Loris Maria Marchetti: “Suite delle tenebre e del mare”
(Edizioni Puntoacapo, 2016)

 

L’IRONIA DI UN FLANEUR IMPENITENTE

Le poesie sono organizzate appunto in forma di suite musicale (d’altra parte la musica è una passione significativa e fondante di Marchetti): i titoli danno il tono ai testi in una ricerca estetica che sostiene e giustifica, per molti versi, l’approccio poetico dell’autore. Un approccio incardinato sullo sguardo ironico di un flaneur impenitente. Perché, dal mio punto di vista, il tratto più importante di questo libro è appunto l’ironia. Marchetti è bravo a usare i vari registri dell’ironia. Ritroviamo infatti nella sua poesia l’ironia sociale, quella psicologica ed anche quella filosofica di origine socratica. L’ironia è laica per definizione e Marchetti apre la sua composizione con un chiara professione di “fede laica” e lo fa con ironia “In fondo su Dio/ i preti ne sanno all’incirca/ quanto ne so io” e continua nella successiva poesia “Fa parte dei piani di Dio/lasciare uno spazio al demonio” e, nell’eco di Giorgio Caproni, ci dice che il rapporto con l’Altissimo assomiglia al gioco del gatto col topo lasciando talvolta l’uomo giocare col Diavolo “…perché, stanco o distolto/ per un poco ha ceduto il proprio ruolo/ a Lucifero perfido?”. Marchetti parte quindi da lontano, se così si può dire, ma non si ferma e nella sezione seguente l’ironia si fa settecentesca, elegante nel tono saggistico dissimulando le sue evidenti opinioni dietro la maschera di un atteggiamento distaccato e “classico”.

“… l’Apocalisse apocalittica/ torna di moda e alla ribalta di questo mondo/ ove dilaga la Paura soffocante/ che ne sia prossimo l’avvento sempre che non sia/ già sopraggiunto in forme mascherate e depistanti/ e noi ne siamo immersi fino agli occhi”. L’ironia si fa comica, come dovuto, ed epigrammatica in componimenti quali “Ritardatario”: “Giuse sempre in ritardo/ ai principali appuntamenti della vita /certi poi li mancò del tutto. /morì a centoventi anni”.

Il tono è colloquiale, discorsivo, ma saettante. Altro volte è dolente “che cosa resterà di questa terza/tranche della vita, la scia/ dei fuochi d’artificio in una notte/ di san Giovanni o nuvole di fumo/…Forse l’anima è già evaporata/coi palloncini andati in aria/ impertinenti…ma il programma sarà sempre lo stesso?” L’ironia alleggerisce il peso del brivido esistenziale ed entrano in gioco le ombre in un quadro crepuscolare nelle tinte e nei soggetti. Si badi bene che parlare di crepuscolarismo non significa collegare Marchetti alla corrente letteraria storica, ma cogliere una sua caratteristica: quella di dipingere paesaggi umbratili, di inquadrare un mondo “piccolo” ma ampio al tempo stesso, lontano dall’enfasi del poeta “vate” o del poeta sofferente ad ogni costo. L’ironia sa anche essere lieve col dolore, con la paura, con l’inquietante che può rivelarsi o nascondersi in un grattacielo: “Cresce il fungo, cresce cresce,/… togliendo agli occhi uno spazio di ciel./ma, amici, non abbiate timore/ non è un fungo atomico, è soltanto una sede di Mammona”.

La sezione II si chiude con una serie poi di sei poesie che insistono sul mostrarci il lato lirico dell’ironia marchettiana. I titoli (Depravazione – Il salto – L’impressione – Dove annaspiamo (variante della precedente” –La notte, ancora – La piccola vita) danno l’idea che il poeta voglia cogliere degli istanti che rinviano ad esperienze personali, quadri e bozzetti di vita sgranata, di emozioni cristallizzate dove si aprono baratri improvvisi e inattesi di timore e tremore: “L’impressione/ è di un vivere postumo/ in un orrido sogno/” oppure “Dove annaspiamo sono ore/di una vita stregata/ in un atroce incantamento”; “Il masso/ che fa da ostacolo nell’acqua/ è inchiodato dentro al nostro cervello” . Marchetti gioca anche saltare dal micro al macro-cosmo: “Ogni giorno/come se la luce/ irrorasse le ultime ore,/ogni giorno/come se millenni/si spalancassero dinanzi agli occhi…”.

Con la terza sezione torniamo nel clima che, a mio modo di vedere, esprime meglio la cifra poetica di Marchetti. Tornano in primo piano i ribaltamenti aforismatici, le miniature colloquiali dove l’intelligenza ironica del poeta nuota felice. Marchetti sa prendere le distanze dalle banalità del presente immergendosi nel placido fluire delle cose stesse e lo fa con saggezza “classica”, con un tono da conversazione disincantata. La sua poesia ha un che di pittorico, dicevamo, ricordando certi quadri dell’ottocento che cercavano appunto di cogliere nello sguardo, in un ambiente dei caratteri emotivi. Marchetti non cerca mai la rase ad effetto, ma lascia che l’effetto emerga dalla frase: “I fantasmi di amore e giovinezza, ospiti sempre/più smarriti, si sfiorano col passo dell’esilio”. Mauro Ferrari nella sua postfazione ha evocato Guido Gozzano e certamente Marchetti guarda al mondo con occhi gozzaniani anche se l’approccio è ovviamente contemporaneo. Le più riuscite della sezione a mio avviso sono “Ritorno a P.L.” e il ”Il tesoro nel bosco”.

