“Poesia critica e umanesimo” di Mauro Macario
(Alphaville, Puntoacapo Editrice, 2020)

…..Questo è un libro coraggioso, un libro che va diritto al cuore del nostro presente cogliendo quel filo tragico che lo lega al passato e al futuro, ponendosi al tempo stesso una domanda fondamentale: da dove possiamo ricominciare a sperare?

…..La posizione di Macario è radicalmente critica: in questo libro egli fa sua una forma di filosofia negativa, per dirla con Adorno, che tenta così di vedere le cose in maniera più chiara e, paradossalmente, aprire a prospettive diverse. In questo libro si ritrova lo spirito della Dialettica dell’Illuminismo: la poesia di Macario ci avverte dei danni, per certi versi irreversibili, che una visione iper-razionalistica ha determinato persino nelle pieghi più intime del nostro essere, dei disastri che la deriva etica post- moderna delle non – verità hanno prodotto giorno dopo giorno. Ma così facendo Macario rimette al centro del discorso poetico e del agire possibile, l’irrinunciabile dimensione dell’umano. Certo ferita, colpita a morte in molti casi, ma che resta pur sempre l’unica via d’uscita che ci appartiene.

…..Leggendo questo libro ho pensato a Emil Cioran che con la sua visione tragica e pessimistica della storia e dell’agire umano apriva comunque, alle menti attente, squarci di lucide prospettive. Il mondo così com’è va ribaltato e tocca a ciascuno di noi, ripartendo da se stessi e dalla propria vita reale, dare il proprio contributo. Da questo libro così scuro, disincantato, tragico sorge un messaggio, per nulla scontato, di risveglio.
Prima di tutto si tratta di un risveglio etico, di una indicazione forte a camminare eretti, a non cedere alle tentazioni irrazionalistiche re-azionarie, a non lasciarsi ipnotizzare dalla civiltà della falsa comunicazione e dell’ipocrisia del benessere. Ed è straordinario che questo messaggio arrivi da un libro di poesia, una forma espressiva e comunicativa particolare, non certo così popolare.

…..Nel libro non ci sono messaggi “politici” faziosi, non troverete lamentazioni da salotto borghese e neppure esaltazione pseudorivoluzionaria. Questo è un libro di poesia autentica: per Mauro Macario la poesia è prima di tutto impegno civile, si diceva una volta. La poesia si fa forma del senso etico del vivere e dello scrivere. Pertanto qui troverete il lucido realismo di un poeta che ha attraversato la sua epoca con la piena fiducia nell’uomo e nei valori di una società egualitaria, che ha fatto della coerenza etica della Legge Morale interiore e sociale di stampo kantiano la bussola del suo pensiero e che oggi si ritrova a fare un bilancio critico.

…..La prima sezione è “Ultimi segnali ricevuti”: siamo noi umanisti ora fatti a pezzi, pare dirci Macario, ad essere gli ultimi testimoni di un modo di sentire, percepire, di un‘epoca, meglio, di una generazione in via d’estinzione, sebbene ancora animati da vecchi sentimenti mai abiurati. Non c’è spocchia nè senso di superiorità in questo approccio: c’è invece amarezza e dispiacere. Il poeta s’illude ancora, ma in questa fragile illusione sta la sua possibile forza, per “rendere immortale” la materia (del linguaggio). Tuttavia egli stesso si deve rendere conto che “non decifrava la lingua sconosciuta” (pag. 21). Amara condizione quella dell’uomo e della poesia oggi.

…..La nostra situazione è resa tragica, proprio perché ipocritamente volgiamo lo sguardo distratto altrove: “siamo noi i passeggeri / di questa crociera fantasma / le nostre illusioni si vestono di nero / in un girotondo infantile /che festeggia la vita anche a un passo dalla fine” (pag. 24). C’è il riferimento ad un’atmosfera alla Joseph Roth in questi versi, ad un clima da “tardo impero” che non viene percepito dalla “maggioranza”, direbbero Fabrizio De André e Ivano Fossati, nella sua reale tragica portata. E’ questo tipo di illusione che va respinta. E la poesia, coi suoi fragili mezzi, prova a fare la sua parte.

