NELL’INTIMO DEL MONDO

Lucetta Frisa vanta una militanza poetica di tutto rispetto, che troviamo confermata in quest’antologia. Ha scritto Giorgio Linguaglossa sul blog “L’ombra delle parole”: “Poesia  dichiarativa questa di Lucetta Frisa. Stile neutrale, quasi oserei dire funzionale alla sua dizione poetica; un impianto linguistico che assimila lo spettatore al lettore e il monologo al «vestito» linguistico, che tende alla forma monologica per sua intima, innata pulsione quale segnale, spia del perché il silenzio rumoroso sia oggi, nel Dopo il Moderno, la collocazione ideale, ubiquitaria, del discorso poetico chiuso, sigillato nel suo bronzeo cofanetto con una triplice serratura, dentro il sarcofago che la cultura del Novecento ha predisposto per la «poesia».

Si comprende allora come il discorso poetico di Lucetta Frisa tenda a prendere le distanze dalla connotazione del «poetico» così come lo abbiamo frequentato nel recente Novecento: come super modellizzazione del linguaggio funzionale, ed ambisca ad una campitura narrativa. Infatti, la conduttura metrica della poesia frisiana adotta il verso «libero», con il suo moto prosastico, con l’a capo che aziona il freno a mano, la rima assente, la non paronomasia, la non metafora, la non sinonimia, la non catacresi, etc. Tutto ciò contraddistingue questa poesia e la connota come accortamente prosastica. Tutti gli strumenti della retorica sono stati lasciati cadere nel pozzo senza fondo di una tradizione naufragata, quella del secondo Novecento…”.

Condividiamo solo in parte quest’approccio. Certamente sul piano strettamente formale vediamo dipanarsi coerentemente sin dalle prime pagine, un libro dal linguaggio coerente, come se tutto fosse già scritto sin dall’inizio, come se la voce del poeta fosse già strutturata. O sarà il frutto di una scelta? Che cerca una necessaria coerenza stilistica? Ma il verso di Lucetta Frisa si muove nella direzione dell’intimo, una zona nascosta dove i pensieri possono muoversi con maggior agio, ma mai in modo scomposto, sconnesso. Tutto è sempre lucido e controllato, misurato e musicale. Così si va oltre la superficie di “uno stile neutrale” solo apparentemente tale. Il frutto sta sotto la scorza e riserva nuove scoperte non riducibili alla definizione di “poesia dichiarativa”. Una cosa è la chiarezza stilistica, un’altra “la voce poetica” che si esprime su temi e registri diversi.

Il verso ed i versi di Lucetta Frisa sono diretti e ci dicono di una forma mentis attenta e protesa all’ascolto di sé e dell’altro. Viaggio esistenziale, personale ma capace di essere condiviso, senza la spocchia dell’incomunicabilità pseudo-poetica, le poesie di Frisa risuonano familiari, docili, ma profonde. “Ma io per centro chiedo/ una radice, punto solare con braccia/senza tempo/…dove vivo da sempre/senza saperlo.” Il poeta cerca una spontaneità naturale: “Della passione le inclinazioni/ segui quella che ti assomiglia-/ma che sia generosa” così come predilige la cura per le cose concrete: “Insegna l’inadeguatezza a farti basta il visibile”. Infatti scrive poi “Da anni attendo quel balzo dal lontano invisibile/..correndo le orme della leggerezza/maestra del passo sul fuoco e sull’acqua/”.

Ma non tutto è sempre chiaro perché l’esperienza della vita riserva “squarci” talvolta “irrimediabili” e così “sconfinano le gabbie dell’oscuro/ L’ombra si aggiunge all’ombra”. E così il paesaggio muta perché il poeta non può stare a guardare, restare distante, perché la poesia è arte che si esprime anche con la mano: “da lì mi è nato il male di cercare/l’inizio di ogni cosa…/Occorrono strategie per non ferirsi” ma “Ci sono ombre sui muri/ombre mortali dopo mezzogiorno/-non c’è altro lessico”.
La questione della lingua e dello scrivere ha infatti un valore ed un posto importunate in quest’antologia, come se fosse anche l’occasione per ripensare al proprio “mestiere” di poeta. “Dove sta il ricordo/…appare/appena raschio l’intonaco/… e non parla italiano/nessuna lingua di padre o madre”; e ancora “Vorrei cambiare vita…/ricominciare/con uno scarabocchio stupefatto/…Aiutami a truccarmi di versi mai scritti”; “Voglio un luogo di pace nella mia pelle” scrive Frisa, ma la poesia e la vita spingono sempre oltre “e partirono verso un’altra lingua che non si poteva raccontare/o raggiungere /forse solo dentro il sogno di una cane”.

Frisa sembra volerci dire che, montalianamente, la poesia è qualcosa di non pienamente decifrabile, dicibile: dietro l’apparenza della luminosa dolcezza del verso si cela l’ombra perché “in mezzo alle parole non c’è fiore”. Il desiderio del poeta sta in mezzo ad un guado, ad un chiaroscuro continuo: “vorrei che fossero parole sempre più aperto lo sai/che per me scrivere non è solo scrivere/ma suoni freddi e caldi e la percezione dei colori/un intontimento/ e quello che c’è o ci potrebbe essere/cercando di dirlo”.
E’ la consapevolezza di questa difficoltà che rende poeti proprio perché “Gli assoluti sono aridi, asciutti” ed il poeta si deve sforzare  “E andava mostrando nessi/lontani, difficili nel vuoto di mezzo”. C’è in questo percorso poetico tutta l’umanità di chi cerca di dare un nome e un senso alle cose e al tempo stesso sente il peso del compito: “Non hai avuto il dono della semina/e dei frutti, diceva,/e non si sa se i versi/i sogni/muoiono per rinascere”…. Il poeta deve limitarsi “impara la resa dell’attimo al tempo/questo accade umile/di cosa ottusa/di foglia volata”, sino al coraggio di “un pensiero poco mosso/nella calma del vento./Impara, diceva,/ a strappare tutte le poesie”.

