“IL QUARTETTO RAZUMOVSKY” di PAOLO MAURENSIG
(Einaudi , Torino, 2022)

…..Paolo Maurensig ci ha lasciato nel maggio del 2021, improvvisamente e in punta di piedi, mentre stava rivedendo questo suo ultimo romanzo. Così per il suo congedo ci lascia una storia dura e complessa come una partita a scacchi, un intreccio storico, psicologico ma anche filosofico che parte dal nazismo e arriva agli anni Settanta. Il tutto tenuto insieme dalla musica, l’altra sua grande passione.

….Il quartetto Razumovsky è stato consegnato all’editore pochi giorni prima della sua morte e l’editore ha scelto una pubblicazione conservativa, operando poche modifiche rispetto alle bozze. Dico subito che talvolta viene da chiedersi, durante la lettura, se Maurensig non avrebbe fatto scelte diverse in sede di revisione: comunque il testo mantiene una potenza distruttrice e sconvolgente.

…..Bastano poche pagine per scoprire che la voce narrante è di un assassino, che, per di più, è un narratore inaffidabile, perché la sua memoria si sta disfacendo, in seguito a un incidente che ne sta provocando la perdita progressiva. Per questo il protagonista ha scelto di consegnare alla carta le sue memorie. Già questo dissolversi è un aspetto importante della poetica dell’autore: Maurensig aveva scritto, a proposito del romanzo “La variante di Lüneburg”: “rotta la superficie del ghiaccio non si sa fino a quali profondità abissali riusciremo a scendere”. In questo ultimo suo libro gli abissi sono quelli di un passato che non passa e che continua a generare tensioni, dolori, passioni terribili proprio perché rimosse.

…..Il venir meno della memoria, è uno dei temi e dei moniti più significativi di questo libro, tema che si collega alla questione, già sollevata ad esempio da Primo Levi nei “Sommersi e i salvati”, della incomprensibilità razionale di tanta violenza scatenata dal nazismo.

…..In un’altra vita, poco più che ragazzi, i membri del Quartetto Razumovsky avevano avuto l’onore di esibirsi davanti al Führer suonando uno dei più celebri quartetti di Beethoven, il n° 1 dell’op. 59.
Adesso, dopo più di trent’anni di silenzio, si riuniscono per suonare in una piccola città del Montana che scopriamo essere uno dei luoghi in cui sono confluiti dopo la guerra moltissimi tedeschi, che a loro volta sono l’etnia più numerosa e integrata d’America, sebbene non la più accettata. Essi restavano i nemici per eccellenza, erano sospettati, sorvegliati, oggetto anche di delazioni inventate.

…..Il protagonista rievoca così la fine del ritrovato quartetto, alla vigilia del nuovo debutto ufficiale americano che non avverrà mai per la morte del loro leader, Max Brentano. Era stato lui, insieme al suonatore di viola, Benedict, a proporre una riunione musicale al protagonista, che aveva adottato, per nascondersi, il nome fittizio di Rudolf Vogel. Il successo dell’epoca nazista è cosa lontana, ma quel mondo è ancora dentro di loro.

…..Rudolf, per parte sua, si sposta di città in città molto spesso, perché nessuno lo riconosca, nonostante la nuova identità e malgrado gli anni abbiano cambiato la sua fisionomia. Al contrario, Max, con le sue ricchezze di famiglia, sta assecondando la sua ossessione per la perfezione e non fa che suonare, rifiutando di continuo occasioni per esibirsi, mentre Benedict ha preso a insegnare in una scuola di musica. A completare il quartetto manca Victoria, scampata al lager ma ormai è in un centro di cura, per via di una demenza senile precoce. Al suo posto oggi nel gruppo c’è una giovane musicista, Vanessa, reclutata più per l’avvenenza e la freschezza che per la sua bravura.

…..Ma scopriamo poi che Rudolf, oltre a suonare il violino nel quartetto Razumovsky, durante il Reich veniva soprannominato «il Torturatore» e che era perfettamente integrato nel sistema nazista. Per sopravvivere è appunto poi scomparso nel nulla, per campare scrive infimi romanzetti di genere, sentendosi braccato e cercando di non destare troppi sospetti.
Ben presto, però, la preda scopre di poter tornare a indossare i panni del predatore; l’occultamento della sua vera identità lo ha spinto verso nuovi delitti, come se il male chiamasse necessariamente altro male. Eppure Maurensig qui riesce a fare una cosa notevole: costruisce un clima narrativo in cui si sviluppa una sorta di “empatia” con il “cattivo” : Rudolf è il Male, ma per una certo tragitto del racconto non possiamo fare a meno di empatizzare con lui. Non a caso, nel finale, egli è sommerso dalle lettere di “ammiratrici” sospese tra curiosità e morbosa attrazione. E’ una scelta letteraria che ci permette di “stare dentro” alle mente dell’assassino in un sorta di complesso processo psicoanalitico.