…..Dall’altro capo del filo della questione c’è il corpo. Che è la concreta essenza del nostro essere, del nostro essere uomini e donne reali in cerca del “senso primordiale di esistere” (pag. 25) e rovesciando gli abituali standard di pensiero, Macario scrive: “Lascia che sia il corpo a essere immortale / chè già nell’anima si muore troppo in fretta” (pag. 26).
Questo desiderio di vita autentica è fondato sulla riscoperta e conservazione del valore del corpo, inteso sia come oggetto metaforico che fisico: ciò sta alla base della possibile prospettiva futura. Prendere l’uomo alla radice e la radice delle cose è l’uomo con i suoi bisogni, il suo corpo materiale, la sua sessualità felice, la sua vita integra. Non a caso Macario stigmatizza la perdita di senso della realtà quando viene ridotta a pura proiezione ologrammatica, virtuale e sottolinea come si stia “perdendo per strada l’alfabeto di un comune sentire” (pag. 31).

…..“Rabdomante o becchino / cerco figure estinte sottoterra… / il ricordo è accanimento terapeutico / dove muore chi si ostina a insufflare la vita / a simulacri sena anima né corpo / scendo nell’arena / sapendo che sarò il prossima / a essere trafitto…” (pag. 35). Non c’è in questi versi la solita litania radical-chic della nostalgia della rivoluzione diretta dai salotti, c’è invece la sincera malinconia del tempo perduto.

…..Il tema del ricordo è infatti centrale, ma va trattato con cura. Quel che conta per il poeta è non perdere di vista le tracce della nostra umanità: “qui non ci si innamora più di una fioraia” scrive a pag. 29; oppure “Una lacrima condivisa è roba d’altri tempi / puoi vederla tornando all’epoca del muto / quando sostituiva la parola / ed era meglio così” (pag. 38). Ma “la memoria non s’arrende / cerca chi scompare” (pag. 45). Si guarda avanti, si accolgono i nodi critici, si accettano gli errori senza scaricare il barile, ma senza neppure rinunciare ai primi propri ideali.

…..Così il poeta ripercorre la sua esperienza personale e si definisce ora un invisibile eretico: “Invisibile è l’eretico/ una spugna di sogni/ che non lava più niente”; ora si de-scrive come “Uomo mai sceso da quei treni mattutini / nei giorni agonici del reggicalze / ancora si fermava il respiro a sipario alzato / dove allo spettacolo seguiva un’accurata regia” (pag. 43). La dimensione teatrale, come è noto, fa parte della vita, intima e professionale, del poeta e la si ritrova in molti passaggi: cito la poesia “Missing” (pag. 45) oppure le poesie “Il mandante” (pag. 47) o “Contromelia” (pag. 52) costruite addirittura come veri e propri monologhi da recitare in pubblico.

…..Il tema del ricordo incrocia quello già citato del corpo e dell’amore ed emergono toni anche nostalgici che fanno da controcanto ai toni accesi, rabbiosi e lucidi delle poesie di denuncia. “Io mi ricordo com’ero ad amare/ in quel tempo là / e come tutto tremavo al suo apparire / già allora predisposto all’assoluto/  da un innesco balordo in cui deflagravo” (pag., 49).
Altre volte appare il senso di smarrimento di un’intera generazione che ha perso la sua battaglia e non ha potuto né saputo generare altre nuove speranze: “Se ne vanno i nostri padri / le nostre madri / siamo figli di tante voci / forse la nostra s’è persa / sotto i colpi di un pestacarne / che ci ha ridotto in polvere” (pag. 50), cosa che si alterna col senso melanconico di perdita che comunque scalda e protegge: “C’incontriamo per lasciarci / è un destino che viene da chissà quale galassia / e finisce in una stazione secondaria / con tutto un bagaglio di buoni odori / e tu che mi lasci dentro la memoria / un sapore che non laverò più” (pag. 51).

