completamente coperto dal senso.
La dimensione onirica in Luzzi non è surreale: esprime così una forma di liricità tesa, dialettica e, da qui, intrecciata con la sua propensione narrativa di rappresentare la vita e la storia. C’è sempre un rifermento alla realtà concreta, storica nella sua poesia che obbliga il lettore a non fermarsi ad una prima lettura. L’esperienza del linguaggio coincide con l’umanizzazione della vita stessa, ma la vita non può prescindere la linguaggio per prendere le distanze dal fluire della vita in sé, che altrimenti potrebbe travolgerci. L’impegno della lingua è il nostro sforzo di dare senso alle cose e a noi stessi, sembra dirci il poeta, pur sapendo che ciò comportata una perdita di naturalità, di immediatezza. Ed una ricerca attiva.
…..A questo si aggiunge una forma di teatralizzazione nei suoi testi che si sposa con i frequenti riferimenti ad opere artistiche pittoriche, musicali, letterarie con giochi di rimandi ipertestuali e interartistici, con passaggi analogici, allitterazioni, assonanze espressive e significative. Il dialogo tra i linguaggi è centrale nella poesia di Giorgio Luzzi e lo è anche in questo libro. E’ come se la dimensione artistica trasversale (teatrale, pittorica, musicale e poetica appunto) fossero un tutt’uno in quanto forma di rappresentazione dell’intimo, del pensiero. Non ci sono barriere culturali, non ci sono muri autistici nella poesia di Luzzi.
…..Ma resta la centralità della parola: la poesia di Giorgio Luzzi è testimonianza delle sua lotta contro la decadenza della lingua italiana che è anche la decadenza della società, e della storia. Quando Luzzi difende l’ambiguità e la ricchezza semantica della lingua, quando sembra preferire l’autoreferenzialità del linguaggio come elemento in grado di dare memorabilità al testo in realtà il poeta si sforza di mantenere viva la lingua che si mostra così in costante movimento, in evoluzione. In questo libro forse egli è più “comunicativo”, più aperto alla comprensione, a farsi comprendere e quindi meno freddo e aspro: ma resta sempre sorprendente e imprevedibile.
…..La sua inventiva lo porta a forgiare anche neologismi, cosa che è segno di libertà espressiva oltre che di abilità letteraria. Ma è anche il segno che per lui c’è un’etica della poesia che diventa estetica in questi versi.
…..Luzzi si impegna quindi nella esplorazione dei registri col suo espressionismo, con gli scarti di tono associati sempre ad una precisione terminologica. Ovviamente, fedele a se stesso, Luzzi non rinuncia mai a forme di poesia civile legandosi strettamente al presente ed aprendo, come detto, a riflessioni più fruibili e afferrabili più immediatamente.
…..La poesia di Giorgio Luzzi non è però mai di facile consumo: è una poesia difficile, che respinge la cordialità piatta e scontata di tanta poesia contemporanea arroccata in un colloquialismo quotidiano spesso disarmante. Luzzi, profondamente democratico dal punto di vista “ideologico”, è per così dire “aristocratico” dal punto di vista poetico e linguistico: ma il suo è proprio un gesto etico contro la semplificazione del linguaggio, della cultura e della vita stessa.
…..Il suo scopo è di superare la piattezza comunicativa e collegare etica ed estetica: la poesia non è un rifugio per anime belle, ma è un’arma per l’impegno civile attraverso la parola che richiede a sua volta impegno cura, attenzione.
…..Luzzi non nasconde mai il suo pessimismo di fondo nel guardare alle cose del mondo: il degrado è molto grande e non si vedono all’orizzonte prospettive “rivoluzionarie”. Ma c’è anche un’isola di relativa calma per il poeta: è la dimensione lirico-autobiografica, è lo spazio della dimensione familiare affettiva, che qui emerge di tanto in tanto. Ma attenzione non c’è alcuna concessione elegiaca, non ci sono sprofondamenti retorici, nostalgici. Questa dimensione lirico-autobiografica è sempre qualcosa che è in movimento, in viaggio, persino una forma di fuga intrecciato con il desiderio di rinascita e di pace. Che si esprime certo nei temi legati alla memoria, al ricordo, ma ancora una volta soprattutto nel linguaggio più disteso, più nitido. Il soggetto lirico tende ad un luogo ideale che è forma di salvezza, ma anche di spaesamento. Il viaggio resta una soluzione, una possibilità di conoscenza, anche se talvolta amara e tragica.
…..L’Io poetico di Luzzi è sartrianamente “un cosa come le altre cose del mondo”: la dimensione corporea è dominante, il legame lirico con l’affettività porta al rifiuto delle illusioni e l’uomo resta sempre vittima di se stesso, nel rischio di allucinazioni ed incubi.
