“SENTIMENTALISSIMA LUCE” di Marco Marangoni
(Puntoacapo edizioni, Pasturana (Al), 2021)
…..A proposito del precedente libro di Marco Marangoni “La passione degli anni” abbiamo scritto: “non è una “poesia di pensiero”, una poesia filosofica quella di Marangoni, è una poesia “nel pensiero” e nelle cose, che nasce nel gesto della riflessione, della sorpresa che il poeta vive quando si sofferma a leggere, sorpreso, ma lucido, se stesso e la realtà che lo circonda.
Così la raccolta diventa una sorta di meta riflessione poetica sull’atto dello scrivere, sul generarsi della poesia come sguardo sul mondo, come spazio in cui costruire una difesa al degrado della lingua stessa…. Il nocciolo della questione è la lingua, è la capacità di tenere fermo il punto sul senso del linguaggio e sulla funzione dello scrivere poesia.”
…..Questa visione la ritroviamo ancora più radicalmente espressa in questo libro. “Sentimentalissima luce” propone dei testi, emblematicamente sempre più rarefatti, in cui la riflessione sullo scrivere e sulla parola si innerva poeticamente sul sentimento dolente del peso dell’esistenza: “e le pagine che si sperdono/ sono un fuoco nel bosco – sono l’opera/ del vento” (pag. 9). L’intento è chiaro sin dai primissimi versi.
Il poeta s’immerge in “un luogo di rami di segni/ di fratte /e di dentro” (pag. 9) che metaforicamente può rappresentare tanto l’esistenza quanto il mondo della parola poetica, della scrittura.
In questo bosco, dunque reale e metaforico al tempo stesso, tutto si fa incerto e vacilla. I testi di Marangoni si caratterizzano, molto più che nel precedente libro, per la ricerca di forme e contenuti ambivalenti, volutamene ambigui o allusivi, sospesi. Domina lo scambio continuo tra affermazione e negazione, tra domande e risposte nuovamente interroganti. E’ come se la poesia cercasse di recuperare la sua primordiale vocazione di forma che interroga il reale, che dubita di tutto, che non ha certezze e che dunque pone domande.
E’ una sorta di poesia parmenidea quella di Marangoni, che procede per cerchi concentrici, avanzando tuttavia verso dopo verso: “Come in una spedizione/ e vado nei luoghi germinali,/ nei luoghi solo/ della percezione” (pag. 18).
…..Il poeta cerca così di cogliere le cose e le emozioni, i pensieri e le immagini nel loro farsi e disfarsi al tempo stesso; la poesia di Marangoni si apre ad una riflessione sugli attimi che si compiono e che in quel mentre si annientano riproponendosi in un continuo momento circolare ascensionale/discensionale. Marangoni cerca con la parola poetica il luogo primigenio dell’apparire delle parole stesse: luogo che egli identifica con l’esperienza primordiale della luce e del silenzio: “Dietro le mie parole/ è il silenzio/… non c’è fondo mai/ nello sguardo/ ma è dove/ sempre torno, sempre vado” (pag. 12) e ancora: “Mi inoltro…/ e mi oscuro/ in quella luce o colore/ che credo nell’oro” (pag. 13)
…..E’ come se la poesia facesse un viaggio all’indietro, nella ricerca di una forma di re-ligio, non però verso un tempo mitico lontano e idealizzato, ma verso un luogo intimo, presente: nel tabernacolo dell’anima direbbero i mistici del Trecento.
“Non so se i boschi si dicano/ o i mari di laggiù…ma qualcosa/ si impiglia/ al confine/ della lingua (…) io vi approdo/ nell’esercizio inconsuntile/ dei sentieri/ ma senza un vero ritorno;/ e questo è quanto” (pag. 11).
…..Sono questi versi indicativi di quanto dicevo prima: versi che hanno un incedere apparentemente incerto, fatto di piccoli passi su un sentiero a strapiombo sul vuoto, versi connotati da una incisiva contrattura, dalla spazialità ricercata, e sono versi che ricordano la poesia densa e porosa dell’ultimo Mario Luzi.
La poesia di Marco Marangoni cerca la “luce declinante tra gli alberi” ma vuole essere “freccia che vola al centro del verbo” (pag. 23). Così ritorna puntuale la questione dell’origine che, come detto, intreccia luce e silenzio: “lo sguardo che rivolgi alle cose,/ non più frantumi e polvere/ ma “cose” o nuclei/ di luce/buio, di quasi forze” (pag. 24).
