“Requiem a due voci”: i versi di Cetta Brancato
(La Vita Felice, Milano, 2020)

…..“Mentre sfioriamo tutto, sfuggendo alla profondità, un’estrema possibilità di esistere rimane un ricordo mancato, a pelo d’acqua, un soffio di vento a direzione incerta. Viviamo il Requiem di un Novecento che chiude l’eredità di un tempo che va via: la celebrazione della fine del maschile e del femminile che si ricongiungono in un unico destino, insieme al Requiem delle piante, e, perfino, all’agonia di ciò che non esiste. Il Requiem è la rappresentazione dell’eternità, del fallimento che lascia spazio ai germogli: uno spartiacque, la possibilità di cantare i nostri morti. Come ogni opera finale diventa il racconto dell’uomo: la nascita del mondo, la luce perpetua dell’anima”.

…..Così scrive Marco Betta nella sua introduzione. E ci lascia a bocca aperta, sospesi tra la riflessione razionale del disincanto nei riguardi del nostro destino post-moderno e la speranza di una stella utopica dentro le cose, tra l’inquietudine per il nostro prossimo futuro e il sorgere di una nuova forma di vita. Insomma “Requiem a due voci” di Cetta Brancato non è un canto funebre, ma la poetica rappresentazione, quasi teatrale, di un desiderio. Già perché è il desiderio a muovere tutte le cose, ad animare la vita e persino la morte.

…..Il termine desiderio deriva dal latino ed è composto dalla preposizione de, che in latino ha un’accezione privativa, e da sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa quindi avvertire la mancanza delle stelle, di uno zenit, forse. Il prefisso de ha anche valore di origine o provenienza, quindi un altro significato del termine è: proveniente dalle stelle.
Veniamo dalle stelle e ne sentiamo la mancanza. Dal punto di vista psicologico, il desiderio si distingue dal bisogno che difficilmente può essere controllato. Il desiderio sa aspettare e in questa attesa si affina, diviene più consapevole e più profondo. Ed anche più potente del bisogno, proprio perché più sentito anche con la mente. Il desiderio ha una radice complessa, legata alla storia, alla memoria, agli affetti dell’individuo, alla sfera assiologica, e insieme ha a che fare con la fantasia e, infine, non si esaurisce in un oggetto immediato, disponibile. Il desiderio mira a ciò che potremmo chiamare la realtà fondamentale che garantisce un orientamento e un significato al vivere e all’agire. Esso si potrebbe ancora meglio definire come la capacità di canalizzare tutte le energie verso un oggetto stimato centrale per noi.  Il mondo dei desideri rivela all’essere umano che egli è potenzialmente infinito ed insieme rivela il suo limite. Questa è la condizione paradossale dell’uomo: essere limitato ed insieme desiderare l’infinito. Seguire il desiderio significa allora affidarsi ad un mistero, ad un rischio, ad una sorpresa. Il desiderio può anche non avere un “oggetto” immediatamente visibile e Sant’Agostino lo indicava in Dio.

…..Più concretamente, ma non meno profondamente Cetta Brancato mi pare che volga il suo “desiderio” verso l’amore per l’esistenza, per un’esistenza possibilmente felice fatta di anime e corpi che si richiamano, s’inseguono confondendosi, mescolandosi. Libro enigmatico, per molti versi, scritto nel segno del Cantico dei Cantici, nello spirito libero di una prospettiva che solo chi è nato in Sicilia poteva esprimere attraverso l’immagine “barocca” e apparenterete triste del Requiem: Di te so/ profondità sovrane e rara giovinezza, /l’inganno utile al viaggio, /l’amore che incorona o decapita. / Di te so/ la pasta fermentata dell’esistere”.

…..Il libro è un poema a due voci, maschile e femminile, che vivono nell’eco uno dell’altro come in un’unione eterna, concreta quanto irreale. E’ questa costante compresenza di opposti che tiene alto il canto. E il libro va letto proprio come un canto, lasciandosi avvolgere dal suono delle parole, dal ritmo lento di sarabanda che lo anima. Si entra come dentro ad un fado dolente e luminoso, triste e caldo, profondamente mediterraneo e per nulla “popolare”, un canto alto, elegante, raffinato che ci porta a spasso nei vicoli dell’anima che ora assume i connotati di una città fantasma, ma dove non ci sono anime morte, ma le nostre anime, vive e vigili, in costante movimento. E’ questo effetto di vortice derviscio che sorprende e affascina in questo libro di poesia completamente al di fuori dai canoni abituali e dominanti: “lo so che è notte, lo so. / nel tempo mai guarito/ s’accende un lembo/ di barocca voce”.

