“Polena” di Anna Leone
(Puntoacapo Edizioni, 2020)
…..“Polena” di Anna Leone è una raccolta poetica divisa in due sezioni. La prima eponima è un canto che intende ricreare, attraverso la parola, la presenza viva di sensazioni carezzevoli e sensuali.
Qui Leone spinge la prua della sua poesia verso la terra sconosciuta del desiderio di autenticità, dà fiato a metafore dell’amore sublimandone l’aspetto carnale attraverso forme aree e delicate, ma non si sottrae alla descrizione sincera dell’amore provato, vissuto, coltivato. In qualche modo, sin dal titolo della silloge, viene espresso un modo specifico di intendere il femminile e l’eros: le Polene stavano sulla prua della barca e, fin dai tempi antichi, hanno avuto varie valenze e significati. Esse erano segno di scaramanzia contro le avversità del mare o di ossequio per ottenere protezione, intese come creature viventi, capaci di intravvedere la rotta con fronte prodiera. Poi, nel corso del XVI secolo, divennero figure femminili in contrasto con l’avversione dei marinai per la presenza delle donne, considerate portatrici di sventura, ma pur sempre mitizzate e sognate.
Tra questi due poli si inserisce uno dei messaggi del libro: esprimere poeticamente l’idea della donna come colei che sta avanti a tutto, capace di intuire, prevenire e, se occorre, proteggere chi ama. Donna che affronta tempeste e che nella lotta si trova talvolta da sola.
Nuda agli approdi,
fronte prodiera
tra due infiniti blu.
Esule tronco,
muto di canti di fronde e nidi,
orfano della terra che lo nutrì.
Immobile simula sull’acqua passi scalzi,
carezze tra varchi d’azzurro,
danza di fianchi e ventre
senza consegna,
di figlia mai nata al mondo.
L’ombra dei velacci
è il suo sol riparo
al tremore di derive.
Va lungo sfide d’acqua
e il corpo va sognando,
si bagna fino al buio
poi offre seni tesi
alla luce dell`alba.
Polena sui marosi
di tutti i mari,
sotto tempeste di desideri.
….“Nuda agli approdi, / fronte prodiera / tra due infiniti blu” (pag. 13): la poetessa prende dunque di petto il mare aperto della vita, lei che è “Polena sui marosi/ di tutti i mari, / sotto tempeste di desideri” (pag. 13). E ancora in un altro testo “e il salice, chino, / leccava la saliva/ di un bacio/ ancora da fiorire, / da rifiorire ancora/ sull’ultima bocca” (pag. 15).
…..Altro esempio sono i versi” “E dimmi, dimmi, / quand’ero duro mallo, / prima del gheriglio, / mi avresti portata alla bocca / per maturarmi il seme / nel tuo fiato caldo? (Pag. 17) … “fioriscono gesti /ogni volta / che il respiro risale… “Ci sono notti / il cui cielo è un sottilissimo / tamburo / su cui battono lingue / sconosciute / per riconoscersi / in una sola voce / dentro il salmo gaudioso / degli sposi”. pag. 19)
…..Il taglio di Anna Leone è dunque diverso da quello di Maria Luisa Spaziani che scriveva sullo stesso tema della polena versi più melanconici:
Io sono la polena che qualcuno ha salvato
dalla demolizione di un veliero.
Aquila su scialba insegna d’osteria,
non fisso più orizzonti né tempeste.
Tu che passi sforzati di credere
allo slancio delle mie ali spiegate.
Ai fianchi dello scafo convergono gli oceani.
A me, immobile, i cieli reggono il volo.
Da “Pallottoliere celeste”, “Lo Specchio” (Mondadori, 2019)
…..Anche Anna Leone però si affida all’eleganza del verso, che crea atmosfere sospese tra il desiderio e la nostalgia, che assume la forma di un carezza delicata con immagini trasparenti, a mezze luci, ma comunque espressione di una gamma di sensazioni mai invasive, “mediate” dalla ricerca di forme liriche attente, ma sfumate: “Soggiacciono mercuriali/empiti- / – sciogli piano/ gli inevasi perché, mi dico/, questa dolcezza/ sottintesa, / prima di portarla/ alla bocca/ a maturarti il seno– “(pag. 25).