….Stringe il poeta lo sguardo sul nocciolo delle cose: la sua poesia di fa, per certi aspetti, quasi metafisica: egli cerca l’impatto evocativo, perde di vista gli oggetti reali per cercare l’unico oggetto realissimo, appunto la parola, forse persino solo più il suo suono, il suo stesso risuonare nel contesto del verso, della pagina. Queste poesie sono tese nella ricerca del “segreto e nascimento/ nel mezzo dello specchio fermo, /natura e inganno/ e poi quel vero/ nell’intrigo che dirama, del giorno estivo/ e straniero” (pag. 27).
E’ la calma la mia storia
sempre certa e segreta (…) come
da un fondo
si facesse la parola
e si sfogliasse il logos
colme si sfoglia la rosa. (pag. 30)
…..A questa ricerca dell’origine si collega la volontà di essere autentici:
Ogni volta che si torna sinceri
e non ci obbligano
lacci (denaro/
Impegni)
c’è una luce che si fa chiara
e vien ad ogni ora
(si mostra)
nell’ordine dei nomi,
e dell’origine che si sposta. (pag. 31)
…..L’autenticità non sta nelle grandi verità, nell’essere solido e fondato della metafisica tradizionale, bensì nelle percezioni minime che generano una forma di minimalismo poetico del contenuto che si fa sfumato proprio nella ricerca della massima intensità possibile del contesto poetico : “siamo qui in un fondale/ di allegorie/ senza tempo, /siamo dove non siamo /mai stati, e siamo qui/ per davvero” (pag., 32). Qui Marangoni mi ricorda Mark Strand che si immergeva in situazioni sospese, meditative quando non raccontava poeticamente della sua quotidianità.
…..La scrittura, come la realtà, è per Marangoni un labirinto in cui egli cerca di guidarci proprio con la sua poesia ambivalente: “Come se il doppio fosse il volto unico/ che ci corrisponde…. Mi perdo nei rapporti che non distinguo, /tra l’opera e il creatore…” (pag. 35). E ancora, con versi davvero efficaci: “C’è un passaggio/ in fondo ai segni/ e a tutte le porte, / che indica il doppio/ del tuo stato (alterno), dell’alterna/ tua sorte (pag. 41). Poesia che s’incunea nel pensiero, dicevamo all’inizio, pensiero poetante in ogni caso che descrivendo se stesso o il proprio viaggio, coglie il senso più universale dell’esserci.
“Lucus a non lucendo” è titolo di questa prima sezione che si conclude con una poesia emblematica (che sembra uscita da un libro di Paul Celan) che suggella questo percorso:
…..Lebenswelt
Ci concentriamo in vite concentriche,
per diramarci in coscienza e nel mondo,
per effondere…
……….con la corrente
……………..(e dove ci spinga)
……………
la luce – imparandola
dalla lingua
…..Marco Marangoni fa quindi un salto mortale con questo libro: egli insegue, come detto, una sempre maggiore rarefazione e concentrazione, in cui l’indugiare poetico del verso tende all’intimo e da qui al metafisico.
Come ha scritto Pontiggia, al quale lo avvicina il timbro e lo stile distillato della parola, nella quarta di copertina: “Non c’è poesia, oggi, che più di lui cerchi l’essenza del canto e che lo cerchi dentro l’esperienza delle cose, del tempo che abitiamo”. Giustamente Pontiggia rileva “la potenza dell’invisibile, l’intensità purissima – e leopardianamente sentimentalissima – di una parola che conosce il senso della precarietà, il peso delle illusioni, delle memorie”.
Dimensioni queste che ritroviamo pienamente nella seconda sezione “Nel fitto del tempo/del luogo”. Marangoni si muove tra luoghi oscuri, notturni, carichi d’ombre, l’anima è junghianamente ombra, essa stessa in cerca di un luogo imprecisato che porta la mente sull’orlo di un precipizio: “A volte si disfrena la mente / – ed è e non è; …– poi hai pensato, / finché di nuovo di accorda” (pag. 47).
…..Così è anche l’esperienza del dolore, del disagio personale, psicologico che qui il poeta ci indica con coraggio, scontrandosi con il lutto, con la memoria stessa del lutto e del passato in genere. La poesia esce da questo labirinto con il gioco del paradossi, degli ossimori, abbandonandosi, in un verso memorabile, “all’oscura luce/ dei versi” (pag. 50). Così non c’è niente d’altro da fare che guadagnarsi il pane con la fragile forza della poesia.
