“Tropaion” di Raffaela Fazio
(Edizioni Puntoacapo, Pasturana – AL), 2020

Descrizione di una battaglia

…..Come viene ricordato da Sonia Caporossi nella sua approfondita postfazione, “nell’accezione primigenia, la parola greca tropaion indica la pratica comune presso i guerrieri greci di riportare in patria le spoglie del nemico e le sue armi come commemorazione della vittoria”. Il trofeo della vittoria che sancisce la conclusione di un conflitto è al tempo stesso un modo indiretto per rendere omaggio allo sconfitto accrescendo il proprio prestigio. Vita e morte sono strettamene intrecciate.
Tropaion nel libro di Raffaela Fazio assume una forte connotazione simbolica: è accaduto qualcosa di tremendo, c’è stata una battaglia, un conflitto che ha fortemente coinvolto i suoi protagonisti, in primo luogo l’autrice del libro, che ora sente la necessità impellente di annunciare al mondo che lei, dal suo punto di vista, quella battaglia l’ha vinta o comunque che la tempesta è passata e lei è ancora in piedi. La dura prova è stata superata. Più volte la protagonista è stata sul punto di crollare, ma alla fine ne è uscita vittoriosa. E come gli autentici guerrieri, può anche di rendere omaggio al suo avversario.
L’avversario non è un nemico, lo diventa. Lo scontro non è mai tra chi è buono e chi è cattivo, la ragione non mai da una sola parte. Questo è tanto più vero quando, come in questo caso, la battaglia sembra rinviare ad un conflitto interpersonale, ad una rottura affettiva. Si può parlare certamente di “contesa d’amore” e il superamento della crisi è una vittoria.
Di questo ci parla, in primis, Raffaela Fazio nel suo nuovo libro. Come detto, c’è una forte connotazione simbolica: la battaglia, descritta anche usando termini militari, è in realtà una “contesa umana”, e la forza simbolica della poesia espressa da Fazio fa sì che possa, per lo meno a tratti, emergere l’idea che è la vita stessa ad essere una lotta. Nella vita ci sono lotte per la vita, per la sopravvivenza, quella vera, quella che può veramente provocare la morte. Ma il rischio della capitolazione personale in un conflitto relazionale, per quanto borghese possa apparire, può essere estremamente difficile la sopportare, può dar vita a disastri drammatici e produrre rovine permanenti per una persona.

…..Raffaela Fazio ha vissuto una battaglia che non poteva più evitare, e sa che per poter rinascere altrove occorre passare attraverso il dolore del conflitto perché è attraverso la lotta che “la vita rinnova le sue forze”. Ma attenzione non c’è vitalismo a buon mercato in questa posizione esistenziale e poetica: perché occorre “riconoscere la natura di ogni ferita, in noi e negli altri” (pag. 11). Questa è la premessa.
La sezione “Una battaglia non vista” è dunque altamente metaforica, anzi l’uso della metafora e delle simbologie adottate hanno, da mio punto di vista, proprio la funzione di mettere a distanza il vissuto e, poeticamente come direbbe Giorgio Caproni “di confondere le carte”: perché questo è il compito della poesia. Così Fazio mette in moto una forza metaforica instancabile quanto attenta e misurata per raccontarci il travaglio del suo percorso. E così facendo ci afferra per i capelli trascinandoci nel dramma che può essere stato e potrebbe divenire il nostro. E al tempo stesso ci dice che comunque esso ci appartiene in quanto “umani”, in quanto essere fallati e fallaci, comunque imperfetti, propensi all’errore. “La natura ha bisogno di tensione” , essa “E’ passione. Ma fa male./ Nel carniere ha l’assoluto/ di cui ha perso/ tutto il sangue, la speranza” (pag. 16). Così nello scontro “il vento/confonde/ l’innocenza del sussulto/ con il celato accanimento” (pag. 17); così c’è il rischio di essere “facile preda” del nemico benché il proposito sia non essere “gabbia di me stessa” quando “il rancore/con lui avrà finito” (pag.18). Le ferite rivelano “un tratto familiare” e non è strano che ci si ritrovi con “indosso l’uniforme del nemico” (pag. 19).
C’è, una volta messe le cose a distanza, della consapevolezza, del rigore etico e concettuale che anima questa poesia, che la fa essere credibile. C’è una forma di pietas verso se stessi e verso l’altro che emerge ad un tratto “Ogni fiamma/ è fedele a un disegno/ di cui ignora la misura” (pag. 20) e con questa pietas si raccorda il ricordo della battaglia che è al tempo stesso animato dal gesto di chi vuole “ricordare senza guardare indietro” (pag. 21) ed è sostenuto dalla sua forma “perché ha raccolto/ il buio intorno” (pag 22): così facendo, e non è cosa agevole nella vita, può arrivare un momento in cui dire: “Ma oggi finalmente/non sei dove io sono:/ è tempo di condono/ e il chiavistelli è tolto” (pag. 22).