…..La forza di questa poesia sta nella sua capacità evocativa, nell’emozione interiore che mi ha ricordato persino l’antica, ma sempre viva, poesia di Anna Achmatova: una poesia che fonde spiritualità e carnalità con sprazzi di naturalezza espressiva sorprendenti.
Come accade in Afasia:
Di quando smetto
parole
e migrano i chiari
fino al buio,
ombre usurpano respiri,
mentre nocche
si uccidono in silenzio” (pag. 26)
…..Oppure nei versi “Di riflesse somiglianze/ sei spina al fianco;/ mi scuci dentro/ ma più non sanguino” (pag. 27).
…..E ancora:
Vorrei un’ora muta,
una soltanto,
dove neppure il vento,
neppure la pioggia battente,
neppure il battito alle tempie.
Solo la pelle e il suo odore
e un ventre di memoria
da cullare fino al sonno” (pag. 35)
…..In questa prima lunga sezione, Anna Leone non si ferma ad una poesia che potrebbe essere letta come impressionistica, sentimentalistica: la poetessa va oltre ed esprime con lucidità la sua poetica: ascoltare il mormorio della vita, traendo dal buio del silenzio le voci delle cose e dei sentimenti, dei ricordi e degli affetti. Niente di nuovo, si potrebbe pensare, ma in poesia quel che conta è il modo di dirle, le cose:
“Gli scricchiolii che sento/ sono del legno che respira/ per gli spazi che concede. Ora so, per somiglianza, / che non sono assoluta, /ma un reticolo dentro cui avvengo…. La mia voice inconfondibile/ è il prima del mio intimo giardino, / acqua del midollo/ della mia appartenenza” (pag. 36/37)
…..In tale direzione Anna Leone introduce elementi di riflessione: un pensiero teso verso l’individuazione di un senso estetico che protegga la parola nel confronto duro con l’esperienza della vita stessa. La poesia fa da scudo: non si tratta di negare la pesantezza della vita, che talvolta non riserva momenti felici, ma di alleggerire il tutto proprio attraverso l’idea che la bellezza può nascondersi ovunque: “Spostare il limite al dolore, / fare spazio/ alla sotterranea parola /che sale e commuove/ Fino al pianto, fino al pianto…” (pag. 44)
Così Anna Leone ci propone una poesia per nulla condizionata da tanta freddezza contemporanea pseudo oggettivistica: lei stimola il “sentimento”, sa maneggiare il suo lessico poetico senza inutili sverniciature classicheggianti. Resta sobria, ma consapevole che la poesia è una forma di linguaggio “altro” da proteggere (e che, appunto, protegge) attraverso l’uso di sinestesie e forme originali di aggettivazione o di consonanze, come ad esempio: “Grigio opalescente irrora, / non irida, irride innocenza. Vero nera fame, / alabastrino il freddo, /diamantina la sete, / più buia del buio la notte sola (pag. 50).
…..Anna Leone ci dice che “si vive l’incipiente/ espugnando roccaforti, di memorie, / tesi nell’arco del possibile, / senza indizi o previsioni… Si vive nel tempo eroso, / occhi tratti da piccole visioni/ coi fiati agonizzanti” (pag. 54) e che la poesia soffre di “tagli che affettano/ il silenzio/ in ipotesi di agnizione, / sempre in ritardo sul dolore”.
Nei suoi “riverberi di fonemi/ imbrigliati in una rima” si cela tuttavia la possibilità di una via d’uscita “io amo la voce sobria, / non concrezione/ ma frizzo che sale/ lungo steli d’esistenza” (pag. 55). Tra questi due poli, ricercatezza e sobrietà, si pone la poesia di Anna Leone. Così il ritmo dei suoi testi non è mai aggressivo, spezzato, ma delicato, liscio, fluido e continuo: piacere e dolore si fondono e confondono. Lei cerca la commozione leggera e cordiale fatta di “vibranti sinapsi e percezioni”, “una commozione/ che sale/…. Parola viva nella bocca, / fino al balzo fuori/ a farsi voce” (pag., 56). Poesia che viene da dentro, ma che coglie il lettore come ipnotizzato da versi che riescono a descrivere situazioni emotive intime, attimi colti dall’occhio del poeta, luccichii di vita inappariscente.
…..Ma emergono anche momenti specifici, ad esempio tipici della “poesia civile”, con stile sempre controllato, senza mai cedere a forme difficili da gestire senza una certa forza e padronanza di toni e misure poetiche specifiche.
