“VERSO STELLE GLACIALI”. Il viaggio della parola
di Tommaso Di Dio
(Interlinea, Novara, 2020)

…..Tommaso Di Dio, classe 1982, vive e lavora a Milano. Come si legge nella “notizia sull’autore” posta alla fine del libro “è membro del comitato scientifico del laboratorio di filosofa e cultura Mechrì. Collabora a riviste come “Nuovi Argomenti” e al blog di Rainews “Poesia”. E’ di prossima pubblicazione la sua traduzione di La primavera e tutto il resto del poeta americano W.C: Williams”.

…..Partiamo da qui. Questa è la prima mappa da consultare per cogliere la direzione del lavoro di questo giovane poeta. Tommaso Di Dio dunque intreccia la sua ricerca di studioso e di critico con interessi filosofici, inoltre connette il suo lavoro di traduttore con la propria ispirazione creativa poetica. “Verso stelle glaciali” nasce in questo intersecarsi di interessi. E ne viene fuori un libro intrigante che, mi pare, sia alla ricerca di una sua strada che oltrepassi le secche della poesia narrativa della cosiddetta Linea Lombarda, spesso ridotta al bozzettismo, ma anche del lirismo intimista di tanta poesia soggettiva e solipsista; allo stesso modo pare voler superare lo sperimentalismo autorefenziale del linguaggio estremo di una presunta nouvelle vague anticonformista, senza rinunciare ad alcune soluzioni diverse sul piano specialmente dell’organizzazione ritmica e spaziale del testo poetico. Tutto questo non è poco.

…..Tommaso Di Dio ci propone così una poesia che è “poesia di pensiero”, che procede per illuminazioni senza mai lasciar cadere il filo della riflessione intrapresa. Il tema sottostante è quello della possibilità/capacità della mente poetica di porre domande legittime, domande essenziali e fondate, di interrogare la realtà della mente che si pone di fronte al mondo. E la domanda centrale che Di Dio si pone, dal punto di vista della sua poetica, è forse quella della necessità di produrre forme di sconfinamento del pensiero, di tendere l’orecchio della mentre al di là delle apparenze. Ma non per costruire sistemi compiuti ormai inutili e superati, per abbracciare una totalità inaccessibile, quanto proprio gustarsi il viaggio, per assaporare la vertigine dell’oltrepassamento stesso.

…..La poesia del nostro autore ha un andamento riflessivo, non c’è mai euforia o esaltazione, e neppure verbosità meccanica, il suo tono è diretto, colloquiale, ma mai banalmente quotidiano. Per Tommaso Di Dio la parole deve mantenere una sua “affabilità”, una sua condivisibilità, deve poter essere cordiale anche quanto ci racconta di situazioni o sentimenti duri.

…..C’è come una forma di scrittura mimetica che emerge: egli cerca di dire ciò che pensa indicibile con parole chiare e semplici. Il mimetismo sta nel rifiutare l’esoterismo del potenziale contenuto “filosofico” per aderire pienamente alla parola, quale strumento capace di essere realtà nella realtà. Il bello è che così facendo Tommaso Di Dio può farci anche vivere esperienze poetiche “visionarie” ovvero sganciate dal qui ed ora proprio perché proiettate nello spazio nuovo che si apre grazie alla parola, dentro la realtà. Il poeta parte sempre dalla realtà, dal fatto e poi va oltre e nel vacillare dei confini quotidiani non prende piede la presunzione o la paura, ma si struttura la poesia attorno ad una sana inquietudine che spinge la parola poetica a cercare di capire cosa ci sia dietro ciò che vediamo. Non c’è mai nervosismo espressivo, non troviamo squilli di tromba o lugubri accenti: tutto suona su registi medi, distesi, calmi, antiretorici.

