Passeggiata lirica coi versi di
Raffaele Floris, Ivan Fedeli, Gabriele Borgna e Enrico Marià


…..V
oglio qui segnalare quattro poeti che possiamo considerare “lirici” e uniti dal fatto di essere pubblicati da “Puntoacapo”: casa editrice che ha assunto un ruolo importante nella diffusione della poesia oggi. Sto parlando di Raffaele Floris, di Ivan Fedeli, di Gabriele Borgna ed Enrico Marià: quattro cavalieri lirici, sia pure molto diversamente lirici tra loro.

…..In passato ho utilizzato l’espressione “lirica come paesaggio dello sguardo”: intendevo sottolineare il collegamento tra espressione del sé e mondo esterno. Il paesaggio è talvolta il paesaggio vero e proprio (l’ambiente, il paese, la natura, il mare, la città…), altre quello soggettivo che la poesia è capace di creare. Una prima modalità di “sguardo lirico” è la “variante narrativa”.
La chiamo così perché appunto “racconta”: la poesia si fa trama, descrizione del paesaggio dilatando temi e tempi della scansione lirica, introducendo il soggetto nel paesaggio stesso. Se pensiamo, a poeti come Fabio Pusterla, Alberto Nessi, Luciano Erba, Alba Donati, Giuseppe Conte, ne avremo un’idea più precisa. Naturalmente lo sguardo lirico del “paesaggio” si intreccia con la forza metaforica di ciascun autore e con altri elementi tematici: la memoria, l’impegno civile, il legame con un ambiente, l’infanzia, la tradizione letteraria, con il mare e il Mito, ecc.

…..C’è poi un’altra variante: quella della “ricerca del senso delle cose”, ovvero una lirica esistenzialistica. Non che sia estranea alla variante precedente, entrambe le tendenze (specie dagli anni ‘90 in poi) hanno cercato di mettere a fuoco la realtà della condizione umana. Ma nella variante esistenzialistica, la poesia pone l’accento sullo spaesamento dell’individuo, le fatiche della comunicazione, il disincanto o la gioia dell’essere al mondo, lo stupore e lo sgomento dell’attimo vissuto senza sottovalutare il salto dal micro a macro cosmo.
Il telos della poesia è qui una “ricerca di senso” espressa con ibridazioni formali e toni differenziati. Si manifesta con forza il desiderio di legare emozione e pensiero, senso del reale e visionarietà, l’individuo con l’umanità e la natura. Si pensi a poeti come Umberto Fiori, Antonella Anedda, Nanni Cagnone, Milo De Angelis, Patrizia Cavalli, Mariangela Gualtieri. Ovviamente anche in questo caso le declinazioni poetiche sono molto diverse: si passa dall’assolutizzazione del grado zero della normalità alla poetica del dettaglio connessa al senso del tragico, dalla dolente e lucida meditazione sui grandi temi dell’esistenza alla poesia dell’attimo visionario e dalla confessione diaristica sino all’esplorazione teatrale e generosa del flusso emotivo del soggetto. Naturalmente questa distinzione è criticamente soggettiva, anche perché tutti i poeti citati hanno una loro voce ed uno stile originale. Qui vogliamo solo segnalare alcune linee di forza della poesia oggi che in qualche modo fanno da cornice, in modo più o meno esplicito, ai nostri quattro autori.

…..Raffaele Floris, Ivan Fedeli, Gabriele Borgna, Enrico Marià sono riconducibili, secondo me, all’interno queste “categorie” poetiche, ciascuno con la sua voce e il suo stile.
Floris intrecciando il senso della percezione della “situazione” (emotiva, intuitiva, materiale, ecc.) con il ricordo del passato e una visione melanconica e, al tempo stesso, ironica dell’esistenza; Fedeli si richiama espressamene ad una “tradizione milanese” in cui la poesia si fa narrazione di figure e sentimenti, forma della meraviglia del quotidiano; Borgna è fortemente legato al suo spazio ligure, all’asprezza dolce del suo paesaggio con un’attenzione empatica per i contrasti, le dolenti note dei grandi sentimenti della vita; Marià si pone in una prospettiva visionaria, tragica e spiazzante: si offre nudo a forme di confessione poetiche imprevedibili. Ciascuno è lirico a suo modo, come dicevo, ma il bello della poesia di oggi è questa diversità purché non venga mai meno l’interesse per l’esplorazione della Lingua e delle sue Forme Poetiche.