Consapevole dei limiti e delle trappole che questo “genere” nasconde, Anna Leone scrive: “Come vi fosse sempre/ un conto in sospeso, / una storia da riscrivere in fretta, / con retroattive ragioni e postulai antichi/ su lingue infuocate, atti a redimente Popoli e Nazioni … Come se dovessimo ancora e ancora/ contare i morti, /dare nome ai corpi mutilati/ ai visi con le gole aperte alla paura/ con gli occhi immobili/ all’assalto di fuoco/ sui selciati estivi della festa. (pag. 51).
…..Nella seconda sezione “Tempo sospeso” l’autrice non cambia stile, né registro espressivo, ma ciò che cambia è lo scenario, che si fa più preciso e circoscritto: l’autrice ci porta sin dentro al cuore del nostro duro presente. Un presente segnato dalla pandemia, dalla solitudine e dalla tristezza dell’isolamento. Che sono letti con occhi discreti. Tutta la raccolta, e questa parte in particolare, è impregnata di tematiche esistenziali che, in questa sezione, ritrovano un concreto riferimento al periodo molto sofferto in cui tutti abbiamo tutti sentito il senso del limite e della precarietà, ma che ci ha spinto anche a ripensare la necessità di ciò che prioritario ed essenziale, a rivalutare una nuova forma di fiducia nelle risorse umane, un nuovo possibile senso di comunanza.
…..Anna Leone cerca forme di resilienza ancora una volta nella lirica raffinatezza del verso, nel gioco linguistico disciplinato della poesia che si apre a prospettive di riflessione più profonde. Occorre infatti “cercare di mantenerti intatta” (pag. 63) e “…imparare a farci trovare, /per essere salvati /senza una mano calda /sopra il capo” (pag. 65). Leone invita a pensare che “trarre linfa/ da tutti i passaggi/ esperienziali/ è cosa altissima, / che solo asceti e poeti.” e ci dice che “quindi guarderò un geco, / farò la posta/ alle formiche.” Pur sapendo che tristemente “siamo ninfe relegate/ al bisogno soltanto.”.
Qui le poesie riportano una data e sono state scritte per la maggior parte nel marzo 2020 come in un diario quotidiano: l’io poetico non si nasconde, ma al tempo stesso sa prendere le distanze dal mondo con saggezza “Su tutto/ non abbiamo/ l’ultima parola, / non sul cerchio/ che si chiude/ fino al buio” (pag. 77) e “perfino l’Angelo/ dietro il cancello, /attende il momento / dei crisantemi” (pag. 76). Viviamo un tempo sospeso, ma la speranza è grande e viene dalla bellezza, dalla carezza della poesia che non si limita a consolare, ma apre a nuove prospettive: “perché noi siamo/ chiari germogli/ di attigue carezza/ e il celo è appena, /poco dopo le dita” (pag. 79).
…..Potrebbe apparire vagamente estetizzante questo desiderio di bellezza, ma Anna Leone ha una scrittura fluida, emotiva, e non insegue estetiche o scuole predefinite: a lei interessa la profondità dell’emozione. Scrive Mauro Macario nella sua partecipata prefazione: “ E c’è un altro mare infine dove Anna veleggia in regate solitaria, un mare di vetro: la sua poesia”. Macario critica così tanta poesia contemporanea afflitta da versi “contorti, glaciali, tecnicistici”. Qui troviamo invece versi “portatori di una grazia rispettosa, di una laica sacralità, di una delicatezza antica in ambito moderno. Scrive con una brezza leggera sul viso. Come una Polena” (pag. 7).
…..Stefano Vitale
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…..Note sull’Autrice
Anna Leone nasce a Matera, dove trascorre la sua prima infanzia. A sei anni si trasferisce con la madre e due fratelli a Genova, dove tutt’ora vive con i suoi tre figli. Come autrice ha cominciato a pubblicare nel 2010 su vari siti di poesia come In Parole Semplici e Scrivere.
Ha curato diversi blog e pagine personali. Alcuni suoi testi inediti compaiono su La dimora del tempo sospeso di Francesco Marotta, su Neobar di Abele Longo, su Poliscritture di Ennio Abate. Il suo primo e-book, Per certi versi, è stato curato dal poeta genovese Massimo Sannelli ed è scaricabile dal blog personale Intermittenze.
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