…..E’ così che Tommaso Di Dio propone con la sua poetica filosofica (o filosofia poetica, fa lo stesso) il tema del viaggio che qui è centrale. Il libro è il viaggio, il mezzo è il contenuto stesso; il libro è un viaggio reale e immaginario, il viaggio è lo scrivere il libro. La poesia talvolta si allarga, ma poi sempre torna alla sua vocazione di accompagnare il nostro viaggio, ci sta vicina e al tempo stesso fugge in avanti. Cecità e visione insieme: questo cerca di essere la poesia di Tommaso Di Dio, una poesia che si muove in un’atmosfera ossimorica continua che fa sua la lezione “tradizione” di un Giorgio Caproni, capace di fare esprimere l’immobile movimento della ragione e della parola e di un Clemente Rebora appunto per la sua scrittura realista, capace di osservare e di evitare ogni inutile estetismo.
Ci piace rilevare queste connessioni perché Tommaso Di Dio mi pare non faccia parte di quella schiera di giovani poeti che pretendono di essere poeti solo perché giovani, senza debiti verso nessuno. E non ci stupisce la sua attenzione per la poesia americana di W.C. Williams così come attesta, appunto, il suo lavoro di traduttore: poesia, quella, che tenta di aprire abissi d’inquietudine a partire dalla confronto con la realtà.

…..Basta vivere/ con la luce davanti agli occhi/ la finestra, il mondo vasto/ la luce/ davanti ai tuoi occhi”. La poesia di “Verso stelle glaciali” osserva, sia dai primi versi, un’umanità colta nel suo esserci in quanto ente fragile. E lo fa senza retorica e senza lirismi ridondanti, ma con un tono partecipato ed eticamente coinvolto. Così ci dice di “una donna con le scarpe da ginnastica/…Non più giovane/ non ancora anziana. Fra le mani/ha due buste di carta…/sta nella luce afona d’inizio ottobre come se sola/fosse un richiamo più grande/ alla persistenza e alla vittoria/ di ciò che passa/ di ciò che ustiona.” Oppure vediamo “Quel giovane uomo immigrato. / Che si è impiccato domenica mattina…” definito dal poeta “inadeguato sangue” che ci invita a concentraci su un dettaglio decisivo: “nella trachea che sta per esplodere/puoi sentirne/ il batter/. Questo silenzio. /Che ti esclude”. Da qui parte il viaggio: da ciò che abbiamo intorno e che, spesso, facciamo finta di non vedere. Ma non è solo lo sguardo a muoversi: sono anche gli oggetti, i soggetti che vengono colti nel loro cammino. Tutto in realtà si muove continuamente: “L’idea è che questo sorgere/ non si arresti”.

…..Il paradosso sta nel fatto che il movimento si stringe al suo Ground zero della percezione: “Guarda. Non c’è più niente/che ci tenga qui. Siamo/senza storia. Soli. Liberi”: la condizione degli esclusi ci tocca da vicino: nessuno si deve sentire escluso da questo movimento. Persino le case “guardano /l’immenso catrame e cemento umano/ di cui non sanno nulla”. Il rovesciamento è estremo: noi e le cose uniti nella necessità di sconfinare, come si diceva, e al tempo stesso colti nella nostra immobilità. E da qui muovono le domande essenziali: “dove eravamo mentre/nasceva. Cosa abbiamo fatto/mentre sorgeva / un’irruzione, uno sgorgare; mentre qui veniva /nuova terra”. Questa chiede il poeta dinnanzi ad una “ragazza che cammina incinta”. Perché la sorpresa può sempre arrivare e smuoverci dal torpore. C’è una forma di realismo etico che anima questa poesia che cerca le “fondamenta della vita”. E c’è una prospettiva: “Noi non siamo così. Siamo/ la luce delle scale…/e a me pare che ogni cosa/ si muova da noi; si muova con noi e tremi/amore mio”, c’è una via s’uscita:”in una nuvola amorfa, in un’alba/ lungo la pianura, in uno/ sguardo fermo sulla neve, noi siamo/ esistiti veramente”.