…..Dicevo della forza metaforica: è la capacità di una descrizione che evita di cadere nella denotazione, è la capacità di domare i demoni che abbiamo dentro, di controllare le emozioni inventando altre forme di emozioni: questa è la forza dell’arte in sé. Ma poi si torna alla realtà del vissuto semplice, vero, reale: “Li diresti intatti/ immemori/ del luogo precedente/ padroni nuovamente di se stessi” (pag. 24). Stiamo parlando degli “oggetti dopo il trasloco”. E non si sfugge alla sensazione che alcuni richiamino ad un “naufragio”, altri “ad un vuoto retroattivo”. La metafora qui si attenua e prende piede l’emozione diretta, l’osservazione delle cose attorno e allora, con un gioco di rime leggiamo “che a salvare è il pianto/ la sporgenza, il buio randagio/ quando alita sul vetro/ un benevolo disagio” (pag. 27). E ci si aggrappa alla vita, alla propria vita: “Raccolgo di te/ quello che si era sparso./ Ma tu non volermi /diversa” (pag. 28) perché “volgerà alla fine/ anche questa battaglia/ non vista” (pag.29). Così si chiude questa sezione, ma la questione non è affatto chiusa.

…..Imago”, la sezione che segue, è ancora legata alla prima. Qui è come se dopo la vera e propria battaglia seguisse la necessità di un ripensamento, in ogni caso di un rivolgersi verso se stessi con spirito di auto osservazione e di autoconservazione, soprattutto. Tutto ciò appare “esistenzialmente” e poeticamente necessario. “Imago” è l’immagine, ma rinvia all’imitare, al misurare e riprodurre i gesti degli altri: cosa che paradossalmente apre spazi di creatività pur riportandoci all’idea dell’effige, del ritratto (si pensi al ritratto di Pamina così tanto importante per Tamino nel “Flauto Magico”, immagine utopica d’amore desiderato). Ma ci ricorda anche l’idea dello specchio che per definizione è riflesso di immagini. Occorre allora ri-conoscersi dentro e oltre lo strappo vissuto-provocato per poter essere vivi oltre e altrove.
Non è solo un processo psicologico e catartico, ma è anche un processo cognitivo nuovo che si intraprende, fatto anche per capire le vecchie maschere e accettare, forse, le nuove. “Figura del ricordo/ felice e spaesata/ “Ti riconosci?” Il fatto è che ora essa “non cessa di svelarsi… Diviene /e non ha /dove posare gli occhi” (pag. 33). Così Fazio opera una cesura filosofica di stampo borgesiano: “Ogni ricordo/ si specchia in un ricordo/ come può il tempo/ uscire da se stesso?” “Uguale mentre cambia/ il suo riflesso/ mi chiama, si getta/ nell’abisso” (pag. 34). E’ la dialettica dell’essere e dell’apparire che qui affonda la sua lama nella psiche di chi deve inventare un nuovo se stesso.
Poeticamente poi Fazio usa alcuni strumenti che potremmo definire “orfici” nel senso che sposta il focus nuovamente su metafore e simboli per riuscire a sopportare l’impatto con gli elementi della storia che l’hanno attraversata. “Voglio che scorra al mare/ prendilo/ come si prende un figlio/dalle mani di un padre” / disse/ affidando all’acqua il suo riflesso/ il cedro”. (pag, 35) e l’ombra (altra traccia dei sentieri di Borges) risponde “Rimango/ perché il tuo occhio/ non si addormenti/ quando cadrà / attraverso lo specchio/ sul fondo” (pag. 35). Oppure l’antidoto sta in una scrittura sonora in cui conta la risonanza del senso per trovare un nuovo significato alle cose: “Sotto la sua voce di fango e di foglie/ ricompare inattesa/ il solco del carro lasciato/ da quella pace/ che mi trasportava a passo d’uomo/ verso la cima, una luce boscosa…” (pag. 38). Qui la poesia emerge come una voce che detta la scrittura dal momento che il rischio, consapevole, è che “la vita… non somiglia/ a nessuna/ delle poesie che ho in testa… L’istante non può essere riscritto” (pag. 39) E’ questa oscillazione tra simbolico e reale che fa di questa poesia un oggetto interessante e affascinante: proprio nel momento in cui rinuncia alla verità la poesia si fa vera, autentica direbbe Adorno.

