EDUCATORI FIGLI DI UN DIO MINORE?

Su “la Repubblica.it” attira la mia attenzione questo pezzo di Salvo Intravaia dal titolo “Docenti di sostegno: con la Buona Scuola li confermano le famiglie”. L’occhiello è eloquente. “Nel decreto legislativo sull’inclusione scolastica degli alunni con handicap la norma che consente ai genitori di chiedere un nuovo contratto per i docenti nell’interesse dell’alunno. La protesta dei sindacati: “La scelta di un lavoratore pubblico non può essere fatta da chi non ha competenze per valutare la didattica speciale”.

A prima vista nulla da eccepire: i Sindacati hanno ragione. Non si può aprire la strada all’idea di una scuola gestita dalle famiglie. Né si può venir meno al principio che la scuola è Pubblica e non uno spazio “privato”. Già nella nostra società sono presenti forze e spinte verso un sorta di ritorno al vecchio caro precettore, all’idea di una formazione scolastica a misura della famiglia. Con tutti i relativi problemi di controllo (sulla reale formazione condivisa) e di chiusura (dell’orizzonte culturale di tutti). L’educazione democratica non può essere familistica, ma deve essere aperta alla complessità e gestita da professori e professoresse, maestri e maestre qualificate. L’idea che le famiglie possano decidere se quell’insegnante è adatto o meno, da confermare o meno, sarebbe un colpo mortale per l’immagine e la reputazione degli insegnanti, già duramente provata da anni di delegittimazioni crescenti. Ma cosa ci racconta il giornalista?

Per la prima volta in assoluto, con la Buona Scuola bis, i genitori potranno scegliere gli insegnanti. Per ora, solo i supplenti di sostegno. Ma in futuro, se l’esperienza sarà positiva, mamme e papà potrebbero mettere bocca sulla nomina di tutti gli altri insegnanti, anche quelli di posto comune. La novità è contenuta nel decreto legislativo sulla cosiddetta inclusione scolastica che riguarda, oltre agli alunni con handicap, anche gli scolari e gli studenti con Dsa (Disturbo specifico di apprendimento) e Bes, con Bisogni educativi speciali. In altre parole, tutti i soggetti che manifestino qualche difficoltà, come i disgrafici e i dislessici o coloro che hanno alle spalle famiglie disastrate. Il comma che apre alle famiglie la possibilità di intercedere a favore di questo o quel bravo supplente, che nel corso dell’anno scolastico si è contraddistinto per il suo lavoro con l’alunno disabile, è il numero 3 dell’articolo 14 del provvedimento approvato venerdì scorso. “Al fine di agevolare la continuità educativa e didattica e valutati, da parte del dirigente scolastico, l’interesse dell’alunno e l’eventuale richiesta della famiglia, ai docenti con contratto a tempo determinato per i posti di sostegno didattico – si legge nel testo uscito dal Consiglio dei ministri – possono essere proposti, non prima dell’avvio delle lezioni, ulteriori contratti a tempo determinato nell’anno scolastico successivo”. Una chance condizionata alla disponibilità del posto e alla precedenza da accordare ad un eventuale docente di ruolo che intenda trasferirsi in quella scuola. In ogni caso, è la prima volta che nell’ordinamento normativo italiano il principio del punteggio per l’assegnazione di una supplenza viene subordinato all’eventuale giudizio dei genitori del bambino o ragazzo disabile. Per il momento, la novità resta un principio sulla carta perché “le modalità attuative del presente comma sono definite con decreto” del ministero dell’Istruzione al regolamento ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, anche apportando le necessarie modificazioni al regolamento sul conferimento delle supplenze.”

Indubbiamente è un bel problema. E resto dell’idea che la scuola pubblica è uno spazio aperto, dove le diversità si devono incontrare, dove lo Stato deve porsi a garante della qualità della formazione con personale pubblico qualificato dalle Istituzioni e sottoposto a regole pubbliche comuni.

Ma mi viene in mente che da molti anni situazioni analoghe a quelle indicate dal decreto già accadono e senza che nessuno dei Sindacati si sia mai preoccupato. Nei Servizi Educativi gestiti dai Servizi Sociali e anche da cooperative sui nostri territori, per progetti rivolti a minori disabili, a bambini seguiti dalla neuropsichiatria, per minori disagiati socialmente circolano migliaia di educatori professionali, laureati e diplomati, di assistenti sociali, psicologi. Si tratta di personale pubblico, assunto dai Comuni, dalle Asl, dalle cooperative sociali.

Ogni giorno sono confrontati con la necessità di stabilire una relazione positiva con le famiglie, spesso molto provate, anche problematiche. Il più delle volte coinvolte nel progetto, sia direttamente che indirettamente. Senza il loro assenso non si possono portare avanti quei progetti, a meno che non sia intervenuto un Tribunale. Ed anche in quel caso l’ascolto della famiglia da parte degli operatori dei servizi è indispensabile. Lo è perché quel che conta è arrivare ad un buon risultato per il bambino, per l’adolescente.

L’alleanza con la famiglia è un’arma a doppio taglio: occorre essere attenti e non farsi fagocitare. Al tempo stesso la famiglia è una risorsa che va orientata e, se possibile, fatta crescere. Insomma non mi scandalizza se anche sui minori disabili inseriti a scuola si apra un dialogo con le famiglie anche sul punto della valutazione del docente. Anche perché non si tratta di valutare, ma verificare se la relazione funziona. Magari questo obbligherà anche le Istituzioni a selezionare meglio il personale, a darsi degli strumenti di monitoraggio più precisi, attenti al merito e nel merito. Anche dentro la scuola visto che fuori dalla scuola già accade.

Gli educatori fuori dalla scuola non sono “figli di un Dio minore”. Il giornalista scrive: “La conferma di un lavoratore pubblico, può passare per il gradimento di una utenza quasi priva delle conoscenze e competenze per valutare le tante variabili che entrano in gioco nell’impartire la didattica speciale?”, si chiede il sindacalista. “La risposta è ovviamente no”.
O forse anche sì?

S. V.

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