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Raffaele Floris, “Senza margini d’azzurro”
(Puntoacapo, 2019)

…..La poesia di Raffaele Floris conferma una vena “sostanzialmente elegiaca ma mai effusiva, e anzi non di rado pensosamente solenne, sospesa tra riflessione personale e pensiero alto sul sentimento del tempo e sui destini umani” (Mauro Ferrari, Postfazione). In questa raccolta, osserva ancora Ferrari, l’autore “dà spazio maggior a un elemento personale, a un colloquio al contempo intenso e sereno con un Tu che riporta ad una mancanza“ legata ad un’esperienza autobiografica.
In “Senza margini d’azzurro”, Floris canta un “paesaggio” interiore utilizzando lo strumento fondamentale dell’endecasillabo in cui la memoria del passato si trasfigura nella percezione del presente e viceversa. C’è un continuo scambio temporale in questi versi che, al di là della tenuta formale, utilizzano un linguaggio colto, ma mai pesante; tanto chiaro quanto ben calibrato; colloquiale e confidenziale quando serve, eppure riflessivo e lucido nel suo equilibrio emotivo.
Insomma una lirica più di tipo “esistenziale”, ma sobria, misurata in cui la relazione con “l’esterno”, le cose, gli oggetti del quotidiano, persino i racconti di altri scrittori o i dipinti di pittori amati, rimanda sempre ad una visione interiore, ad un ricordo, alla descrizione di un dolore, di uno scarto, di un’emozione condivisa, un’esperienza su cui valeva pena fermare il flusso della vita, e della poesia.
Raffaele Floris è poeta serio, ma che si permette in questo libro anche un excursus nel mondo dell’haiku regalandoci attimi di ironia, leggerezza, incanto meditato, squarci di mezze luci ai margini dell’azzurro comunque desiderato.

Senza margini d’azzurro

Abbiamo soffocato anche gli odori
della cucina, la finestra ha un cielo
angusto contro i vetri, senza margini
d’azzurro, senza voci di ragazzi.
E noi, che abitavamo i cortili
come briganti, dov’è il nostro cielo?
Dov’è il sapore della nostra vita?

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L’arte del silenzio

L’ombra delle tue mani è come stilla
di vetro fuso, giglio controvento,
stelo fiorito nel deserto, forma
di luce germogliata nella sera.
L’ombra delle tue mani ha il cuore antico
del tempo, la sapienza delle cose;
la sua fatica è la gloria di stagioni
sospese, filigrana d’infinito
perché conosci l’arte del silenzio.

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Re play

cuori sospesi
ritentano l’azzardo
dentro la vita
Saldi di fine stagione

vite morenti
sul filo di una gruccia
prezzo scontato.

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Ivan Fedeli, “La meraviglia”
(Puntoacapo, 2018)

…..Scrive Tiziano Broggiato nella prefazione: “In verità la nuova raccolta di poesia di Ivan Fedeli avrebbe potuto benissimo intitolarsi La traversata di Milano … In questi nuovi testi, infatti, Fedeli ci accompagna alla scoperta di luoghi e persone della capitale lombarda del tutto desueti ponendo in primo piano la relatività del tempo e del suo farsi in rapporto alla vita come cronaca fedele, complice e, al contempo, distaccata”.
Fedeli è dunque impegnato in una forma di poesia “narrativa” in cui lo sguardo poetico cerca il reale, cerca il volto, il gesto delle persone concrete, e che fanno e sono esse stesse paesaggio. Fedeli è immerso nella milanesità dei personaggi, delle posture psicologiche che fissa sulla pagina. Così dietro ogni persona, una maschera forse, c’è una storia e dentro ad una storia c’è un’emozione, un’immagine da conservare, un piccolo grande insegnamento da considerare. Non a caso si fa riferimento a Luciano Erba e La meraviglia è appunto quella della scoperta del quotidiano, delle piccole storie che fanno grande la vita.
Lo stile è narrativo, come detto, c’è grande capacità espressiva e descrittiva, una poesia naturale e anche musicale, che non evita i toni bassi, lo slang, i giri di parole del parlato, una lingua senza orpelli, in presa diretta benché racconti di stati e situazioni talvolta crepuscolari. Ogni poesia vuole essere una sorpresa, la meraviglia del titolo appunto, una sorpresa umana più che letteraria, perché nella poesia si nasconde la solitudine di un signore che va a spasso col cane o la spiazzante allegria dei propri studenti.

