foto_binari_vitaleIl tragico incidente dei treni tra Andria e Corato del 12 luglio ha scosso drammaticamente questo scorcio d’estate.

Non è la prima volta che accadono incidenti sulle linee ferroviarie e non solo in Italia. Malgrado questo, il treno resta un mezzo sicuro per spostarsi. Ma l’opinione pubblica è molto toccata. Quel che colpisce è la fatalità di un evento che aggredisce la normalità. Chiunque di noi poteva essere su quei treni. I casi della vita, si dice.

Quel che rende tutto insopportabile è vedere decine e decine di vite spezzate senza un’apparente ragione, così per caso. Soffiate via dal palmo di mano della terra. Le storie personali, su cui i media insistono molto, generano grande pietà e compassione. Ma anche rabbia e, talvolta, spirito di vendetta.

Abbiamo apprezzato la tempestività delle istituzioni nel rendersi presenti, nell’assicurare immediatamente ai familiari delle vittime il loro cordoglio e che i responsabili e le responsabilità saranno accertate. La vicenda ha anche un eco politico. E’ chiaro che un fatto così grave ed eclatante è un’ottima occasione per accusare chi governa di ritardi, inadempienze, magari anche di corruzione. Insomma, come si è detto, “è il sistema che non funziona”. E giù polemiche ed anche strumentalizzazioni al limite delo sciacallaggio.

Le vittime innocenti vanno tutelate, non c’è dubbio. Ma occorre anche ragionare, informarsi e risolvere. E non fare guazzabugli, mescolando tutto e il contrario di tutto. Perché è così che poi non si arriva da nessuna parte e si finisce per non fare giustizia. Personalmente penso che in questi casi, le cose vadano affrontare un pezzo alla volta. Che poi vi siano delle cause e delle concause che si intrecciano è inevitabile. Ma allargare troppo il quadro può portare a non risolvere nulla. Su “Repubblica” del 15 luglio, Giuliano Foschini e Fabio Tonacci fanno finalmente una ricostruzione lucida dei fatti. Perché è da qui che occorre partire. Certo, toccherà alla magistratura verificare e stabilire la verità. Ma per ora affidiamoci al buon senso e al metodo del procedere per piccoli passi .

Secondo i cronisti, sarebbero stati almeno 4 errori a determinare la tragedia. Per prima cosa, si erano accumulati dei ritardi. Il treno 1016 da Corato parte con 10 minuti di ritardo, alle 10.58. Cinque minuti dopo, alle 11.03, il treno 1021 partito da Andria è sul binario. Avrebbe dovuto restare in stazione ed aspettare. Perché si è mosso? Qui sbaglia il capostazione di Andria. E’ lui che fa partire il treno nonostante il binario sia ancora occupato dal treno in arrivo da Corato. Probabilmente l’accumulo dei ritardi lo confonde ed è possibile che il capotreno di Andria confonda un treno con un altro.

In stazione c’era fermo, da poco arrivato in ritardo, il treno 1642. Lui scrive “ET 1016” nel fonogramma che invia al collega di Corato, che non può far partire il suo treno senza quella conferma. Ma anche il capotreno di Corato commetterebbe una leggerezza. Fa partire il treno 1016 prima che il precedente treno raggiungesse Andria. Non c’è stato il segnale “di giunto” che conferma l’arrivo di un treno in stazione. In più avrebbe dovuto capire, il capotreno di Corato, che qualcosa non quadrava nel fonogramma di Andria: tempi alla mano, era impossibile che il treno fosse già arrivato. Pare che anche il personale di bordo abbia le proprie responsabilità. I due treni provenienti da Corato avrebbero dovuto incrociarsi prima di partire. E’ un banale, ma importante controllo visivo che non c’è stato.

Sono tantissimi i treni che circolano su un binario unico in Italia e nel mondo. E non accadono tragedie tutti i giorni. Ci sono dei protocolli che vanno seguiti e rispettati. Ci può essere un errore umano. Qui certamente c’è stato. Il fatto, crudele e terribile, è questo. Poi si può e si deve discutere su come evitare queste cose. Viviamo ossessionati dalla sicurezza, ma poi non si assumono misure sempre più adeguate di controllo e di tutela dei cittadini. Ci spaventiamo per gli immigrati, per il terrorismo; siamo in ansia per i gradini delle scale troppo alti, per i cibi scaduti, l’esposizione eccessiva al sole ma qualcosa ci sfugge, sempre.

Scopriamo infatti che quel tratto di ferrovia è il solo binario unico (che non è di per sé la causa del disastro) senza alcun sistema di controllo automatizzato. Un banale sistema meccanico che, con semafori lunga la tratta, avvisa il macchinista se in quel tratto di linea entra un treno che non doveva esserci. Costa 130mila euro a chilometro. Qualcuno dell’Ustif (la struttura periferica del ministero che si occupa dei trasporti pubblici a linea fissa) aveva concesso una deroga alla direttiva europea (la 122 del 2015) che imponeva quel sistema di controllo. Chi ha firmato quella deroga? Questo chiedono i due giornalisti e questo chiediamo anche noi. A questo si aggiunge che ad ottobre 2015 quel tratto di ferrovia doveva essere già a doppio binario con i 33 milioni e mezzo di euro già pronti da tempo dopo quattro anni di lungaggini burocratiche dovute a ritardi della UE e dell’amministrazione italiana. L’opera doveva essere già finita, ma l’appalto non è mai partito.

Ora ci sono 23 morti e 50 feriti, di cui 21 ancora ricoverati, otto sono in prognosi riservata. Hanno ragione i magistrati a dire che “parlare di errore umano è riduttivo”, ma mi auguro che l’inchiesta non finisca “all’italiana”: a forza di allargare i tronconi giudiziari si finisce per impantanarsi. Siamo bravissimi nello scarica barile. Certamente questa è una ottima, quanto tragica, ragione per rivedere il piano degli investimenti relativo ai trasporti locali, di ci si parla polemicamente da anni, e per correggere le assurde procedure e le storture (Cantone ha parlato di questi fatti mettendoli in relazione con il sistema di corruzione generale) della pubblica amministrazione.

Intanto su quel binario, sempre più triste e solitario come cantava una vecchia canzone, i fiori dei parenti appassiscono al sole della campagna pugliese.

Corre la morte
 sul suo unico binario
 dimenticato tra gli ulivi.
 Corre la morte
 sospinta dal vento dell’errore
 travestita da capostazione.
 Dispersi in un luminoso mattino
 finiscono mondi che si son sfiorati
 pendolari e studenti, precari e innamorati
 ingoiati da troppo cielo
 nell’impossibile consolazione del destino
 s’apre una piaga nel petto
 e sgorga un pianto maledetto
 stanco di cercare una ragione
 all’improbabile fatalità
 che ripete la triste canzone
 di chi parte senza ritorno,
 di chi arriva senza scarpe né parenti
 e dell’oscurità che scende su chi resta.

Stefano Vitale

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