QUARTETTO POETICO
MORINELLI, FLORIS, SPANO, GALLO
Note di lettura in vista dell’estate
Segnalo quattro libri della casa editrice Puntoacapo che da anni si distingue per la sua azione importante nell’ambito dell’editoria per la poesia.
Stefano Vitale
La poetica di Giancarlo Morinelli in “Accompagnarci all’alba” appare tutta concentrata nella dialettica tra sentimento del limite e desiderio di espansione, tra retroproiezione nel mondo del già-stato e fuga in avanti verso uno spazio tutto da costruire; tra interiorità e natura. Da questa dinamica, che si articola, snoda, scompone e ricompone, nasce una poesia lucida e al tempo stesso sognante, talvolta laicamente mistica, sospesa, ma mai irrisolta, sempre precisa, lucida. Gli aspetti dell’esperienza quotidiana si trasfigurano sotto la lente del poeta che sa tenere perfettamente a freno gli eccessi di ragione come quelli emotivi.
Poesia di grande equilibrio che però non rinuncia mai alla vertigine. Il linguaggio è ricco, ma mai pesante, misurato ma mai artificioso, tutto incorniciato com’è sempre dalla ricerca del “senso delle cose”. Così le metafore sono sempre intense, ricche di risonanze, incisività. Significativo l’uso dell’enjambement , dello spezzare il ritmo del verso in modo da dare una cadenza “musicale” al testo. Il suo lirismo filosofico esprime così una poesia che si apre a spazi “romantici”, nel senso storico-filosofico del termine, inteso quindi come spinta verso l’infinito, di olismo poetico, come spazio mentale che va oltre il dato, pur confrontandosi col peso del reale.
Con questa poesia, comunque sempre molto concreta, benché sostenuta da un afflato filosofico che si muove in una dimensione fenomenologica ed ermeneutica, Morinelli sa darci emozioni poetiche profonde ed immagini che restano ben chiare nella memoria del lettore.
Come vanno bene a capo
le formiche, le forme viventi
seguono direzioni obbligate, noi
ci attardiamo sul margine di humus,
liberi di ballare sui cornicioni,
con questi passi sporchi di terra, l’anima
sillabata tra lingua e denti.
Cantiamo di lici sparse, contiamo
le facce sparse nel paretaio, ma
ci insegnano le particelle più elementari
che la caccia ai bosoni è vietata,
per noi è un terno safari.
***
I sentieri sono entrati nel bosco,
hanno trovato un respiro infinito
nel mio fiato corto.
E’ una specie di allucinazione,
l’anelito di una bellezza purissima
in un corpo che si consuma,
ma deve nascere ancora, per noi,
la tua voce piccola, piccola,
che diventa coro nella tempesta,
una mandorla di luce raccolta
sulla strada, è la chiave di quella soglia,
un passo nell’assoluto, un sì.
***
Viviamo alla giornata, ma
ci comportiamo da dei,
come fosse ogni istante eterno,
ma sia deboli divinità,
imprigionate in un corpo che brucia
al giro di clessidra,, ma
non è l’immortalità dell’Empireo,
non è la quiete rotonda dell’Uno,
ma vogliamo bene ancora quest’acqua
e rifare quel sentiero che va
verso cassa, che sa di buono,
di ogni fiore è la bellezza di Te
che mai muore.
***
L’immenso ci raccoglie nelle buccia del reale,
dietro la cornice dello sguardo, elettroni probabilistici
frullano a novecento chilometri al secondo
in ogni centesimo di milionesimo di centimetro..
e così, dicono, il mondo ci appare solido.
Accogliere l’immenso dietro i travestimento,
dietro i continui rimandi dei codici di codici…
dietro le quinte dello spettacolo ci spogliamo
dell’inquietudine di inutili battaglie contro il vento.
Cosa c’è sotto, cosa rimane di cosa?
Siamo luce pulviscolare di quest’alba, siamo nell’onda
E nelle risacca, siam quest’ombra che prende vita
Sulla roccia, siamo formiche d’inchiostro
Che anelano lo spazio bianco della pagina.
Abbiamo ali per guardare oltre il muro,
oltre i cocci aguzzi di vetro, siamo le tracce
di un cammino che vediamo perdersi
in una pozzanghera, immersi nel piscio
della grandezza siamo immensi
quando riconosciamo la nostra miseria.