(Signore col cane)

Sa di una via gentile il signore
col cane mentre ride e ammicca al cielo
che minaccia pioggia. Vorrebbe il sole
per sé e un mondo per tutti dove correre
sotto le nuvole. Ha rughe da tempo
e sguardo docile, quasi accettasse
l’idea di un vento che va e trascina
via senza guardare. E immagina il mare
ben oltre l’asfalto o le rose pigre
dei cavalcavia, il loro profumo
lontano. Soltanto pensieri, sembra
dire mentre infila il rondò e sparisce
guinzaglio alla mano, fumando un po’.
Resiste così, per dura pazienza
e le gocce la sera una alla volta,
diluite però come si fa
con le parole buone perché durino
di più. Se ne parla di lui ogni tanto
quando serve un sorriso qua e là a dare
spazio allo sguardo, ma niente di speciale
vista poi l’età o il cammino lento
di sabato mattina, cose che
nessuno immagina finire mai.

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Gabriele Borgna, “Artigianato sentimentale”
(Puntoacapo, 2017)

…..Scrive Giuseppe Conte nella prefazione: “Non sapevo niente di questo giovane uomo … ma sono i suoi versi, sorprendenti per energia, invenzione, passione – qualità molto rare oggi – ad avermi detto abbastanza di lui, uno che sa esprimere al meglio il suo mondo interiore in connessione con il tempo, e con il cosmo”.
Gabriele Borgna in “Artigianato sentimentale” si propone come poeta sincero, legato al suo “territorio”, alla Liguria, anzi a Porto Maurizio eppure così capace di darci conto di emozioni e pensieri molto più vasti. Il suo sguardo per molti versi crea il paesaggio che pure emerge nella trama dei suoi versi. Non c’è semplice descrizione: il genius loci è dentro la poesia stessa e così il luogo diventa spazio universale, fondale del tempo e dello spazio dove il tema dell’amore “ritorna come oscurità, conflitto, portatore di dolore …” e dove lo stesso tema del dolore viene affrontato con versi di novecentesca memoria.
C’è una forma di “malinconica empatia con le vite altrui” rileva sempre Giuseppe Conte, ma c’è anche un sano allegro disincanto, una sorta di postura etica che permette al poeta di mai naufragare nel banale e nell’enfatico. Borgna è poi sorretto da una bella padronanza della lingua e non disdegna versi ad effetto, figure retoriche misurate, sinestesie efficaci. Borgna appare consapevole di poter disporre di una forma strutturale dei versi che lo orienta e gli permette di gestire con acume poetico alcuni momenti topici dei testi ovvero l’incipit e la chiusa. Lo attendiamo a nuovi impegni con una seconda silloge.

A ca’ de Jose (au Portu)

Sdraiamoci nel ventre di questa cesta
d’aspra terra, dove i nostri amori
in banco e nero dormono ancora
senza respiro, senza passare.
Lo senti l’odore del silenzio?
Esso ti ascolta. E tutto di te
scopre ed impara accovacciato,
baro nascosto
tra l’agave e il rosmarino.
Attraverso nuvole
cariche d’incognite la natura ci parla
dentro agli occhi, scrivendo il cielo
con rondini e ideogrammi.
Aiutami a impiccare ogni
singola afflizione ai fili
delle stese, educate all’inchino
duro dalla tramontana.
Riportami per mano
agli albori dei sogni di sabbia
quando respirando con lentezza il mare
ci promettemmo salsedine a vita…

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Erosione

Il mio dolore è una pietra,
un pianeta senz’orbita
che chiama tutto sole, purché bruci.
In lontananza,
barbagli di tempesta
scorticano dal buio
la pelle dell’istante
che s’inventa il mattino.
Mi chiedo che ora è, adesso,
mentre qualcosa dentro scivola, degrada,
lasciando spazio al vuoto
deserto che mi cresce e si distende
sotto lo sguardo che scruta l’orizzonte
e vede un campo di croci.