…..Maurensig ci narra questa storia all’interno di una provincia senza paesaggio, dove l’indifferenza generale fa da falsa copertura ad un mondo ipocrita e violento. Rudolf viene descritto attraverso la tipica psicologia del soggetto immerso nel passato non risolto, protetto da forme di auto giustificazione insopportabili. Rudolf è il personaggio che personifica l’essere nazista convinto, insensibile al dolore altrui e che vede nella morte l’unica essenza della realtà, un destino comune. “L’essere-per-la-morte” di heideggeriana memoria è qui tutto rivolto al negativo.

…..Maurensig, attraverso Rudolf, ci confronta la psicologia del persecutore che si sente sciolto da ogni vincolo etico, che non prova sensi di colpa e che vive la giustizia come una forma di persecuzione nei suoi confronti. Per Rudolf non c’è colpa e non c’è redenzione, uccidere richiede insensibilità, freddezza, assenza di pietà. È la logica dello sterminio vista attraverso il singolo che considera la morte l’unico autentico destino ineluttabile. Ma egli non fa mai appello al classico “argomento assolutorio della obbligatorietà di obbedire agli ordini”: egli non cerca questo tipo di via di fuga. Per lui il delitto è sempre una conseguenza di altri fatti, una scelta ed una soluzione necessaria.

…..Protagonista non presente, ma solo evocata è Victoria, la violoncellista mancante verso la quale il protagonista dovrebbe provare un profondo senso di colpa: era stato lui a mandarla in campo di concentramento, e lo ha fatto per gelosia, dal momento che sia il protagonista sia Victoria erano innamorati di Max. E questo è un altro passaggio importante. Rudolf vive drammaticamente la sua condizione di omosessuale nazista. E’ questa una delle ennesime contraddizioni di fronte a cui ci pone Maurensig. Ma se all’inizio del romanzo potremmo, come detto, empatizzare con un uomo che dichiara: «il mio soggiorno in America è stato per gran parte minato dall’urgenza e dalla paura» (p. 82) e che è in conflitto continuo con sé stesso anche per la propria omosessualità, in seguito sarà inevitabile prendere le distanze da Rudolf Vogel.

…..Quello che emergerà ci porterà all’inquietante attesa dell’esecuzione di questo personaggio controverso, vittima di traumi infantili e comunque spietato. È questa permanenza di nodi irrisolti, di un Male che torna e si avvita su stesso, sia sul piano individuale che collettivo, senza redenzione a dare al romanzo la sua tensione. La pestilenza del nazismo viene riproposta nella sua anima profonda, nella sua soffocante mediocrità violenta, aggrappata a forme di solitudine che non ne giustificano l’assoluzione. Maurensig affronta coraggiosamente il tema della memoria vista dalla parte dei carnefici: il suo modo di commemorare la Shoah è di svolgere questa indagine sul male restituendo complessità e spessore ad un tema troppo spesso risolto semplificando.

…..Ma poi c’è la musica. Occorre comprendere il ruolo che essa ha in questo romanzo. La scelta di una formazione come il quartetto non è casuale e non lo è neppure Beethoven. Il compositore tedesco nel quartetto per archi, genere che predilesse e coltivò intensamente insieme alla Sonata per pianoforte, racchiuse i suoi pensieri più intimi e riservati, così da toccare spesso la forma del soliloquio.
Non per nulla Paul Bekker, uno dei biografi del maestro di Bonn, così scrive nell’esaminare la struttura e la fisionomia dei vari Quartetti, specie quelli appartenenti al cosiddetto terzo stile: «Questa musica da camera per strumenti ad arco è veramente l’asse della psiche creativa di Beethoven, intorno al quale tutto il resto si raggruppa a guisa di complemento e di conferma. Nei Quartetti si rispecchia tutta la vita del musicista, non sotto l’aspetto di confessione personale, quasi di diario, come nell’improvvisazione delle Sonate, non nella grandiosa forma monumentale dello stile sinfonico, bensì nella contemplazione serena, che rinuncia all’aiuto esteriore della virtuosità e alla monumentalità delle masse sonore dell’orchestra e si limita alla forma, semplice e priva di messa in scena, di colloqui tra quattro individualità che tra di loro si equivalgono». Già da queste parole comprendiamo quanto possa essere significativo porre al centro della dinamica del romanzo proprio il quartetto beethoveniano.