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Raffale Floris col suo “Senza margini d’azzurro” ci conduce in un universo poetico di stampo elegiaco dove ancora ritorna l’eterna sospensione esistenziale “tra riflessione personale e sentimento del tempo e sui destini umani” (Mauro Ferrari).
La raccolta è costruita comunque su registri formali e tematici eterogenei, e dimostra che Floris sa controllare con bravura modalità espressive diverse pur senza mai perdere di vista la propria linea poetica personale. Una poetica fatta di riferimenti quotidiani, di piccole grandi cose, di memorie familiari, di un sentimentalismo della natura e degli affetti molto marcato.
La vicenda autobiografica del poeta è presente, ma diviene motivo per ampliare lo sguardo e coinvolgere il lettore nel viaggio rapsodico del poeta. Spesso il punto di partenza è una situazione concreta, immediata, apparentemente semplice; altre volte l’incipit svela subito un intento riflessivo, altre ancora si coglie la volontà del poeta di utilizzare la forma poetica per comunicare a distanza con amici, persone, luoghi.
In due sezioni sono presenti degli haiku che rappresentano per molti poeti una classica tentazione: quella di cogliere nella sintesi estrema, poeticamente aforismatica, istanti irripetibili che divengono così eterni. Va detto che l’endecasillabo è in realtà la forma preferita dal nostro autore, che però non disdegna di misurarsi con altre forme. La solennità del gesto poetico di Floris sfugge comunque ad ogni forma di retorica e resta sempre saldamente ancorato ad un’idea di poesia che parla sottovoce, che resta colloquiale, che sussurra con la potenza disarmante della discrezione il suo credo poetico.
Senza margini d’azzurro
Abbiamo soffocato anche gli odori
della cucina, la finestra ha un cielo
angusto contro i vetri, senza margini
d’azzurro, senza voci di ragazzi.
E noi, che abitavamo nei cortili
come briganti, dov’è il nostro cielo?
Dov’è il sapore della nostra vita
Il profumo dei tigli
Si accenderà l’estate: come un’estasi
ci stordirà. Chissà perché il profumo
dei tigli strazia il cuore. Giugno è immenso:
oro a perdita d’occhio, desiderio
che pulsa, voglia bianca di sentieri.
Da soli, non ci resta che l’autunno:
noi, come pane lasciato in cucina.
E il profumo dei tigli strazia il cuore.
L’ autunno sospeso
C’è gente qui, c’è un sole quasi ingiusto
che sospeso l’autunno. Si trascina
l’attesa della pioggia, non c’è vita
nei giorni. Oggi non riesco a dirti niente
di me, di lei, del tempo che non torna,
di quel silenzio assurdo nelle sere
d’inverno. Ho camminato dentro il buio.
Accedo un lume. Tornerò domani.
Una vita senza nome
A pochi passi dalla tangenziale,
tra i piazzali deserti delle fabbriche,
sotto la pensilina arrugginita
degli autobus si è fermata una donna.
Impeccabile nel suo tailleur grigio
quasi solenne; incolume, stranita,
curva sul prato raccoglie cicoria.
Erba da cucinare, e intorno niente!
Gli occhi rivolti al fiume delle macchine,
sentirsi addosso il puzzo degli sguardi
scrutare la sua vita senza nome.
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Emanuele Andrea Spano è al suo esordio poetico con “La casa bianca”. Poesia tutta immersa nel calore melanconico delle memorie familiari. Poesia che sembra dover pagare un debito con la propria terra d’origine, che cerca di elaborare un lutto facendo emergere il senso di appartenenza ad un luogo, ad una famiglia. Poesia del paesaggio (pugliese) e delle radici che usa forme e stilemi narrativo-riflessivi, poesia che appare come una sorta di laico “atto di fede” verso le proprie origini.
Lo spazio della memoria invade le pagine, le alimenta con immagini nitide e dolenti, con passaggi luminosi e al tempo stesso venati da una inevitabile nostalgia. La poesia attraversa così temi profondi: la vita, la morte, gli addii, il ritrovarsi. Il senso della distanza, del viaggio materiale ed interiore nel tempo e nello spazio vengono ben resi da poesie sempre attente a calibrare le emozioni, le descrizioni, i ricordi intrecciandoli con racconti e situazioni personali che tuttavia aprono sempre ad un mondo più vasto, che ha una sua precisa connotazione culturale e che fa pensare alla poesia “paesistica” di Franco Arminio, anche se Spano fa appello anche a Luzi e Sereni. Il lessico è limpido nel suo essere diretto, il tono sempre colloquiale.