…..Ma attenzione: Cetta Brancato pone in esergo di questo libro una citazione di Leonardo Sciascia “Quando il Padreterno vuole fregare uno, Tac! Lo fa nascere in Sicilia”. E così questo “Requiem a due voci” è anche il canto che si leva dal profondo di un’anima siciliana che accoglie e sintetizza dentro di sé l’ombra e la luce di una terra piena di contraddizioni, bagnata dal sangue di tante vittime eppure sempre capace di rigenerare amore per la vita, segnata da storture e da riti arcaici eppure affascinante crogiuolo di speranze, terra che coltiva il gusto per l’autodistruzione e che risorge continuamente dalla sue stesse ceneri. Ciò che canta in questo libro è l’anima di quella terra ferita e luminosa, che provoca rabbia e stupore in chi l’ama, che nostalgicamente persiste nel cuore di chi è lontano e pure mai ritornerebbe a lei. Probabilmente, “Requiem a due voci” potrebbe anche essere letto come il dolente e appassionato canto di chi ama e odia questa terra splendida quanto feroce.

…..Poesia pura è dunque quella di Cetta Brancato, che trae linfa dalla luce africana della Sicilia, che si dipana come un almanacco di immagini che ora affiorano dalla memoria lucida, ora dal tempo disordinato dell’esistenza, in un flusso di coscienza senza pause perso sotto un cielo azzurro impossibile e perfetto, così sino alla fine dei giorni. Cetta Brancato ci restituisce il suo gusto della parola, il piacere di scoprire la giusta parola che rende la metafora ora dolcemente poetica ora tremendamente sanguinante: bacio e ferita, coltello che affonda nella carne, balsamo che cura: “L’acqua odora/ di rosmarino bianco. / Intanto, è solo amore”. E’ una poesia, come detto, “mediterranea” nel senso più colto e alto, rosario d’immagini e di suoni, angeli, vento, mandorle, e mare, veli d’occhi posti al cospetto del carro della morte… “Ti apprendo in terra aspra, / Quale preghiera / rimedi le mie mura. – “Ti sono isola. / Non terra di confine, / né frontiera. / Con specchi rotti / in te frammento luce.”

…..Cè un aperto lirismo in questo poema che spiazza: “Forse è la mollica del pane / o innata tenerezza / nell’imperfetta grazie / dell’incontro”. Niente a che vedere con le fredde descrizioni depressive di tanta poesia nordica, niente da spartire col quotidianismo da biedermeier nostrano. Cetta Brancato torna alla radice della poesia che è appunto il canto, con il suo respiro musicale, le sue necessarie sospensioni di senso: “Un gomitolo rosso/ annoda una stagione/ venuta a spiare l’immateriale/vertigine di un canto”.
Così s’intrecciano i temi e i registri: morte, maternità, carne e anima, natura e dolore, innocenza, bellezza e conflitti. Ma la stella polare (e qui torniamo al tema del desiderio) è il corpo, è la conoscenza del mondo attraverso il corpo, è l’amore come sintesi perfetta d’umanità, come condensazione degli opposti mai esausti, come speranza di futuro, ventre ampio. E Cetta Brancato sa trattare non solo gli aspetti metafisici dell’amare, ma anche quelli autentici, carnali: ma sempre con eleganza, stile e allusiva sensibilità poetica che coglie gli attimi in punta di piedi o di luce, che apprezza del corpo “il primo dire”, l’abbandono degli amanti come fuoco che forgia l’universo.

Di te mi prende 
il rosso delle lacrime,
il rosso delle rose.
E baci fioriscono di fragole.

Gocciola il cuore
In un granaio di stelle.
Non ammansire il cielo
Se appare il carro della morte.

…..Poesia antica, eppure così viva e necessaria, poesia per chi ama e vuole ancora amare, sempre. La poesia di Brancato è una “sciara di labbra” chE si bea nell’estetica della parola esatta e sensoriale, che abolisce la logica della razionalità piatta per abbracciare la logica dell’inafferrabile. E’ una voce che arriva da lontano, la sua, che intreccia sinestesie e visioni floreali, quasi decorative: “il tintinnare obliquo del silenzio” che si sposa con immagini quali “Sui tuoi seni riparo l’umile canto/ che era prima di vivere”, o con passaggi quasi mistici:” Ciò che arde/ non rimedia il fuoco. /Fummo vivi, più vivi / per adattarci all’estasi, /sorella del tormento”.