…..Ma il contrappunto simbolico è sempre in agguato. I tre Quartetti dell’op. 59 sono chiamati anche “Quartetti russi” perché dedicati al conte Andrea Kyrillovic Razumowski (1752-1836), ambasciatore russo a Vienna e buon violinista. Scritti tra il 1805 e il 1806, questi lavori appartengono alla seconda maniera beethoveniana e gli storici della musica li collocano accanto al Fidelio, alla Quinta Sinfonia e alle grandi sonate pianistiche, come l’Appassionata e l’Aurora.
Insomma siamo di fronte ad un Beethoven percorso da slanci “eroici” sinfonici in cui tutto converge verso organicità della composizione. La dimensione raccolta del quartetto in fa maggiore “è il prolungamento della densità formale raggiunta nel dominio sinfonico” (Laura Cosso). L’opera n. 59 fa parte del Beethoven perfettamente equilibrato nel raccogliere l’eredità del passato e nell’indicare lo sviluppo futuro della musica. Qui l’equilibrio ampio delle parti è fondamentale e fa da contraltare alla dimensione psicologica di cui si diceva prima.

…..Ma non basta. Il quartetto è forse la più alta forma di dialogo musicale. Ed anche nel romanzo di Maurensig esso rappresenta certamente il momento più alto e felice dell’armonia possibile del gruppo. Persone molto diverse tra loro sono unite dalla musica, che qui assume una funzione di “idealismo rovesciato”: la musica è catartica, ma è al tempo stessa fragile perché è essa stessa il risultato di uno sforzo di perfezione che richiede capacità di astrazione da quel che si è per essere ciò che si deve, in un perfetto equilibrio tra autodisciplina ed ascolto degli altri. Esattamente ciò manca nel protagonista, e non solo.

…..Spesso, nel romanzo di Maurensig la musica sembra nascondersi, soffocata dalla trama fitta degli eventi, dall’indagine psicologica dei personaggi, dalle sorprese narrative che svelato a poco poco l’insieme. Ma è proprio così che funziona anche la musica e quella di Beethoven in particolare in quest’opera segnata da un disegno solo apparentemente svagato che procede per fantasiosi accostamenti, “per incastri scanditi da una timbrica dissociata, a macchie di colore…” (Laura Cosso).
Il romanzo pare così scritto in forma musicale. Con dei temi esposti progressivamente, con variazioni e modulazioni tonali e coloristiche, con sviluppi successivi imprevedibili, passaggi lirici e momenti di dolorosa umanità alternati a brillanti figurazioni, con un finale rivelatore ed una coda. C’è una visione complessa in questo romanzo che, come accade nella composizione beethoveniana eponima, ha un afflato sinfonico ed una forza espressiva che altri quartetti del tempo non avevano.

…..La musica, infine, è forse un possibile spazio di felicità e di soddisfazione, ma è anche il campo di battaglia delle diverse personalità, lo spazio finale della resa dei conti che, nel romanzo, non avverrà mai perché il concerto non avrà mai luogo. La musica, sembra volerci dire Maurensig, è la sola possibile forma di umanità in questo deserto di sentimenti negativi.

…..La musica è l’armonia del mondo che questo tremendo romanzo desidera ma non trova. Ma che ci viene indicato in trasparenza da questo romanzo potente, ricco di interrogativi.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
…..Paolo Maurensig (1943-2021) ha esordito nel 1993 con La variante di Lüneburg, tradotto in tutto il mondo. Tra i suoi romanzi ricordiamo: Canone inverso (1996), Venere lesa (1998), Il guardiano dei sogni (2003) e L’arcangelo degli scacchi (2013).
…..Nel 2015 è uscito Teoria delle ombre con il quale ha vinto il Premio Bagutta. Presso Einaudi ha pubblicato 
Il diavolo nel cassetto (2018), Il gioco degli dèi (2019)Pimpernel. Una storia d’amore (2020) e Il quartetto Razumovsky (2022).

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