Il libro è una sorta di diario intimo degli affetti perduti, ma radicati nell’animo. La raccolta ha come una dimensione antropologica, non certo archeologica, ma sicuramente con lo sguardo rivolto ad un passato che resta dentro, che è presente, orientamento per l’oggi e il domani. Così le poesia di Spano non appaiono mai “datate” o troppo connotate e riescono a coinvolgere il lettore in un viaggio verso il Sud di ciascuno di noi.
Ci eravamo detti che non avremmo
pianto, che – si sa- la vita assegna
o toglie per calcoli non dati,
che il corpo scivola tra il bordo e
il niente, al promo soffio, e il letto
non fa in tempo a svuotarsi, che il bianco
annega nel lenzuolo e la morfina
smette la sua goccia, prima che sia alba
***
I vivi qui non hanno nome, scelgono
La foto, il taglio della cornice,
si contendono la pietra più bianca
che brilli nell’azzurro vuoto
dell’inverno, si comprano a rate
il posto, l’affaccio sulla strada
maestra, la nicchia da cui guardare
il farsi del mondo, anche dopo.
E il paese cresce intorno, getta
mattoni oltre la linea dei cipressi,
affossa la polvere nel cemento
finché la vita non seppellisca
la morte, o morte e vita non siano
una cosa sola, una resa muta alla terra.
***
Avevamo discusso a lungo se
demolire gli scalini che si perdono
nel vuoto del cartongesso,
se scorticare la volta della calce
o aprire la nicchia del comò fino
alla luce fredda della finestrella,
se fare spazio allo spazio, costretto
tra gli angoli e le curve della stanza,
ingolfato di foto, di bomboniere
lasciate alla polvere del tempo, erose
dal tarlo che spacca il legno dell’armadio.
Come se esistesse un mappa, una traccia
da seguire oltre la morte, una geografia
degli affetti da consegnare alla casa.
***
Le mura di sale
C’è un accordo tacito tra la linea
dell’orizzonte e la sigaretta,
sospesa nell’aria, tra lo scafo
bianco della barca e le righe blu
del suo costume. C’è una vita che
lievita lenta nel fumo azzurro
inghiottito dall’azzurro più fondo
del mare, nello sguardo che fruga
nell’acqua alla ricerca di un senso.
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Sergio Gallo ci offre questo saggio di scrittura poetica mettendo insieme delle “poesie sulla montagna” scritte tra il 2006 e il 2018. Una raccolta “tematica” che mostra come sia possibile concentrare la propria attenzione letteraria su un argomento mirato e, al tempo stesso, aprire a modulazioni e suggestioni vaste.
Beppe Mariano nella sua prefazione ha scritto: “Sergio è uno dei pochi poeti a crede e a tentare il raccordo tra la parola poetica e quella scientifica con esiti spesso interessanti e felici”. Già questo è importante perché è come se Gallo tracciasse un confine, cosa che per un poeta è essenziale. In tal senso, il suo essere poeta-escursionista, amante (nel senso letterale e materiale) della montagna, non si trasforma in una scontata elegiaca devozione dell’ambiente-montagna, ma diviene lo spunto per intrecciare, da un lato, le suggestioni dell’esperienza diretta con i temi esistenziali suggeriti dall’argomento. E la lingua qui è tutto: è ciò che trattiene il poeta sul sentiero, che spinge il lettore al fondo della lettura, che dona alla poesia la sua ragion d’essere.
La salita in montagna è reale e al tempo stesso simbolica: movimento ascensionale che invita l’uomo a dimenticare l’inessenziale per concentrarsi sul respiro, sul passo e a guardarsi attorno. Lo sguardo coglie l’inatteso, ma sono tutti i sensi ad essere in gioco, è come se l’umano ritrovasse se stesso, ma non nella retorica della solitudine quanto nelle necessità della comunanza con la natura, gli animali, le rocce, le pietre, l’aria. C’è qualcosa di antico e di sempre attuale in questa poesia, c’è qualcosa di elegiaco, ma a che di lucido, rigoroso; c’è la chiara voglia di raccontare che si sposa con il guizzo dell’immagine improvvisa.
Dicevamo della lingua: Gallo a mio modo di vedere sa connettere il suo istinto di poeta (che sa rendere con la densità del linguaggio grumi di immagini e pensieri) con la propria cultura fatta di precisione, capacità definitoria, lucida analisi delle cose. In questa maniera la prosa entra nella poesia senza problemi, anzi aiutando a risolvere questioni di struttura, d’architettura dei testi.