Ma così ci si ritrova in un punto nuovo, diverso da quello da cui siamo partiti. Ora è il sogno ad avere spazio. Ma non è qualcosa di “totalmente Altro”. E’ qualcosa che emerge dallo sguardo, dalla pittura, dal teatro della luce che invita a “meditare davanti ad oggetti chiusi/l’apertura del mondo”, a sognare “quello che non sai” perché “solo il sogno è respiro”. Qualcosa che ritrova pace nel disarmare la tristezza amando gli animali ”ama i loro spaziosi universi/ignari dei nostri rovinosi pensieri”; la natura: “ama il mare/che da bambina sostituiva i giochi”; e la poesia, le parole naturalmente: “Le ama ancora nella loro dissennata/liturgia e nella loro folla cerca/un doppio che sembri ancora vivo”.

E’ la ricerca di senso che anima adesso Lucetta Frisa che in “Come fanno i pazzi”, ci invita a cercare “quello che unisce e non separa/per sentirsi legato alla catena / della vita e a tutte le sue creature/in pena../.  Ma, ancora una volta, Frisa è attenta alle pietre d’inciampo, al gradino sconnesso che questa volta è dentro ciascuno di noi: l’autoritratto, nella raccolta “Se fossimo immortali”, non è solo un reale e concreto esercizio poetico, ma è anche un doloroso e faticoso rovistare in sé e nell’immagine di sé dell’inevitabile sdoppiamento della realtà vista e percepita, nell’immagine riflessa dagli altri.

Ma arriva, in fondo alla strada, una “soluzione”: “Si è cercato umilmente/il senso oscuro/seguendo sempre un’idea di luce”…e “non abbiamo più fretta: tutto è qui”…”per affrontare il reale/con passione e indifferenza/parallele”.
Lucetta Frisa ci consegna così un’idea di poesia quale specchio di esperienze interiori, come spazio dove pittoricamente emergono sguardi e figure, una poesia che è parola che emerge, appunto, altrove, come sosteneva il pittore Franz Marc: oltre la musica, il quadro, il paesaggio, la poesia stessa.

I riferimenti a ciò che si vive, si incontra, si vede, si ascolta non sono mai pre-testi, ma illuminazioni del vissuto, senza indulgenze strettamente autobiografiche, ma anche senza il nascondimento del punto di partenza, nel tentativo necessario di allargare il quadro stesso, di parlare a tutti pur restando, lucidamente, un enigma continuamente da risolvere, da sciogliere.

Un libro bello, presente, vivo e pertanto pieno di sorprese.

S.V.

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BIBLIOGRAFIA

Lucetta Frisa è poeta, scrittrice, traduttrice. I suoi libri di poesia più recenti: Se fossimo immortali (Joker 2006), Ritorno alla spiaggia (La Vita Felice 2009), L’emozione dell’aria (CFR  2012), Sonetti dolenti e balordi (CFR, 2013), e quest’antologia Nell’intimo del mondo. Poesia 1970-2015 (Puntoacapo, 2016). Ha tradotto vari autori francesi, tra cui due libri di Bernard Noël (Artaud e Paule, 2005 e L’ombra del doppio, 2007), Alain Borne (Poeta al suo tavolo,  2011 ), Claude Esteban (Qualcuno nella stanza comincia  a parlare, 2015), tutti per l’editrice Joker di cui cura la collana I libri dell’Arca insieme a Marco Ercolani. E inoltre: Henri Michaux (Sulla via dei segni, Graphos, 1998), Pierre-Jean Jouve, James Sacré e Sylvie Durbec. Suoi testi in riviste (Poesia, L’Immaginazione, Pagine, Nuova Prosa, Italian Poetry Review ecc.) e in antologie: Il pensiero dominante (a cura di F.Loi e D.Rondoni, Garzanti, 2001), Genova in versi (a cura di S. Verdino, Philobiblon 2003), Trent’anni di Novecento (a cura di Alberto Bertoni, Book 2005),  Altramarea (a cura di A. Tonelli, Campanotto 2006), Voci di Liguria (a cura di Roberto Bertoni, Manni 2007), Poems from Liguria (in trad. inglese) a cura di R. Bertoni (Trauben 2007). Collabora a diversi siti web, tra cui “La dimora del tempo sospeso” e “Perigeion”. Ha pubblicato molti racconti per ragazzi sul quotidiano Avvenire. In prosa ha scritto Sulle tracce dei cardellini (2009) e La Torre della una Nera e altri racconti (Puntoacapo,2012). Insieme a Marco Ercolani l’epistolario fantastico Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000), Anime strane (ibidem, 2006, trad. in francese nel 2011), Sento le voci (La Vita Felice, 2009, trad. in francese nel 2011) e Il muro dove volano gli uccelli (L’Arcolaio, 2013).

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