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Enrico Marià, “I figli dei cani”
(Puntoacapo, 2019)

…..I figli dei cani non è un libro di poesia: è la testimonianza di un superstite e la vittoria di un vinto che non si rassegna a tacere” così scrive Marco Ercolani nella prefazione. “Tutto il libro è percorso da un doppio movimento: di ascesa verso la speranza … e di disperata descrizione di un disfacimento” (idem”) E ancora: “Tutto il libro è la fotografia di uno strazio che non finisce mai di soffrire …. Ma anche di un amoroso equilibrio cercato combattendo il dolore attraverso le parole … La scrittura appare una forma di espiazione-rappresentazione, in cui la vittima è bloccata nelle immagini della sua pena” (idem).
Enrico Marià è poeta diretto, persino spregiudicato nella sua nudità. Non c’è solo provocazione nei versi urticanti, c’è la consapevolezza che la poesia è forma della vita, è vita stessa che urla e che non può nascondere le sue contraddizioni, i suoi dolori.
Il libro è ossessivo, persino talvolta claustrofobico: afferra il lettore per il collo, lo provoca, lo mette di fronte a pensieri neri, a vite oscure, travolte. C’è il desiderio di comunicare, di condividere un percorso doloroso, un’esperienza dura in bilico tra vita e morte; c’è un lirismo sospeso tra desiderio di pace infantile e disgusto del presente. Il verso è spezzato, pulsante, a volte sincopato, Marià lo predilige breve ed è quindi anti-narrativo per definizione. Egli procede per lampi, schegge, schizzi e visioni improvvise, in cui ciò che conta è l’intensità e non certo la discorsività.
La poesia di Marià verticalizza il gesto poetico, punta il dito sui turbamenti, gli scarti della mente e non evita le tinte forti mescolando erotismo, violenza con tenerezza e fragilità. Enrico Marià precisa che “l’uso della prima persona è concreta, forte, viscerale empatia nei confronti di uno spaccato di mondo che conosco” ( pag. 119). Entriamo in questo inferno, ne usciremo confusi e stupiti.

Ché alla morte
per non morire
serve gente come me,
ma accadrà che esisti
ed esisterai sempre:
tu che della vita
è tuo il rumore,
il coraggio di sognarti
dimmi di amarti.
*
Sabato le dieci ore
passate al pronto soccorso
l’attesa dello psichiatra
me urlante sulla barella:
i dementi non sono persone umane
l’hanno detto medico e infermiera,
che non sono più gestibile ammazzami
perché appartenere crea creature tiepide;
il mio viso di ora
rovescio di preghiera,
cadavere amore
la vera morte
che non sappiamo pronunciare.
*
Io e te
ombre sconosciute
che si scopano
in una dittatura di luce
*
Giustizia riparativa la chiamano
quella per i minori sottoposti
ai provvedimenti penali,
darsi all’utilità sociale
al parlare con la vittima
che potessi ti farei
più male ancora;
che credo solo a te
riparami col gioco
di cosa sembrano le nuvole:
che di me non ci sono angoli inviolati,
in un ballo di code
attaccami l’amore
coi figli dei cani.

…..Stefano Vitale

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…..Note sugli Autori

…..Raffaele Floris (Pontecurone, 1962) esordisce nel 1991 con la raccolta “Il tempo è slavina” (Lo Faro ed. Roma). Ha ottenuto poi numerosi e significativi riconoscimenti. Nel 2007 ha ubblicato la silloge “L’ultima chiusa” e nel 2017 “Mattoni a vista (Puntoacapo). Nel 2013 è l’esordio come narratore col romanzo breve “La croce di Malta”.

…..Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato per Puntoacapo le raccolte poetiche “Teatro naturale” (2010), “Campo lungo” (2014), “Gli occhiali di Sartre” (2016). Gli sono stati attribuiti il Premio Montale e il Premio Luzi per l’inedito, il Premio Lerici Pea sezione giovani e il Premio Gozzano.

…..Gabriele Borgna (Savona, 1982) vive a Porto Maurizio (Imperia). Suoi testi sono presenti su siti letterari ed ha ottenuto premi, menzioni d’onore tra cui ricordiamo Festival della cultura mediterranea (2014), Premio di Poesia “Parasio” (2015 e 2016), Premio poesia inedita “Ossi di Seppia” (2016). “Artigianato sentimentale” è la sua raccolta d’esordio.

…..Enrico Marià (Novi Ligure, 1977). Ha pubblicato le raccolte “Enrico Marià” (Annexia 2004), “Rivendicando disperatamente la vita” (Annexia, 2007), “Precipita con me” (Editrice Zona, 2007), “Fino a qui” (Puntoacapo, 2010), “Cosa resta” (ivi, 2015). Ha preso parte a diverse antologie ed è presente su siti e blog letterari. E’ tradotto in lingua inglese e spagnola.

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