Nella quarta sezione “Allegretto con spirito”, Marchetti ci offrire altri saggi della sua arguzia melanconica: “Rotonda sul mare” dipinge i piaceri di un nobil signore, in “Mezzo miracolo” incontriamo la sorpresa di un turista della vita catturato dal suono di un organo in città; in “Non si può avere tutto” torna il “quasi comico”, il sorriso dell’aneddoto poeticamente reso e sublimato in arte del vivere intesa qui come cura dei dettagli apparentemente secondari, ma intimi, della vita stessa, in “Quasi parigina” i luoghi sono lo spazio della riflessione poetica che significativamente si chiude col verso “Ne garantisce l’esistenza/ il più perfetto anonimato”. Questo tono prosegue nella quinta sezione (Allegro con brio. Meno mosso. Enigmatico) e in “Di quelle” aneddotica diventa quasi goliardica “era di quelle/ che la danno a tutti/meno che a te” dove il poeta abbassando al minimo i toni della lingua, non si vergogna dei suoi piaceri e delle sue delusioni. In questa sezione sono le donne infatti ad avere la scena e ritorna anche l’ironia (si veda “Entrée”) e s’incrocia con la vis comica (“Timidissimo dubbio/in merito a un poeta venerato:/ “..noi, della razza/ di chi rimane a terra”/ ma l’autore sublime/ di Ossi di Seppia/ non sapeva nuotare?”). Composizioni brevi, dal verso sempre breve sono le poesie di Marchetti che nella sesta sezione assume un tono più meditativo, offrendo qui gocce della sua personale saggezza, con la cura di chi mette in cantina del buon vino da assaporare nel tempo: si vedano “Due strade”, “Dies natalis”, “Gli angeli custodi”. Questa melanconica saggezza trova il suo compimento nel finale dove il poeta s’immerge nel paesaggio marino, nella sua contemplazione dove la staticità del movimento ricorda una forma di circolarità eleatica di una poesia che vive di pause, di punti di vista, di sguardi disincantati: “Nel sogno/la meta sulla spiaggia/non rimane mai fissa e non si coglie/mai o perché la terraferma/ruota e si sposta senza sosta/ (come peraltro il nuotatore)./ Nel sogno/ l’eroe per fortuna/ sa nuotare ed ha fiato e intestardisce/ a raggiugere riva a tutti i costi/(almeno per alimentare/il prossimo quasi identico/ sogno”. Siamo quindi distanti dai grandi dibattiti delle e sulle poetiche del nostro presente. Loris Maria Marchetti prosegue per la sua strada di poeta intelligente e arguto, dalla scrittura attenta e dallo sguardo divertito e melanconico sulle cose della vita borghese.

Stefano Vitale

– Note sull’Autore
Loris Maria Marchetti, nato a Villafranca Sabauda nel 1945, vive a Torino. Di poesia ha pubblicato: Il prisma e la fenice (1977, Premio Torino), La cripta di Superga (1980), La via delle ortensie (1981, Premio Bergamo), Album di un amore (1989), Le ire inferme (1989, Premio Città di Moncalieri), Creatura di vetro (1990), Spreco d’amore (1990), Mercante ingenuo (1994), Il Paradiso in Terra (1998), Concerto domestico (2002), Stazioni di posta (2007), Regesti del Cosmo (2011), Il laccio, il nodo, lo strale (2012), Suite delle tenebre e del mare (2016).
In prosa ha pubblicato: Il piacere della fedeltà (racconti, 1985, Premio Mario Pannunzio), Pagine da un falso diario(prose narrative, 1994), Dopo la chiusura (racconti, 2001), Copie dal vero (prose narrative, 2005), Trentacinque centesimi di resto (pensieri e aforismi, 2005), Le imperfette quadriglie d’agosto (romanzo, 2015). Per la narrativa, nel 2008 ha conseguito il Premio Goffredo Parise. Attivo come critico letterario e musicale, e particolarmente interessato alle relazioni degli scrittori con la musica, ha tra l’altro pubblicato: Pascoli (1976), Un Santo e una Dea e altre cronache di iniziazione (1994), Carducci e Wagner. Un incontro europeo (2009), Espressione senza immagine. La musica nel pensiero e nell’opera di Alfredo Oriani (2011), Muse a Torino. Figure della cultura dell’Otto e Novecento (2013).
Dal 2007 è condirettore degli “Annali” del Centro di Studi e Ricerche Mario Pannunzio di Torino. È componente del Comitato Scientifico della Fondazione “Bottari Lattes” di Monforte d’Alba fin dalla sua creazione.

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