La terza sezione è “L’incanto che però dice del cuore” riprendendo un passaggio di J. Joyce da Dedalus (al labirinto, d’altra parte, s’ispira qui la poesia di Marangoni carica di echi borgesiani).
…..Va fatto notare che il poeta ci avvisa, in una breve nota che chiude il libro, che un tragico evento ha interrotto il suo lavoro, poi ripreso. Ciò lo ha obbligato a “vivere il tragico” ed egli ha cercato forse una via d’uscita nel corpo stesso della parola. La parola “luce”, molto presente nel libro, potrebbe indicare l’esigenza e lo sforzo di una trasformazione della pena in un orizzonte positivo, accettando l’assenza, la morte come mistero, spazio cioè in cui non tutto si può dire.
…..Probabilmente in questa sezione incontriamo il momento della ricomposizione, della rielaborazione della crisi che porta il poeta a riscaldarsi con immagini più dolci, con ricordi mediati certo dalla presenza dello sguardo dell’esperienza, ma anche dalla consapevole capacità di cura che ha la parola, il dire stesso: “la storia siamo noi, ma noi davvero, /nell’incidenza incandescente” (pag. 59) e l’inattesa citazione di una famosa canzone di Francesco de Gregori si lega alla coscienza che gli fa dire “e sono il biografo della luce, che oggi m’investe e investe/ Lignano” (pag. 61). Piccoli lampi situazionisti che precedono il finale in cui è di nuovo però è la poesia a chiudere la sezione e a darne il senso avvolto in una nuova necessaria dolcezza:
Tante volte mi sono domandato intorno all’urna greca,
………………………………di Keats. Chi siano gli uomini
e le donne che si rincorrono e vanno
dentro un ricamo di fiori…
…………di eternità e di marmo. Quella luce ferma.
………………………………………………Quel sereno.
Lì dove non c’è paura mai di perderti, né stanchezza
O piacere di dirti (ti amo
……………….
qui è diverso (…)
….. ed è la linea del tuo viso, il respiro che s’affanna,
…………… lo sguardo inquieto, il mio
chiaro. (pag. 63)
…..Chiude, infine, il libro la sezione “L’andare a capo che ci incontra”.
Marangoni compie qui una bella sintesi tra la sua riflessione sulla parola, la poesia e il mondo tragico e dolce degli affetti.
…..La chiave di tutto sta nel sentimento dell’assenza, della consapevolezza dell’infinito cercare che ci condanna, sul piano della poesia, al continuo lavorìo della parola, all’eterno gioco della ricerca della precisione del significato, all’ambiguità delle situazioni linguistiche, all’incompletezza del senso finale delle cose. E sul piano degli affetti ciò significa dover fare i conti con la mancanza, con l’assenza appunto, con la perdita e la necessaria, anche se talvolta solo ipotetica e auspicata, ricomposizione dell’essere. Centrale diventa così l’esperienza rivissuta attraverso il ricordo, la memoria, ma anche attraverso la creazione di nuove prospettive esistenziali (e poetiche, come questo stesso libro).
“Forse non ci sono mai stati degli oggetti, o forse/ solo oggetti-discorso, /cose-parole” (pag. 68): questo può essere una constatazione inquietante che certifica la vacuità del reale, ma che può offrire uno spazio di consolazione.
“Il tuo sguardo mi solleva/ o voce colore persona/ ……/ ma quale senso mi chiedo / (o non senso) ci arreca?/ i passi girano intorno, / tra città e aritmia; / e se è lì che c’è stato l’incontro/ è lì che ti ho persa” (pag. 70). E Marangoni radicalizza questo approccio quando scrive:
“Ascolta- mi sussurra una voce –
c’è un programma di lavoro intorno al suono
questa mattina giù in giardino-
(il fruscio delle foglie sui rami, il vento da nord)
Tu dormi ancora, con la testa appoggiata
sul cuscino;
ma ti dico, amore mio, – tornerò
questa sera, dopo il lavoro e attraverso i millenni
tornerò (pag. 73)
…..Molto bella ed efficace questa scrittura che, come detto, compie un salto mortale tra riflessione poetica e afflato emotivo; tra linguaggio più piano e ricerca di intensità espressiva. Il poeta, ritornando sul tema dell’assenza e quasi parafrasando il mito di Orfeo ed Euridice, scrive: “lo so che mentre ti vedo, /già ci strappa a noi/ l’idea effimera di quello che sono, / di quello che sei” , e ciò che salva è la musica “per dire la vita…/ e tutto l’amore che ci appassiona/ e mi ha sconvolto” (pag. 78) e la scrittura. “E mentre parlo e scrivo/ è a te che mi volgo” (pag. 79) che permettono insieme di accedere a “quel dentro che dispone/ più sotto, nell’intimo/ procedendo… / e prima, ti dico, della parola/ dove un dove non c’è, non si trova” (pag. 83) perché, infine resta “il timbro che si/ rifrange/ ……../ più sotto della parole, e dell’assente (pag. 85).