…..Conta la bellezza, ma non quella fine a se stessa, effimera quanto superflua, ma quella che sa raccontare con tenerezza l’incontro tra due anime: “la libertà ha stimmate. / Si riconosce al primo appuntamento” “E mi baciavi / sotto quel lampione / che, nel suo oro,  /trasfigurava / in disseccato sole”.
Nel “Recordare”, da cui sono tratti i versi sopra citati, colpisce il ritmo serrato e al tempo stesso spezzato come un respiro che infiora pensieri e metafore quali: “Era silenzio. / Fra miti canne/ la siepe dell’abbraccio. / Nutrimmo abissi?/ con riti increti/ visiti la notte. / Come fronda o radice/ dormivi e apparivano nuvole. / Amore è un dettaglio immenso”. Atmosfere che ci ricordano persino il Tristano e Isolde di Wagner in cui l’amore è figlio della notte, sospeso tra desiderio di eternità e consapevolezza del limite: “Penso sempre alla gioia, /all’effimera dea/ che ci conduce”.

…..Libro vorticoso, costruito ellitticamente che trova un suo primo scioglimento del mozartiano “Lacrimosa” che prende di petto la nostra finitudine: “Prediligo il peccato. / A farci l’anima / è tutto ciò / che è impervio”. E siamo soli “in un cono d’occhi” e “riconosciamo l’azzurro / impiantando le ali nell’assenza”.
In una giostra di metafore, pulite quanto efficaci, Brancato ci accompagna in una dimensione più malinconica segnata da lapidarie immagini: “la solitudine è bara / di scarne verità”; “L’amore si centellina con furia”. Ma pur sapendo che “Non è inutile / esser nati di carne, / dire d’amore. / Avrò sonno di te”. E non poteva essere meglio detto con semplicità e verità. E si arriva così al Dies Irae dove Cetta Brancato brandisce la spada e il canto si fa più triste, ma comunque agguerrito. La melanconia si trasforma in rabbia lucida: qui è lo spirito del Qoèlet ad avere il sopravvento: “così è meglio / non essere mai stati… a nulla serve/  vivere per gli altri”. E in una terra come la Sicilia ciò ha un peso specifico non indifferente. L’amarezza  “si fa corpo della vita intera” e “navighiamo / da occhi ad occhi, / senza mai salpare”. Il tono è dolente: “Non basterà nascere, / più volte, in una vita”. Ma sempre riemerge una sonorità nel modo di scrivere di Cetta Brancato che è come una resurrezione perpetua:

Come una sconosciuta
a cui ho baciato gli occhi/ mi lasci
quale giaciglio
la tempra schiusa.

Dalla tua assenza
non compatisco nulla.
Divento lama,
vento fuori porto.
I morti non ascoltano le fiabe.

…..E ancora: “La vita ci baratta / quando può. / Non possiamo che annodare il cuore. / Non si risorge mai / di nuovo interi” e oltre: “Ti offro uno spartito d’amore. / Con un requiem di cielo/ finiti i giorni, /non torneremo al mondo”: così agnosticamente la poesia, l’amore, la voglia di autenticità non sono di questo mondo eppure senza di esse il mondo non ci sarebbe né avrebbe senso. A che serve tutto questo? A nulla probabilmente. Ma è necessario intonare l’ultimo canto, che ormai ha la forma di una preghiera laica.

…..Nel “Libera me” finale, Cetta Bracato si vuole liberare dai “graffi del mare… dai chiodi del senso… dal coltello del vuoto… dall’anarchia del pianto… dal mio fato… dalle dighe del riserbo… dai vincoli della pace… dal vago pudore del dolore… Liberami perché così ci è dato ritornare. / D’amore, forse d’amore liberami”.
Cetta Brancato cerca la poesia pura, “visioni mai pacificate” frutto di un “metafisica arrogante”, cerca una “privatissima eternità”, cosciente del “suono della morte” ma desiderosa di sentirsi viva “oltre misura”, senza nulla aggiungere, giudiziosamente, al silenzio che comunque tutti ci avvolgerà in un necessario eterno ritorno.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autrice
…..Cetta Brancato vive e lavora a Palermo. Ha pubblicato per il teatro La strada oscura (1988), 19 luglio 1992 (2010), Maman in Echi da Echi (2016), Canto per Francesca (2017).
Per la narrativa
 Dietro la porta il sole (1990), Mai stata al mondo (2015), L’inferno di Pianosa (2015), Scatti rubati. Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini (2015), Zahara (2016), Premio Kaos 2016, Eclisse (2017), Memorie di sabbia in Racconti siciliani (2017).
Ha firmato la sceneggiatura di 
Con gli occhi di un altro, film tratto dalla sua opera 19 luglio 1992 che ha ricevuto una menzione speciale all’I’ve Seen Films. International Film Festival (Award 2010) per l’originalità della lingua.
Per la poesia 
L’amore all’inferno (2018), Premio Kaos 2018.

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