Dalla presentazione di LELLA COSTA
Poesie che “suonano”

…..Nei Quaderni di Malte Laurids Brigge (nell’edizione Adelphi, unica che conosco, è la pagina 20), Rilke descrive le esperienze che bisognerebbe avere vissuto prima di cimentarsi con la scrittura poetica. Non sono mai riuscita a leggere quella pagina senza che la commozione mi stringesse la gola – e quando si è trattato di letture pubbliche, non è stato né facile né indolore arrivare fino in fondo.
…..Ecco, in questi versi di Angelo mi pare ci siano (“a monte”, si sarebbe detto anni fa: sedimentati, non esibiti, ma presenti) proprio quei passaggi di vita e di tempo di cui parla Rilke. E che dunque questa scrittura apparentemente semplice, lineare, minimalista, a volte lievemente ironica, nasca dalla costante elaborazione – o forse sarebbe più corretto dire traduzione? rarefazione? – di esperienze vissute, sfiorate, osservate con sguardo sempre attento, sempre consapevole.
…..Non ho competenze letterarie, ma mi piace leggere poesie, e so riconoscere quelle che “suonano” – e dunque sono perfette per essere condivise con un pubblico.

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Dalla presentazione di ALESSANDRO ZACCURI

…..Esatti come proverbi, i componimenti di questa nuova raccolta possono cogliere alla sprovvista anche chi da tempo segue e apprezza l’opera di Angelo Gaccione. Non viene meno la tensione etica che, fin dall’epoca del sodalizio con Carlo Cassola, ha sempre rappresentato un elemento riconoscibilissimo nella vicenda dell’autore, sia pure nella continua escursione tra generi e linguaggi differenti.
…..In Spore però la dimensione civile assume una cadenza più familiare, quasi intima, come se il lungo dissidio fra le origini calabresi e la conseguita milanesità – e a Milano, ricordiamolo, Gaccione ha dedicato alcune delle sue pagine più importanti – si fosse finalmente assestato sul crinale che sta tra attesa e memoria, tra rievocazione elegiaca del passato e scommessa caparbia su un futuro che tarda ad avverarsi.
…..È un teatro sacro e profano assieme, quello allestito nella prima sezione del libro, dove non c’è figura e non c’è situazione che non venga presa “per il verso giusto”, con effetti di straniamento che sconfinano non di rado nella rivelazione (un esempio fra i tanti: «La morte andando per via, / incontrò la miseria. // “Ci mettiamo insieme?” le chiese. // “Ho sposato la guerra”, rispose, / “sei arrivata tardi”»). Esito tanto più interessante se si considera che la stesura di questo piccolo canzoniere d’amore e di rabbia si è compiuto nell’arco di pochi giorni, in risposta a una chiamata tanto istintiva quanto meditata.
…..Più riposato ma non meno perentorio è, al confronto, l’andamento della seconda sezione, La presenza dei morti, nella quale il verso si distende fin quasi ad assumere la vastità della prosa. Manca il ricorso diretto al dialetto, accennato invece nella sequenza precedente, ma non per questo il paesaggio del Sud è evocato con minor esattezza. Tra memoria e attesa, ancora una volta. Ma senza rimpianti, senza cadere nella trappola della nostalgia.
…..«È sorprendente quanto siano vive, / le cose appartenute ai morti», scrive Gaccione invitando a un rovesciamento di prospettiva. Perché questo deve fare la poesia, sempre: sovvertire il senso comune, suscitare l’insurrezione, trasformare in canto ogni sofferenza, ogni comprensibile e necessaria impazienza.

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Dalla recensione di FABRIZIO CARAMAGNA

L‘aforisma è un genere di confine. La sua etimologia viene dal greco aforizein che significa orizzonte, ma anche limite e confine. L’aforisma si pone nel confine tra la poesia, la filosofia, il saggio breve, la battuta, la barzelletta, il proverbio e la norma di comportamento.
Troviamo l’aforisma nei romanzi di Lev Tolstoj (pensiamo all’incipit di Anna Karenina “Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia è infelice a modo suo”), nelle battute di Woody Allen, nelle poesie di Emily Dickinson, nei testi filosofici di Friedrich Nietzsche, nelle preghiere di Madre Teresa di Calcutta, nelle vignette di Charles M. Schulz e persino nei messaggi della pubblicità, negli slogan rivoluzionari o addirittura nelle scritte sui muri.
Come un seme che attecchisce su terreni differenti, l’aforisma trova alimento e energia dall’incontro con diversi generi letterari, creando ogni volta metamorfosi imprevedibili. Ed è quello che avviene anche negli aforismi di Angelo Gaccione. L’ubiquità e versatilità di questa forma breve trova nuova linfa nel suo nuovo libro intitolato (forse non a caso) “Spore”, quasi a richiamare la capacità dell’aforisma di abitare come un seme in luoghi diversi, generandosi e ri-generandosi ogni volta.
Nella prima parte del libro troviamo 57 frammenti, atomi di pensieri, spore che sono solo in parte bilanciati dalla forma più tradizionale della seconda parte, dove la scrittura si distende fino ad assumere i connotati dell’elegia.
Leggendo i 57 frammenti della prima parte del libro, il lettore ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di completamente nuovo. Sono aforismi perché dell’aforisma hanno la brevità, la sentenziosità, il gusto per il paradosso e la folgorazione. Ma sono anche “altro” e “altrove”.
Hanno contaminazioni con il testo teatrale (come non ricordare le Tragedie in due battute di Achille Campanile), il micro-racconto, il dialogo filosofico, il proverbio, il testo sacro (numerosi sono i riferimenti a Gesù e al Vangelo). E ovviamente presentano diverse caratteristiche comuni con la poesia, forse il genere letterario più vicino all’aforisma.
Qualunque cosa esse siano, queste “spore” (disseminate nei molteplici terreni della scrittura) fanno riflettere, fanno sobbalzare il lettore sulla sedia, gli fanno vedere il mondo da una prospettiva insolita. Scuotono la coscienza, agitano la mente, accendono domande che non ci facevamo da tempo. Rinnovando il famoso “conosci te stesso”, sono un invito a interrogare noi stessi e la realtà che ci circonda, pesando con una bilancia invisibile l’apparenza e la realtà, la menzogna e la verità, la coscienza e il dolore, la fede e il dubbio, il passato e il futuro. Alla ricerca del senso della vita, di quel “verso giusto” delle cose che l’uomo sembra aver smarrito.

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