…..Le nostre ombre / ci camminano davanti” (pag. 41) così le dobbiamo vedere e affrontare. “E’ questa lentezza che ci salva/ ma poi anche lo scatto/ col quale si fa evento/ – istante che artiglia/ e mette in fuga/ la morte/ o le dà senso” (pag. 43). Dicevo che in “Imago” c’è come un ritornare sui propri passi dopo la battaglia: “ma l’uomo non è fatto/ per la lotta./Il suo indugiare/ somiglia alla coscienza/ o al suo sonaglio:/ un salto/ e poi la meraviglia” (pag. 47). C’è qui la ricerca di una nuova pace al di là del conflitto, un desiderio nuovo perché “ogni cosa/ attende che lo sguardo/ la riconosca la salvi” (pag. 48). E’ l’esperienza della rinascita alla vita attraverso la vita che interessa a Fazio che ci mette passione ed anche capacità di riflessione.

…..Da qualche parte si deve pur ricominciare, magari “Dalle fenditure”, che possiamo scorgere o ritrovare nei muri della nostra vita. E questo ci potrebbe aprire a nuove forme d’essere, per essere di sostegno alla vita di altri che ci sono stati vicini o che hanno sofferto la nostra distanza, la nostra assenza mentre s’era in battaglia. E allora c’è una forma di ricordo che intenerisce, che scalda col suono di violoncello (pag. 34) che così ci rassicura con un ricordo d’infanzia (pag. 55); che ci sgomenta affascinandoci con la forza del suo dramma (pag, 57). Ma l’obiettivo è uno solo: “Tornerà la vita/ senza mappature/ come arrivano gli uccelli migratori” (pag. 67).

…..Perché adesso siamo di fronte all’Avanguardia: questo il titolo della quarta sezione. Tutta dedicata ai propri figli. E’ come se il volo delle metafore e dei simboli, il gioco del tenere a distanza il dolore, del domare le passioni abbia bisogno di atterrare da qualche parte, C’è bisogno di riprendere fiato, di un baricentro anche fuori di noi. Ora si guarda al presente, a qualcosa che possa rendere l’impatto meno pesante. In questa sezione il linguaggio si fa più piano, scivola più leggero, sempre sull’onda di immagini e pensieri poetici definiti, precisi ma anche con maggiore indulgenza verso situazioni di calma o di compiaciuta maternità, ad esempio, verso la figlia: “La solitudine/ è questa intermittenza/che anche a te spetta./ E io non posso/ che tenerti stretta/ a distanza” (pag. 71).
Lo sguardo di madre si sofferma su esperienze in parte condivise, altre in parte perdute, forse sul vecchio campo di battaglia: “Con ironia saluti la fine di un’età/Mentre vai avanti/ sento/ che un poco/ io sono ancora là” (pag. 72). Oppure lo sguardo è rivolto all’altro figlio: “Ogni giorno/ questa colpa/ questo privilegio: /chiamati fuori / dalla garitta, dal buio/farti abbassare il ponte levatoio” parlando ora del quotidiano prosaico risveglio mattutino. Tuttavia l’esigenza è altra: “Staccatevi un poco/ perché vi metta a fuoco / perché vi legga col giusto respiro./ (pag. 76); perché la speranza è che tra loro si aiutino, che non vi sia altra battaglia perché “la vita poi continua/ la sua lotta/ non fa male” (pag.77). Perché tutti abbiamo bisogno di una “forma di individuazione”, abbiamo necessità di sentire la vita pulsare dentro per poter sollevare la nostra piccola vita verso l’altro, verso ”un nuovo inizio” che superi anche i limiti dell’ego.
E così si torna alla risorsa della metafora. Ora la battaglia è vista “Dall’alto del colle” (pag. 83): “Da qui / null’altro si distingue/che un fiacco balenio./…la vista non teme più lo spazio/ e cogli all’improvviso il senso della luce:…./ – in punta al giavellotto/ un nuovo inizio, un lancio/ che mi scaglia./ Mi tendo e vibro (sospesa/ felice traiettoria di un pensiero) e non atterro” (pag. 84). L’orgasmo di una nuova vita che si lancia in volo, che trasforma l’io in un oggetto che continua a vibrare. La ripresa dei versi di Rilke certo serve a dare dignità e senso poetico ad un desiderio che è comunque radicato nella scrittura di queste poesie di Fazio. Un nuovo innamoramento, prima di tutto della vita stessa (magari attraverso lo specchio della poesia) è una possibile via d’uscita.