Stefano Vitale
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Carte d’entrèe
Parlare di esistenza pensare resilienza
Nutrirsi per esistere è il modo di persistere
Distogliersi o dissolversi nell’alibi di un vino
è come opacizzare lo specchio del destino
Ho conosciuto tempi di vento e di evasioni
di amori e di illusioni e di cortei sonori
Chi mi parla proclama Poveri tempi nostri
e a loro modo poveri sono anche i tempi miei
Chi tace ha in me un audace e generoso
Consigliere di carmi di musiche di icone
colono di esortanti campicelli morali
che crede nel privato ma ha implicito lo stato
di disappunto aperto e inoltre crede
a quel contegno critico proprio del giudicare
Crede con puntigliosa cura nel non giurare
nel valutare il mondo da un fermo davanzale
Fin che la vita e il grave e a volte anche leale
biogramma che si nutre del tempo che ci è dato
siano spillati al fondo e poi distrutti
da una pattuglia anonima di furfanteschi eroi
E lì affermare in pace la dignità dell’io
evitando l’abuso del microsema mio
dei detti inerpicabili sulla pietà di Dio
***
(……)
La lingua appare un’arma dispendiosa
sottratta astutamente all’uso quotidiano
lei che anche sussureggiante
e soccombente e candita
e scalza e penitente
è nostra voce e a volte
razionale facezia
atletica cultrice di ogni inezia
Poi si sentì una fragile vicina perdente
Stringere -mormorava – Ridurre o rinunciare
Non che tutto sia vero quanto appare
anzi non tutto quanto è vero appare
E dunque spranga i denti Riaffàcciati Riprova
C’è gran bisogno di una lingua nuova
***
Teatralizza la vita lui diceva
Fai scenario per Lei senza un oltraggio
La Signora ha il potere
non di sedare dolori solitari
ma di ammonire intemperanze
e imporre il veto a certe circostanza
come una sopravvissuta silenziosa
sotto il palco malfermo della Storia
Regina della temporalità
Sovrana di memoria Volitiva
non meo di ogni altra donna viva
***
Clemer di Enghien
Accòstati alla folla Su venite c’è l’Hans
che la dipinge stretta contro il gelo
Soffia alto un brusio
come in Dante quell’ Oh lungo roco
Ordina gole aperte e voci e pianti
La calce vi si spande
voracemente
come se per uno sterminato istante
la fatica già iscritta a libro paga
soffiasse in una nuvola
scrutasse anfratti estuosi dentro il seno
di una comparsa maliziosa
***
A mano tesa
Fresche intemperie ha la mente
e il corpo le fragili macerie
Il sorriso una sua lieve ipocinesi
quanto al dolore vecchi malintesi
Una buona invenzione fa lieti
lettori aperti e lettori segreti
Per la quarta duina chiedo scusa
ma è troppo ripida l’ipotenusa
***
Mia Capitana
Non conosco i tuoi simboli
i quadranti che specchiamo le lune
e i nodi e i lidi
con gli scafi di funi e spume
Non conosco le basi
di taglio della prora
né il frenate discorrere di poppa
Non so quando si va né so dove fa giorno
Non so del tuo ritorno
tra un caffè e una carezza
forse nella dolcezza di un rumoroso figlio
ma so il tuo nome Capitana
questo nome che evoca danze
di sorrisi e di infanzie
un nome custodito da soccorsi e ritorni
che lascia dietro sé fragori e spume
Mi dico che oggi un piccolo tiranno
assillato e vorace convoca gli armati
contro la prua che guidi contro te
temuta e odiata Antigone dei golfi
Certo sceglie il rancore
forse ha il mare in dispitto
come i nati di terre longobarde
Certo nega diritto
agli umani più sacri
quelli che ora tu
vai guidando a salvezza
negli aspri mari del loro silenzio
Salvezza Parità Nomi primari
Roccia del mondo lo sguardo tra uguali
Vive una voce e ci vibra nella gola
il suo altrui e stremati
Carola tu Una donna Una volta ancora
***
Le domeniche coatte
I dubbi Le domeniche coatte
di una forforeggiante adolescenza
Sbadigli sventolati ai colmi delle Orobie
Cuccioli ansiosi nell’usta delle belle
computando se quelle carnicelle
avrebbero occupato il banco accanto
Becccastrino Lo si udiva di lontano
quel sonorìo di campane
e tardiva dall’inguine indolente
si staccava la mano
E si usciva Pioveva Si rientrava
Fissativo ai capelli Da ogni lato
lo specchio li puniva lucìvoro e spietato
Domenica era giorno inamidato
non di rado la sagra degli ombrelli
Più coccolante il sole al martedì
Più solido il gran giorno del mercato
Ma domenica era anche e soprattutto
l’ansiogena illusione del peccato A volte
il dulcamaro purgatorio
di una crociera breve
dentro la superficie dell’usato
***
Non tutto è dei corpi
Per rincuorarti del vuoto
esci e contempla la pioggia
crepitare sulle botti d’ottobre
sgretolare il sereno
prima che faccia sera
e infine abbandonare il cielo
sotto il perfido e secco
scrosciare del vivido buio
che ai morti e agli amanti è rifugio
***
…..Note sull’Autore
…..Giorgio Luzzi è nato nel 1940 in provincia di Sondrio: ha compiuto studi di giurisprudenza e di lettere moderne. Dal 1972 vive a Torino. …..Suoi libri di versi hanno visto la luce per le case editrici L’Arzana,̀ Crocetti, Galleria Pegaso, Marsilio, Scheiwiller, Donzelli, Aragno, Sedizioni. Ha pubblicato un romanzo, una raccolta di racconti e numerosi saggi critici, in riviste e in volume, sulla poesia italiana contemporanea.
…..Ha tradotto poeti di lingua tedesca e francese. Ha riportato riconoscimenti e ha partecipato, non soltanto in Italia e in Europa, a manifestazioni di prestigio (Messico, Argentina, USA). Parti del suo lavoro vantano traduzioni in lingue europee.
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