La cima è sacro tempio
dove ritrovare
la perduta armonia.
Tregua indispensabile
ad angustie e tormenti.
Culla dove il tempo
cessa di esistere.
E’ luogo dello spirito:
interiorità ed esperienza
si congiungono in matrimonio
ego ed inconscio s’annullano
in un ebbro brindisi.
Il corpo e l’anima, soave musica
viaggiano all’unisono.
***
Vademecum
La persona che incontri
lungo il sentiero: salutala,
guardandola negli occhi.
Sorridi cordiale a chi può darti
informazioni preziose,
con esperienza indirizzarti
verso viottoli migliori.
Insegnarti qualcosa
nel breve scambio di qualche parola.
Non ignorare la persona
che incroci lungo il cammino:
oggi stesso potrebbe
-senza esitazioni-
salvarti l’esistenza.
***
Crète de la Taillante
In equilibrio su rocce fragili
come sottili gusci d’uova.
Cocci taglienti di piatti
lame di coltello, spade, stiletti
pronti a trafiggere,
a ferire.
Enormi bancate di roccia
conficcate nella terra
obliquamente
fino al lungo
dentellato
sperone.
.l….. tracce di sentiero
ingoiate dall’erba,
dalla massa franante
di pietre insidiose….
Raggi tangenti che accecano,
carcasse di pensiero
che esplodono:
fobie, allucinazioni, torture.
***
Becco di Lepre
Cuspidi di scisto lamellare nero
svettanti di fronte al lago
delle Oronaye. Specchio
del Mondo? Grembo di Dio?
Che la verità sfili silenziosa nell’aria
Come un aliante che nessuno vede
Perché nessuno più guarda il cielo,
Si fabbricano miti senza indugi
Ed una targa ben presto porterà
Inciso anche il tuo nome. Il resto
Ricordi, sentimenti, convinzioni
Sogni, ma anche sbagli, fragilità,
inadeguatezze… all’incombente
oblio più non offre resistenze.
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Note sugli Autori
– Giancarlo Morinelli vive a Pordenone, dove opera nel settore della pubblicità e comunicazione. Ha pubblicato ‘Viaggio di un cervello nella vasca’ (Liberia Al Segno Editrice, Pordenone, 2003), ‘Altre realtà’ (Campanotto, Udine, 2008), ed ‘Ora voliamo’ (Ellerani, San Vito al Tagliamento, 2013). E’ presente in ‘Ossigeno Nascente’, Atlante dei poeti contemporanei, sul portare di letteratura griseldaonline dell’Università di Bologna.
– Raffaele Floris (Pontecurone, 1962) esordisce nel 1991 con la raccolta ‘Il tempo è slavina’ (Lo Faro Ed. Roma). Ha ottenuto importanti riconoscimenti in vari premi letterari nazionali. Nel 2007 ha pubblicato’ L’ultima chiusa’ e nel 2017 ‘Mattoni a vista’ (Puntoacapo editore) silloge anch’essa premiata i varie occasioni. Nel 2013 ha esordito anche come narratore con il romanzo breve ‘La croce di Malta’ (Puntoacapo).
– Emanuele Andrea Spano (Novi Ligure, 1983) laureato in Lettere Moderne a Pavia ha pubblicato studi sulla poesia di Alessandro Parronchi ed ha curato (con Davide Ferreri) le antologie ‘Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta’, ‘Poesia in provincia di Alessandria’ (entrambe da Puntoacapo) e con Mauro Ferrari e Vincenzo Guarracino, ‘il Fiore della poesia italiana vol 2’. ‘I contemporanei’ (Puntoacapo 2016). Redattore dell’Almanacco Punto della poesia italiana, insegna materie letterarie negli istituti superiori.
– Sergio Gallo, nato a Cuneo nel 1968, risiede a Savigliano. Laureato in Farmacia all’Università di Torino. Esordio poetico nel 1991 con ‘Pensieri d’amore e di disastro’; pubblica poi ‘Canti dell’amore perduto’ (2010), ‘Pharmakon’ (2014) entrambi per puntoacapo. Poi nel 2017 ‘Corvi con la museruola press’o LietoColle. Ha ottenuto riconoscimenti in numerosi premi letterari (sia per editi che per inediti) e suoi versi sono presenti in molte importanti riviste letterarie, antologie, blog.
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