…..Macario dipinge così, in questa prima sezione, un affresco poetico carico di sentimenti contrastanti, di pensieri complessi che rimandano ad una ricchezza d’esperienze poetiche e personali notevoli che fanno parte della nostra storia e che, come detto, sanno connettere e mantenere ancora in equilibrio lo spirito critico della denuncia con la propria, e la nostra, incrollabile umanità.

…..Nella seconda sezione “Silenzio radio ad Alphaville”, il tono di Mauro Macario si fa più cupo, passa dall’ironia al sarcastico e propone una sua visione futura di irreversibile sfacelo e distruzione come punto estremo d’arrivo di un degrado prima etico e poi planetario. Lo spunto deriva dal film “Missione Alphaville” di Jean Luc Godar del 1965, film profetico quanto inquietante. “Troppi / eravamo in troppi / ora va meglio / non c’è più nessuno” (pag. 57) questa l’apertura: “Ora i libri dell’umanesimo sconfitto / giacciono sulla pubblica del Web / pronti per la notte dei cristalli liquidi / basta impostare il soft-war” (pag. 60).
L’ironia è amara e le tinte talvolta grottesche: esse prendono corpo nei versi di Macario: “… l’encefalogramma inerte che sventola come una bandiera / l’ovaia unica per la moltiplicazione del consenso / il prodotto biologico vietato perché troppo simile / al sentimento” (pag. 61).

…..La visione è pessimista: “Occorreva estinguersi / un atto dovuto di eutanasia planetaria / perché l’umanità era a uno stadio terminale / agli empori commerciali / gli stupefacenti non funzionavano più / dietro il paradiso per pochi / c’era il cimitero per tutti” (pag. 62) … “occorre estinguersi / nessuno diceva più buongiorno / né arrivederci e grazie / questo fu il segnale / di un regresso antropologico irreversibile / (pag. 63).
E la poesia, scritta in piena pandemia, si chiude splendidamente con uno sberleffo di gusto teatrale: “S’era così realizzata l’agognata unità delle masse / e la Natura con un colpo di tosse / se ne sbarazzò liberando il creato da quell’omicciolo / spuntato in una fase aberrante della catena evolutiva / ma a dire il vero / più che la furia degli elementi/  poté lo sguardo del vicino di casa” (pag. 64).

…..E la dura ed amara ironia non si placa: “Il referto parla chiaro / la causa scatenante / è stata l’amnesia / l’amnesia come arma di distruzione di massa” (pag. 65). Si noti come Macario sia bravo a rovesciare le frasi fatte, gli usi linguistici e le perifrasi consuete in precise e implacabili forme di critica sociale, anzi antropologica. La denuncia del poeta è radicale, il suo tono secco, ancor più reso tale proprio dall’uso di contest e atmosfere cui siamo, nostro malgrado assuefatti dalla comunicazione di massa.
Un bell’esempio è la poesia “Galilea news”: “Rinvenuto un corpo senza vita / sulla spiaggia del Mar Rosso / il cadavere presenta una ferita / al costato / il capo è cinto da una corona di spine / né la ferita né la corona di spine / sembrano essere la causa della morte”. / Eseguita stamane l’autopsia/  del cadavere trovato sulla spiaggia / dallo stomaco è stato estratto / un sacchetto di plastica. / Il medico legale ha dichiarato / senza ombra di dubbio / che l’involucro ingerito / ha causato la morte dello sconosciuto” (pag. 68). Notare il canto e la metrica, l’attenzione maniacale per la posizione delle parole, l’uso straniante del lessico ordinario della televisione che però conferisce alla poesia un sapore amarissimo. Una sorta di cortocircuito comunicativo che fa della poesia il mezzo per farci riflettere, per dare uno stop ed invitarci a cambiare rotta. A questo ci siamo ridotti.