…..Questo libro ci accompagna in un viaggio vissuto, ma l’autobiografismo viene stemperato, controllato, sublimato in una scrittura ferma, sicura quanto metaforica capace di creare nuove cornici, di inserire emozioni, pensieri, riflessioni (perché qui la poesia è anche pensiero sull’esperienza e dell’esperienza) in una dimensione letteraria che attraversa il tempo e lo spazio come  “esile liana” capace però di trasformarsi in “giavellotto” che non atterra, vola.

…..Stefano Vitale

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La ferita

Nel ripulirle i bordi
aspetteremo
che a forza di guardarla
riveli un tratto familiare

e che al mattino
il male si raccolga
come vegliando
un cadavere supino, forestiero
con indosso l’uniforme del nemico
tra le spighe scure, chine
accanto al fosso.

*
La vita parla

Ogni notte ti asciugo la fronte.
Raccolgo di te
quello che si era sparso.
Ma tu non volermi
diversa.

Stringi forte il mio corpo di ore
lungo il recinto di edera e mirto.

Su me spunta fedele
anche colei che credi mi sia ostile

e invece è solo morte.

*
Mise an abîme

Se ogni ricordo
si specchia in un ricordo
come può il tempo
uscire da se stesso?
Vedo il mio occhio:
vorrebbe farsi mondo.
Ma il desiderio
ancora non si sporge
resta nel fondo
di una discesa interna
al suo cadere.
Credevo fossi un’altra
˗ diversi la frattura
il brivido l’abbraccio
diverso anche l’errore.
Eppure la distanza
è immaginaria
è prigioniera
di questa coincidenza
di frattali.
Uguale mentre cambia
il suo riflesso
mi chiama, si getta
nell’abisso.
*
Le nostre ombre
ci camminano davanti
ci chiamano a riempirle con lo sguardo
fino al giorno
della coincidenza
tra il viaggio e il loro fuoco interno.

Altri le spingeranno al largo
credendole lanterne
sposate al riflesso che le accresce
se da sotto, convesso, le consuma.
*
Tornerà la Vita
senza mappature
come arrivano gli uccelli migratori.
Ci troverà d’istinto, chiusi
nell’incoscienza della morte
e muti.
Non varrà ragione, né perdono.
Per prima cosa
il suo calore, come di corpo.
E dopo, ancora.
*

Dall’alto del colle

Il tonfo
dei disarcionati
lo schianto dei vessilli
il cozzo di corazze
tra il crepitio degli elmi
è questo, appena:
un tremito di terra sotto i palmi.

Da qui
null’altro si distingue
che un fiacco balenio.

Tra il fondo della valle
e la ventosa cima del pendio
quale distanza?
Non si misura in ore
di cammino o in dislivelli
ma in una sola cosa:

la vista
non teme più lo spazio

e coglie all’improvviso
il senso della luce:
la mano si disserra
˗ in punta al giavellotto
un nuovo inizio, un lancio
che mi scaglia.

Mi tendo e vibro (sospesa
felice traiettoria di un pensiero)
e non atterro.

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…..Note sull’Autrice
…..Raffaela Fazio, nata ad Arezzo nel 1971, vive a Roma, dove lavora come traduttrice, dopo aver trascorso dieci anni in vari paesi europei.
Laureata in lingue e politiche europee all’Università di Grenoble, si è poi specializzata presso la Scuola di Interpreti e Traduttori di Ginevra. In seguito, ha conseguito un Diploma in Scienze Religiose e un Master in Beni Culturali della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Nel campo dell’iconografia, ha pubblicato Face of Faith. A Short Guide to Early Christian Images (2011).
È autrice di vari libri di poesia. Tra gli ultimi: L’arte di cadere (Biblioteca dei Leoni, 2015); Ti slegherai le trecce (Coazinzola Press, 2017); L’ultimo quarto del giorno (La Vita Felice, 2018); Midbar (Raffaelli Editore, 2019), Silenzio e Tempesta (Marco Saya Edizioni), traduzione di poesie d’amore di Rainer Maria Rilke, Tropaion (Puntoacapo Editrice). Pubblicato altresì A grandezza naturale (2008-2018) (Arcipelago Itaca).

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