“L’ invidia”
di Alain Elkann (Ed. Bompiani – Euro 13)



Sono curiosa, confesso, curiosissima di vedere chi sarà il critico che avrà il coraggio di recensire quella “cosa” chiamata romanzo edita da Bompiani, in cui l’autore dà il meglio di sé per complessità di trama, caratterizzazione dei personaggi, forma lessicale e profondità di contenuti.

È l’unico pensiero che viene spontaneo dopo le due ore trascorse nella lettura (piano-piano) delle non più di 100.000 battute – spazi compresi – in caratteri classici, corpo 14, il cui titolo “L’invidia” è l’apoteosi della banalità.

Non più di 100.000 battute naturalmente contando i ringraziamenti a Elisabetta Sgarbi e altri più o meno familiari tra cui però non figura l’unica alla quale l’autore sarebbe opportuno accendesse un cero tutte le mattine.
Non più di 100.000 battute per la modica cifra di Euro 13.
Non più di 100.000 battute nelle quali si narra la storia di un piccolo (in quanto meschino) borghese che per avvicinarsi a un personaggio famoso – di cui invidia soprattutto la capacità di farsi pagare le opere – nell’intenzione di intervistarlo (che caso!) usa tutte le persone che incontra ossessivamente (che caso!), ma pur avendone l’occasione, forse conscio della pochezza delle domande che avrebbe posto (che caso!), si ritrae e preferisce ripiegare su un romanzo (che caso!).

Non si sa se anche l’eroico protagonista de “L’Invidia” riuscirà a trovare un editore altrettanto compiacente, ma è sicuro che questo simpatico peccato capitale, anche se goffamente descritto, è un tema ben conosciuto e assai caro all’autore.

Di Alain Elkann non si capisce quella disarmante insistenza di presenzialismo, anche tra i narratori, quando il suo prestigioso incarico al Museo Egizio di Torino potrebbe essere motivo di grande orgoglio, di altrettanto lustro e di incondizionata approvazione nell’ambiente circostante: alle mummie, immobilizzate e imbavagliate da secoli, non è concessa alcuna forma di dissenso!

Excalibur

 

Note della Redazione:

– Siamo lieti di poter soddisfare seduta stante la curiosità di Excalibur. Il critico è Lorenzo Mondo che, su “La Stampa”, recensisce la novella opera (operetta?) di Elkann compiendo (lui sì) un vero capolavoro di destrezza per non dire di “L’invidia” ciò che andrebbe detto se la Proprietà del quotidiano gli permettesse di farlo impunemente. Perché un giornalista con il nome di Mondo, poi, si assoggetti all’obbligo di compiacere chi gli fa pagare tanto caro il suo lavoro, non ci è dato saperlo. Possiamo però supporlo: laddove non è più questione di guadagnarsi la pagnotta, subentra quel deteriore senso d’incondizionata appartenenza al gruppo-clan-consorteria-lobby-monopolio culturale (o giù di lì) che rappresenta il vero limite della libertà di espressone nel nostro Paese. Quello, per intenderci, che secondo le statistiche dell’insospettabile “Freedom House” ci fa scivolare ad un vergognoso 74° posto nel mondo (che caso!) per attendibilità e completezza d’informazione.

– Sempre agganciandoci al pezzo di Excalibur, poi, specifichiamo che l’insieme di 100.000 battute – spazi compresi – dalle quali è composta l’operetta di Elkann, vengono chiamate dal dottor Mondo “racconto lungo”. Definizione corretta. Se di un racconto si tratta, è davvero troppo, inutilmente lungo: e tale resterebbe anche se al numero delle battute – spazi compresi – fossero tolti tre zeri.

– Circa l’alto prezzo di copertina (€. 13,00), precisiamo che non è certo dovuto alla cura della stampa (modesta), alla qualità della carta (pessima) o ad altre raffinatezze nell’arte della tipografia, bensì dalla necessità dell’editore Bompiani (Gruppo RCS, che caso!) di recuperare una minima porzione dei costi di pubblicazione di fronte all’invenduto che viene a stipare regolarmente i magazzini della casa editrice per ogni nuova uscita di Elkann: cioè del papà di Jacky, Lapo & C. Nonché dell’ex marito di colei che – ci rammenta Excalibur- è “l’unica [donna della sua vita] alla quale l’autore sarebbe opportuno accendesse un cero tutte le mattine”.
Il perché del cero? Boh, non lo sappiamo. Né vogliamo dare credito alla voci malevole (e piene d’invidia, che caso!), pronte a sottolineare i privilegi, anche a lungo termine, di matrimoni e divorzi eccellenti.

– Soffermandoci ancora un istante sui ringraziamenti, non fa specie che l’Autore adotti l’uso americano di gratificare d’un cenno stampato chiunque abbia avuto una pur minima parte nella nascita del volume (editors esperti, mogli-mariti-figli pazienti, cani canarini e criceti di casa intronati dal perenne ticchettio della macchina da scrivere…). Non stupisce perché, nella fattispecie, i personaggi citati sono ben più che collaboratori devoti: sono rei di complicità nella squallida burla, perpetrata con arrogante dileggio ai danni del lettore italiano che, per atavica pigrizia o connaturata ingenuità, nelle sue scelte d’acquisto si appoggia sulla propaganda televisiva, sugli autori dal volto televisivo, sui nomi di risonanza televisiva.

– Dice bene, Excalibur, quando rimarca il mancato, fatale dissenso cui sono costrette le mummie. Quelle, però, restano confinate in un prestigioso spazio museale: fuori da lì esiste un mondo di vivi semoventi, sepensanti e separlanti la cui opinione è assai difficile, oggi, da tacitare. Meno che mai da bloccarne la diffusione. Resterà soggettiva, s’intende, ma farà sempre più da contraltare alla voce di un “sistema” culturale e letterario oramai obsoleto che – ne prendano atto i soliti usufruttuari – ha i giorni contati: malgrado le resistenze davvero strenue che, non facciamo per dire, si notano alquanto.

La Redazione de “Il Giornalaccio”

 

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