…..Ma è da qui che dobbiamo ripartire: “resta la lingua dei segni/ se non ci tagliano le mani” (pag. 70). Certo, non ci capiamo più e rischiamo l’afasia, presi come siamo nell’immortalità presunta di “un mi piace un commenta un condividi” (pag. 76), travolti dai cambiamenti climatici, da escort robot, aggrappati a oggetti e decori preistorici come “l’albergo degli amanti perduti” (pag. 83). Il rischio è enorme: “secoli di cultura” (pag. 88) potrebbero essere cancellati sostituendo “la letteratura con l’economia” lasciando spazio ai “primi grugniti di una civiltà a venire” (pag. 89) che non annuncia niente di buono.

…..Ma è da qui che dobbiamo ripartire: la lingua dei segni che ci resta è questa povera poesia malandata ed offesa, resa residuale, progetto e prodotto di nicchia accusata magari di essere snob, ma arma letale se sappiamo guardare oltre il muro che giorno dopo giorno stiamo alzando tra noi e la ragione, tra noi e la morale di un comune sentire.
Questo pare voglia dirci Mauro Macario: solo se abbiamo il coraggio “di togliersi le scarpe, uscire sul balcone dell’ipocrisia e stare in equilibrio sul cornicione dell’attuale vita, con il coraggio di guardare giù” (scrive Paolo Gera nella sua introduzione, pag. 18), solo così potremo venirne fuori.
Alphaville è un non-luogo che assomiglia molto al nostro mondo: dopo Auschwitz diceva Adorno non si può più fare poesia. In effetti abbiamo continuato a fare poesia: per Macario l’utopia non può che essere nominata a partire dal suo negativo, ma per fortuna siamo qui che proviamo ancora a raddrizzare questo ramo storto che è l’umanità e senza la poesia non c’è speranza.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Mauro Macario è nato a Santa Margherita ligure nel 1947. E’ poeta, scrittore, regista. Ha pubblicato nove volumi di poesia: “Le ali della jena” (Lubrina, Bergamo 1990), “Crimini naturali” (Book editore, Ro Ferrrarese 1992), “Cantico della resa mortale” (Book editore, Ro Ferrarese 1994), “Il destino di essere altrove” (Campanotto, Pasian di Prato 2003), “Silenzio a occidente” (Liberodiscrivere, Genova 2007), “La screanza” (Liberodiscrivere, Genova 2012) Premio Eugenio Montale Fuori di Casa 2012, “Metà di niente” (Puntoacapo editrice, Pasturana 2014), Premio Lerici Pea 2015 per l’Edito, l’antologia dei suoi testi tradotti in Francia “La debacle des bonnes intentions” (La rumeur libre éditions). Ed infine l’opera omnia che racchiude tutta la sua produzione poetica “Le trame del disincanto” (Puntoacapo editrice 2017). Ha scritto la biografia del padre “Macario un comico caduto dalla luna” (Baldini& Castoldi, Milano 1998), e un secondo libro di carattere privato “Macario mio padre”(Campanotto, Pasian di Prato 2008).
Nel 2004 esce il suo primo romanzo “Ballerina di fila” (Aliberti editore, Reggio Emilia). Suoi sono i testi del libro fotografico “Fabrizio De André in volo per il mondo” di R. Kohl (Mori editore, Aulla 2001) e del successivo libro collettivo sullo stesso poeta in musica “Volammo davvero”(Bur,2007).
E’ curatore di quattro antologie: due sulle opere di Leo Ferré: “Il cantore dell’immaginario” ((Eleuthera, Milano 1994), e “L’Arte della rivolta” (Selene, Milano 2003), la terza , insieme a Claudio Pozzani, sulle poesie di Riccardo Mannerini “Un poeta cieco di rabbia” (Liberodiscrivere, Genova 2004) e la quarta intitolata “L’invenzione del mare” (Puntoacapo editrice) vede 13 poeti liguri contemporanei interpretare il mito del mare.
A parte è da segnalare un libro di carattere taoista “ Tai Ki Kung –Alchimie in movimento” (Liberodiscrivere, Genova, 2014).
Nel 2011 esce una sua traduzione dal francese di “Alma Matrix”, prosa poetica di Léo Ferré, per la casa editrice Liberodiscrivere.

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