…..Il libro non è scandito in vere e proprie sezioni. Esse sono indicate da quelle che l’autore chiama significativamente “mappe” ed ognuna di esse introduce il tema e la sua variazione, fissa la bussola temporanea della silloge, individue un motivo di riflessione. Che poi si sposta al fondo della Storia, nella Preistoria: “dove un mondo vive nella mente/ e nessuno sa perché”, un mondo che “sempre torna/ da un limite ignoto buio/ senza tregua”, dal quale male facciamo a staccarci senza riflettere. Anche perché la vita ci può ributtare indietro in quella condizione. Basta una malattia, un colpo improvviso, un virus diremmo oggi e ci potremmo trovare ad essere “come se noi/fossimo sempre sotterrati e capaci/ di accedere dalle tue labbra/ al primo senso” e persino così dover ammettere che “hai dimenticato il mio nome…la strada dove vivi” : perdere la memoria e così rischiare di essere “un buco franato spento/ tra travi marce e paludi”.

…..Interessante sotto il profilo della scrittura notare come il pathos in questa poesia non è escluso, anzi emerge proprio dalla descrizione: è la realtà dei fatti che diventa poesia grazie al tono, alla disposizione accurata delle parole su tavolo del senso. Altre volte (come nel caso delle poesie poste nella “Mappa” n° 5), l’emozione sorge dalla organizzazione del testo in forma di appunti, quasi una scaletta singhiozzante, intermittente: “Qualcosa scorre. Sbatte. Oscilla. / Poi cade si alza/ e il cielo limpido. In questi giorni di forte vento/Ti penso che dormi, ti svegli. Legname/ al primo freddo. Superficie, mattone, brina/ di rami sopra rami, sopra vento e cielo limpido/”.

…..Tommaso Di Dio cerca la sua concretezza linguistica nella singola parola che genera un senso di astrazione e di estraneazione utile a preparare sempre un sorta di nuovo atterraggio sulla terra. Ma poi il vascello leva l’ancora. E nella sezione “3. 1492” della Mappa n° 6, la metafora del viaggio si trasforma in diario di bordo. Il poeta è come Cristoforo Colombo alla ricerca di una terra, magari nella direzione sbagliata, ma senza dubbio mosso dal desiderio di decifrare il mondo con l’aiuto delle mappe disponibili ben sapendo che “la mappa non è il territorio” come direbbe Gregory Bateson. Di Dio è fiducioso nel fatto che “è solo la mente che procede, che si sporge e tocca/ se stessa mentre sprofonda/ e distrugge ogni volta questa volta/ dentro la parete di pietra”.
Ma il sogno di terra nuova è più forte d’ogni limite: “oltre la sfera della nostra mentre, oltre il sentiero fra le porte e le cucine/ visitate nella nostra infanzia… dove qualcosa/comunque resistendo trapassa/ oltre la sfera, polveri/ di pronomi…” Non c’è scampo per noi uomini condannati a cercare altrove il senso che è dentro di noi “…e penso/ alla terra mia nuova, terra/ che sempre sarà/ più in là di me/ senza me”.

…..Tommaso Di dio riecheggia Giorgio Caproni quando scrive “perché meno sia la paura di chi non come me/ non sa dove si vada…” e ancora quando scrive “…ogni cosa/ all’orizzonte/ impara a scomparire” e poi dove scrive “…che la creduta terra era semplicemente /il cielo”. Il gioco ossimorico diviene la cifra stilistica di passaggi essenziali della poetica di Tommaso Di Dio che tocca un punto importante nella poesia di pagina 88 che si apre coi versi. “E se questo mare non finisse. Se ci fosse altro mare/ oltre il mare. Oltre questo/ azzurro e nero e buio e luce spazi/altro azzurro …E se non vi fosse terra. /Non vi fosse limite. Se ogni limite non fosse…in una mente senza fine mai…” e chi si chiude con i versi: “E se io procedo. E se indietreggio. E se io già/ sono da sempre/ nel mare/ come chi s’è perduto”.

