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“Esercizi preparatori alla melodia del mondo”
(Baldini e Castoldi, 2016) è l’esordio nel mondo della narrativa del giornalista di “Repubblica” Maurizio Crosetti. L’uomo col pianoforte protagonista del romanzo prende ispirazione dall’artista di strada Davide Martello che il 14 novembre 2015 suonò davanti la Bataclan a Parigi subito dopo la terribile strage. Crosetti lo chiama in causa subito: “un ciclista che trascina un pianoforte in mezzo alle transenne, tra agenti e lampeggianti. Dovrà avvicinarsi il più possibile al teatro, poi cercherà il posto giusto, sgancerà il carrello dalla bici e fisserà lo sgabello, aprirà il coperchio, toccherà la tastiera e comincerà a suonare. In un attimo il silenzio diventerà profondo, ma adesso pedala con lentezza, infilando il viale che porta al teatro, e scende di sella“.

La struttura del racconto si snoda intrecciando due percorsi. Il primo, riportato in prima persona, segue i viaggi, le esperienze e la musica del pianista che gira il mondo con il suo strumento. Il secondo, esposto in terza persona, riguarda la vicenda di una ragazza che studia pianoforte al Conservatorio fin da bambina, una giovane piena di talento che, nel momento dell’esame finale, realizza che aveva sempre suonato per fare felici i genitori, come una pulce ammaestrata che esegue degli esercizi freddi e fini a se stessi. I due giovani si sfiorano dall’infanzia: lei studia al Conservatorio, lui la spia dalla finestra ed ascolta i suoi esercizi. Un amore bambino che tale resterà. Lui la segue innamorandosi della sua sciarpa rossa e della musica. Lei lo nota appena. Poi, per una ragione o per un’altra, scelgono di viaggiare per il mondo: lui portando la sua musica lì dove la guerra o le catastrofi incombono, lei seguendo lo spettacolo itinerante di un marionettista conosciuto per caso. Sino alla notte tremenda del Bataclan a Parigi.

Bene, tutto qui. Niente di male, una storia come un’altra. Che si legge in poco tempo e senza sforzo. Purtroppo essa è esile e sfilacciata, carica di retorica e talvolta stucchevole. Il racconto procede per frasi brevi e concise e questo è un pregio. Ma tutto suona costruito troppo giornalisticamente dietro la patina superficialmente poetica. Non sempre l’essere brevi è sinonimo di padronanza della Lingua. Già il titolo strizza l’occhio ad un lettore sentimental-superficial-impegnato. L’autore indugia su quadretti da spot pubblicitario, ben levigati e sentimentali, ma la Letteratura è altra cosa.

Ripetizioni noiose, sagge sentenze esistenziali da “Baci Perugina” si sarebbe detto una volta, costellano il testo troppo carico di metafore inutili. E’ come se l’autore volesse affrancarsi dal peso di scrivere normalmente di fatti di cronaca, per dimostrarci che sa anche fare il poeta. Ma non si può fare il poeta se non si è poeti. Crosetti è talmente preso da questa ossessione della metafora che a pagina 91 scrive: “effettivamente non le vide nessuno, solo gli occhi vuoti di quei morti che dondolavano al vento come panni stesi, avanti e indietro come il malato dal balcone”. Ridondanze retoriche rafforzate subito a pag. 92 dove scrive “Nessuno salva nessuno, disse Luce. Poi rimase zitto a guardare il mare cha andava avanti e indietro come un respiro”. Le cose, nel suo testo, non sono mai come sono, ma devono sempre sembrare qualcosa d’altro. E poi quei vari capitoli a descrivere la galleria, superficiale e bozzettistica, dei vari artisti di strada: ”e poi c’è questo…” e poi c’è quello”…come in un compitino; e verso la fine, un capitolo più onirico, dove i “sogni” dovrebbero spiegarci la “morale” della storia. Siamo dinnanzi ad un racconto scritto aspirando alla leggerezza, ma che resta esile; che desidera esprimere l’essenziale, ma che per lo più annega nell’inconsistente.

Crosetti fa bene a scrivere racconti, ci mancherebbe, ma non possiamo non provare un senso di inutilità alla fine della lettura del suo libro. Per carità, la Letteratura ha sempre un quid di superfluo, ma solo apparentemente. Qui, quel senso necessario di straniamento e di coinvolgimento in una storia vera purtroppo non c’è. E soprattutto manca quella linfa narrativa che permette al testo di fare un salto di qualità dall’approssimativo al necessario. Giocare coi non detti, le sospensioni, le allusioni non è facile: si rischia una diversa e non meno fastidiosa forma di retorica. Peccato, davvero. D’altra parte lo dice anche Crosetti: “Quali peccati, le chiesi.(a capo, con enfasi) Scegli tu, ne abbiamo commessi tutti.”

Una nota: i titoli dei capitoli sono presi dai titoli di un libro di esercizi musicali e, ovviamente, non c’entrano nulla col contenuto del racconto.
L’idea del racconto, siamo d’accordo, è buona e non ci stupisce il successo del libro: siamo nel pieno di una produzione che risponde alle esigenze di un mercato che chiede testi veloci, di facile lettura, con frasi brevi da trascrivere sui cellulari o le e-mail. Racconti che si colleghino al presente, sollevando emozioni, ma non troppo forti; offrendo pensieri, ma non troppo profondi in una sorta di “baricchismo” (nel senso di Alessandro Baricco, appunto) ormai dilagante. Non è colpa di Crosetti in sé, ma di una deriva generale della letteratura, specie in Italia.

Sono comunque certo che presto organizzeranno dei reading con tanto di accompagnamento musicale condito da parole piene di retorica sul potere consolatorio della musica. E magari anche un film, visto che il racconto è già pressoché scritto con questa forse “segreta” aspirazione.

Maurizio Crosetti, in un’intervista al suo giornale, ha dichiarato di non sapere nulla di musica e di essersi avvicinato a questo mondo quasi per caso. Apprezziamo la sua onestà perché, a pagina 126 del libro, scrive che le Variazioni Goldberg di J.S Bach sono “due arie, ventinove variazioni”. A me risultano 30 variazioni con due Arie, una in apertura ed una in chiusura. Ma fa lo stesso.

Alterez
Aprile 2016

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