“TRANSAZIONE ESEGUITA” di Emilio Zucchi
(Passigli Editore, Firenze, 2019)

C’è una coerenza tematica, ideale, musicale, ma di musica straziante, dura, senza compiacimento”, scrive nella sua prefazione Giuseppe Conte che interpreta giustamente il titolo sottolineando come “la transazione sia quella che al posto dell’umano mette il non umano”.
Davvero questo libro è una sorta di invettiva civile contro la disumanizzazione delle relazioni, della società interna, davvero questo libro s’immerge “nell’inferno della contemporaneità” e lo fa con passione, rigore, senza nessuna concessione. Chi prende in mano questo libro troverà così un poeta che radicalizza la sua visione (che già era anticipata nei suoi libri precedenti) critica e morale delle cose, la visione di chi si mette certamente dal punto di vista dei “perdenti”, ma con l’acutezza di un punto d’osservazione che ci dice che tutti siamo coinvolti, tutti siamo anche responsabili: “non avere rimpianti/abbi rimorsi.”
Così risuona un verso di Zucchi evocando la responsabilità individuale come una delle cause del degrado, del disastro. Poesia apocalittica? Certamente una poesia che ci mette di fronte alla resa dei conti con noi stessi, con le nostre cattive abitudini, con i gesti irriflessi, con le contraddizioni nascoste dietro l’apparente normalità. In questo senso, la poesia di Zucchi è appunto poesia “civile” che si rivolge al lettore in quanto cittadino. Certo Zucchi è fine intellettuale con una concezione filosofica che considera il “male” come una realtà che fa parte integrante dell’essere. “Esso non è privazione di bene:/ esso esiste, persiste, pipistrello/che entra di notte nella stanza, enorme, /le ali sbattendo contro le pareti,/anche se il lume è acceso”. Questa è la poesia di apertura che prende posizione rispetto all’idea di San Tommaso, ponendosi dalla parte di Leopardi e di Dostoevskij. Il verso che chiude la raccolta poi ci conferma che “Il mostro è vivo”. Non c’è scampo dunque. Con il male dobbiamo fare i conti. Esso si annida ovunque e la poesia di Zucchi declina non la banalità del male, ma la sua pervasiva presenza nella storia, nei gesti, nei sentimenti, nelle scelte dell’uomo.
Così il libro diventa un viaggio tra i “microchip inseriti nel cervello” e le “orrende grandi navi”; “tra i tatuaggi epidermide superstite/ “ e le periferie di “calcinacci in fondo a un terrapieno/ferroviario locale; abbandonato/ e il più possibile dimenticato” (verso che ricorda la sezione “Parma” del primo libro “Tra le cose che aspettano” del 2007); un viaggio tra passa dalla “Convulsione dell’uomo sull’asfalto/fulminato dal laser, circondato/ dai manganelli alzati” all’ “Insonnia, mutuo, esuberi alle linee/di produzione, esuberi/ e riduzione dell’organico.”

Zucchi sfiora col coltello arroventato della poesia i nostri tic ed ossessioni: “Low cost e botox, facce ritoccate/al check-in, tassi d’interesse euforici/…Decollo/ e auricolari. Progetti di vita”. E lo fa con forza ossessiva, usando le parole come tessere di un puzzle, accostandole sino a creare una figura “Immagini, web, video: atrofia/disumana dell’immaginazione, ipertrofia/ delle immagini; zigomi/rifatti, jat lag, botox. Nuova immagine”; oppure “Fare sistema, fare squadre, fare/impresa; fare rete, sinergie/ vincenti, dati all’infinito, vite/precipitate, connessioni, cloud”.
Altre volte ripetendole come in un ostinato musicale: “Rimorso contro rimpianto: la storia/ è orribile, orribile, orribile”. Anche la nostra Storia è dunque coinvolta, perché per quanto ci “crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti” (De Andrè). Così il pensiero di Zucchi va poi a Victor Jara massacrato dai golpisti di Pinochet in Cile nel 1973, passa attraverso la guerra del Vietnam, l’agguato a Pasolini, lo sterminio dei Sioux.
Ma questi flash sono sostenuti sul piano letterario da citazioni dantesche e dai riferimenti alla battaglia della Meloria tra Genovesi e Pisani con migliaia di morti in mare e alla vicenda del Conte Ugolino traditore tradito e vittima nel veder morire di fame uno dopo l’altro i suoi quattro figli richiusi con lui nella torre dai Pisani. E’ una trama nera, metaforica, che lega questi riferimenti ai bombardamenti in Medio Oriente, agli sfruttati delle miniere del Congo. Ma anche la nuova alienazione del lavoro, la sua disumanizzazione costante, il delirio d’onnipotenza delle Borse , della Finanza, le ossessioni della falsa comunicazione, dell’essere sempre connessi,.

La poesia di Zucchi assume forme sincopate, strutture e versi brevi, ritmi spezzati, parole-frasi lapidarie, secche; la poesia di Zucchi è come robotizzata, mimeticamente tesa a descrivere il suo oggetto con il suo stesso linguaggio a singhiozzo, la forma è sempre intermittente, procede per strappi ed è come se Zucchi ci mettesse dinnanzi al suo quaderno di appunti, che sono chiodi, lame. Il lessico è pieno di parole straniere, inglesi, dello slang informatico e comunicazionale che infestano la lingua italiana, che oggi sono di uso comune e diffuso. I versi delle poesie di Zucchi procedono per salti, giochi linguistico-visivi alla Sanguineti, spiazzanti, tesi ma sempre chiari, precisi, nitidi sena fronzoli lirici. La poesia diventa “anti-poetica” per descrivere l’orribile mondo in cui viviamo. E’ come se Zucchi ci dicesse che la poesia non può che essere nevrotica, acuminata, ossessiva, che deve poter usare i luoghi comuni della lingua, il frasario, lo slang che ha travolto la lingua stessa per superarlo. La mediocrità del nostro linguaggio può riscattarsi nella consapevolezza della propria condizione.

Squarci per certi versi aforismatici illuminano di tanto in tanto il paesaggio: “l’eternità/ dei byte, il vuoto riempito di nulla” ; “uomini senza attesa imprigionati/ dentro l’istante performante”; “Gli inseguiti hanno risvegli rapidi”. Ma è sempre un mondo claustrofobico che viene descritto, evocato dallo sguardo del poeta.
Questo non è un libro, ma “un incubo riuscito” che ci sbalza sull’asfalto del presente, ma che dice di rialzarsi in fretta perché un tir impazzito potrebbe investirci.

Stefano Vitale

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