…..Questo tono e questo colore tenue e calmo continua a risuonare nella sezione brevissima mappa successiva in cui l’arrivo immaginato nella terra desiderata si presenta in realtà come un vero inizio. Nulla è stato fatto una volta arrivati al punto ed il vero forse sta solo più nella luce: “Solo la candela/era luce vera”, solo il nostro sforzo infinito di movimento è vero. Così il poeta torna la punto di partenza “fra i muri/ i tombini e i motori; fra gli edifici/ alla fine di una città, fra i termovalorizzatori/ e i campo spogli, a casa nel cemento”, in una terra di nessuno in cui tanti mondi diversi camminano talvolta insieme, talvolta uno accanto all’altro senza vedersi. Eppure se “mi fermo. Queste stelle/ nessuno mai/ le ha viste prima”. Qui sta il ruolo della poesia: di fungere da allerta, campanello che suona per attirare lo sguardo e centrare un nuovo bersaglio visivo ed interiore al tempo stesso.

…..E’ la parola che salva: “in questa terra diventiamo parole” magari per essere quelli che kafkianamente “cavalcano/il secchio bucato dei sogni”, ma pure sempre attratti dal movimento della nuvola: “la nuvola/si muove/Evapora. Ride”. Perché il mondo emerge “come immaginazione, desiderio, descrizione/ ancora macchiato/ dai nostri sensi intorpiditi/ per la fatica di aver condiviso un viaggio”. E in questo viaggio appare fondamentale, come hanno insegnato Umberto Fiori prima e Mario Benedetti poi, lasciarsi sorprendere dal gesto semplice di “alzare lo sguardo” per guardare e finalmente vedere. Certo camminiamo “verso stelle glaciali” ovvero “un sentiero già segnato”, un ritorno, una riflessione in cui passato-presente-futuro folgorano uno nell’altro in una forma d’intuizione cognitiva che la poesia asseconda e rende possibile, proprio nella consapevolezza che “questo io / che ci ostiniamo a scrivere io/ che è solo un buco/ un calore che scava nella neve un cerchio/ un cielo” fino a che “le nostre parole stanno per raggiungerci…/Ogni cosa/ che è stata detta arriverà alle nostre porte/ e darà colpi e colpi/ per entrare e farsi carne./…Le nostre parole / stanno per raggiungerci./Siate pronti./Dite loro il vero”.
In una sorta di laica teologia della parola, il poeta cerca comunque una qualche forma di verità proprio nella parola ben sapendo che essa è frutto di cultura e di proiezioni, costruzione, mappa che sostiene, descrizione di una descrizione senza fine, alla ricerca di uno spazio dove anche gli angeli esitano.

…..Stefano Vitale

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…..Note sull’Autore
Tommaso Di Dio (1982), vive e lavora a Milano. È autore della raccolta di poesie Favole, Transeuropa, 2009, con la prefazione di Mario Benedetti. È giurato, per la sezione under 40, del premio letterario Premio Castello di Villalta Poesia. Nel 2014 ha pubblicato il saggio Omologia e totalità, Un percorso sulla nozione di differenza tra la biologia e l’arte di Barnett Newman nella raccolta Prospettive della differenza, Lubrina editore, a cura di Carlo Sini, insieme al quale, dal 2015, è membro del comitato scientifico della laboratorio di filosofia e cultura Mechrì (www.mechri.it).
Nel 2014, esce il suo libro di poesie 
Tua e di tutti, Lietocolle, in collaborazione con Pordenonelegge, tradotto in francese da Joëlle Gardes per Recours au poème éditeurs. Nel 2015 pubblica la plaquette Per il lavoro del principio, nata all’interno del progetto Le parole necessarie, in collaborazione con Il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna e l’Ospedale Sant’Orsola. Nel 2017 è stata pubblicata in tiratura limitata la plaquette Alla fine delle favole, Origini edizioni, Livorno. Nello stesso anno, pubblica il saggio Nel labirinto del ritorno.
La parola poetica e il ritmo, nella rivista
«Il Pensiero», a cura di Massimo Donà. È di prossima pubblicazione, per Effigie, la sua traduzione di La primavera e tutto il resto del poeta americano W.C. Williams. Nel 2018 è tra i fondatori della progetto di poesia e arte Ultima, per cui ha pubblicato la breve raccolta World Wide Whatsapp crash (www.ultimaspazio.com).

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