…..Le poesie di Marangoni esprimono la coscienza del vivere in uno spazio-tempo precario, in cui lo scambio tra vita e morte è continuo. Da qui il riferimento a Leopardi, via maestra e maestro lui stesso nel sentire il Nulla che il poeta affronta a mani nude, con le fragili armi della parola. La “sentimentalissima luce” che Marangoni riprende appunto da Leopardi rimanda a questo gioco complesso, ma necessario, di scontro tra luce e ombra, tragicità e dolcezza, dolore e canto per sconfiggere il Nulla nel momento in cui lo si nomina o, peggio, lo si vive.
Un libro in cui il poeta mira all’essenzialità: un libro, dunque, che apre paesaggi dolenti e luminosi squarci sentimentali, un libro che si inerpica sulle vette della riflessione poetica sul senso della poesia stessa, che si fa tutt’uno con la vita e le sue emozioni ed esperienze proprio nel momento in cui le ne deve, anche tragicamente, rielaborare. Un libro che fa della disgregazione progressiva del testo, della sua frantumazione spaziale, del gioco sonoro dei versi la sua autentica bellezza; un libro che si costruisce attorno ai paradossi e ambiguità ambivalenti dei testi, che poi è la metafora della vita reale, offrendoci la possibilità di un confronto ermeneutico, interpretativo del vissuto e della poesia che non finisce mai di interrogarci.
…..Stefano Vitale
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…..Note sull’Autore
….Marco Marangoni (1961): Tempo e oltre, Campanotto, Udine 1994, con Prefazione di Giuseppe Conte; Dove dimora la luce, I quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme, 2002, con Prefazione di Tomaso Kemeny (da questo testo, in collaborazione con il compositore Mario Pagotto, ha tratto il melologo omonimo per musica da camera, presso la casa discografica Velut Luna, Padova; con Mario Pagotto ha anche collaborato come poeta alla creazione dell’ode musicale per voce femminile, flauto, viola, arpa Acqua disteso fluire, commissionata dall’Acquedotto del Basso Livenza, Duplison, Codroipo, UD, 2002); Per quale avventura, Raffaelli Editore, Rimini, 2007, con Prefazione di Milo De Angelis (sette liriche di questo libro sono apparse anche in Almanacco dello specchio, Mondadori, 2006).
…..Nel 2013 ha pubblicato Congiunzione amorosa, Moretti & Vitali Editore, Bergamo, con Introduzione di Giancarlo Pontiggia e Postfazione di Maurizio Cucchi (di questo lavoro sono apparse alcune liriche in Almanacco della poesia, 2013, Raffaelli editore, Rimini, a cura di Gianfranco Lauretano e Francesco Napoli). Nel 2018 ha poi poubblicato “La passione degli anni” (Stampa 2009).
…..Suoi testi poetici sono apparsi in riviste e antologie nazionali e straniere. La sua poesia è stata tradotta in sloveno, tedesco, inglese. Collabora con interventi critici alla rivista letteraria Clandestino, trimestrale di letteratura e poesia. E’ membro della giuria scientifica di “Premio di poesia San Vito al Tagliamento” e promotore della “Casa di poesia“ di San Vito al Tagliamento. Collabora con il Dipartimento di Italianistica e Filologia classica dell’Università di Bologna per progetti sulla poesia contemporanea. Conduce da molti anni, in collaborazione con le scuole, laboratori di scrittura creativa.
…..Ha ideato e curato “Senso/Suono”, festival di iterazione tra poesia e musica di ricerca, facendo collaborare nomi prestigiosi della poesia con compositori e docenti di Conservatorio.
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