“Chi mi parla non sa che io ho vissuto un’altra vita”
Citazione tratta da “La vita sognata”, Antonia Pozzi – 1933
(Edizioni L’arcolaio – Fogli di critica, 2018)

Antonia Pozzi: poetessa, saggista, fotografa, nasce a Milano nel 1912 e sempre a Milano muore, suicida, nel 1938.
Figlia dell’alta borghesia milanese, si forma presso l’Universita’ di Milano con il filosofo Antonio Banfi e frequenta la sua cerchia di allievi (Luciano Anceschi, Enzo Paci, Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio).
Le sue ‘Parole’ – pubblicate postume in edizione privata presso Mondadori nel 1939, nella collezione de “Lo Specchio” con prefazione di Eugenio Montale, sono state riproposte da Garzanti alla fine degli anni Ottanta, quando vengono pubblicati anche i Diari e le Lettere. (Scheiwiller, Viennepierre, Archinto).
Antonia Pozzi era dotata di un animo ipersensibile, seppure al contempo fosse una donna dal carattere forte e dotata di una arguta intelligenza. Fu forse preda innocente di una assurda censura paterna che coinvolse non solo la sua vena poetica ma la sua vita tutta. Senza dubbio patì molto il chiuso ambiente religioso familiare e fu molto scossa dalle leggi razziali del 1938 che colpirono alcuni fra i suoi amici più cari.
A soli ventisei anni si tolse la vita con dei barbiturici, ma la famiglia negò la circostanza ‘scandalosa’ del suicidio, attribuendo la morte ad una forte polmonite.
Il testamento di Antonia Pozzi venne distrutto dal padre, che peraltro manipolò anche le sue poesie, scritte su dei quaderni e quindi ancora tutte inedite.
Antonia Pozzi è stata anche raccontata nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada “Poesia che mi guardi”, presentato fuori concorso alla Sessantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia, tenutasi nel 2009. Inoltre, il 19 febbraio 2016 è uscito in sala, a Milano, il film sulla vita della poetessa, intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino, con l’attrice Linda Caridi nel ruolo di Antonia Pozzi. E’ citata anche nel film “Chiamami col tuo nome” uscito nel 2017 e tratto dal libro omonimo  di Andre’ Aciman.
Tutte le sue opere sono state pubblicate postume.

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Il volume, di circa 500 pagine, raccoglie essenzialmente i contributi critici presentati in occasione di tre incontri dedicati ad Antonia Pozzi; incontri tenutisi tra il 2010 e il 2012 rispettivamente a Varallo Sesia, Brezzo di Bedero (Varese) e Milano
I saggi contenuti nel volume propongono delle nuove prospettive critiche nel panorama degli studi dedicati ad Antonia Pozzi: nuovi strumenti relativi alla sua opera poetica, all’antifascismo ‘al femminile’, al suo amore per la montagna e la fotografia. Fanno parte integrante del testo gli interventi di Maria Grazia Casagrande, Antonio Bertin, Alessandro Quasimodo.
Completano il volume pagine di testimonianze e una tavola rotonda tenutasi a Milano, alla Casa della Poesia di Milano, alla quale hanno partecipato alcune fra le voci piu’ significative della poesia contemporanea, quali:Tomaso Kemeny, Giancarlo Majorino, Mariapia Quintavalla, Tiziano Rossi.
Questa serie di incontri sono stati fortemente voluti da Matteo M. Vecchio, dottore di ricerca in letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Universita’ degli Studi di Firenze.
Matteo Vecchio si occupa essenzialmente di poesia e critica del Novecento, è un grande estimatore di Antonia Pozzi e per lei ha curato molti testi, quali: “Antonia Pozzi, Diari e altri scritti(Milano, Viennepierre 2008) e da ultimo anche un’antologia di testi tradotti in francese da Camilla Cederna ‘Une vie irremediable. (Lille 2018).
Il testo è stato intitolato “Chi mi parla non sa che io ho vissuto un’altra vita” in quanto considerato per l’appunto una ‘nuova via’ per comprendere ‘il volto’ di una significativa voce del Novecento poetico europeo.

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Antonia e io
di

Maria Grazia Casagrande

“Una della note distintive che ho amato sin da subito nella poesia di Antonia Pozzi è caratterizzata da quella sorta di acerbità di dizione ampiamente sottolineata dalla critica, peculiarità che ha permesso all’autrice non solo di seguire un percorso stilistico che le permettesse di andare oltre e quindi di perfezionare e di maturare un proprio stile poetico, ma soprattutto di serbare, di difendere gelosamente quella forma di innocenza ed ingenuità d’espressione tipica delle sue poesie.
Gli scritti della Pozzi sono piacevolmente avvolti da quella che viene definita “trasparenza adolescenziale” caratteristica che permette di trasformare gli eventi in una specie di favola personale, in cui è possibile osservare i fatti col distacco tipico di chi abbia attraversato una dolorosa esperienza lasciandosela alle spalle ed acquisendo al contempo la giusta consapevolezza di ciò che questa ha significato e continua a significare. Dando quindi origine a una “doppia vita”, o forse solo a “un’altra vita”: la vita sognata che è poesia-riassunto, che è oggettivazione dell’evento che rivendica all’esperienza il suo carattere di eccezionalità. […]

[…] “Perché – come scrive Antonia Pozzi al poeta Tullio Gadenz in vacanza a San Martino di Castrozza – la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’Arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare”.
La Poesia è un dono che nasce dal dolore e come l’alchimista sa trasformare il piombo in oro, così la Poesia è in grado di trasfigurare la sofferenza in un canto dell’anima facendosi ponte leggero fra gli uomini e divenendo dunque salvezza non solo per sé, ma anche per gli altri!
Montale definì il lavoro della Pozzi “poesia-diario: una poesia intimamente drammatica che traduce il profondo dissidio fra vita sognata e realtà sperimentata; disagio che la porta ad un punto di non ritorno, ed all’inconciliabilità fra le parole dell’anima e quelle della «tribù”.
Dolorosa esperienza da me condivisa, che mi ha costretta a volte a dover difendere in modo feroce la mia Poesia dalle accuse di eccessivo intimismo e spontaneità: elementi assolutamente determinanti e peculiari del mio scrivere, tratti distintivi ai quali non potrei certo rinunciare in quanto portatori di divulgazione e condivisione profonda dell’umano dolore, di un percorso comune in cui il lettore possa riconoscersi, confrontarsi e confortarsi: la poesia quindi come Salvezza, anche per gli altri!  […]

[…] Ed è ricordando gli echi delle parole di Sanguineti che avrei piacere di citare una poesia di Antonia Pozzi che ho profondamente amato: “Esempi”, una poesia dell’aprile 1931 che tramite le immagini delle tanto amate montagne, delle nuvole e del sole che incita all’ascesi, ancora una volta racconta la strenua fatica che richiede la «tragedia» dell’essere Uomini, e la fatica del vivere!

“Esempi”

Anima, sii come il pino:
che tutto l’inverno distende
nella bianca aria vuota
le sue braccia fiorenti
e non cede, non cede,
nemmeno se il vento,
recandogli da tutti i boschi
il suono di tutte le foglie cadute,
gli sussurra parole d’abbandono;
nemmeno se la neve,
gravandolo con tutto il peso
del suo freddo candore,
immolla le fronde e le trae
violentemente
verso il nero suolo.

Anima, sii come il pino:
e poi arriverà la primavera
e tu la sentirai venire da lontano,
col gemito di tutti i rami nudi
che soffriranno, per rinverdire.
Ma nei tuoi rami vivi
la divina primavera avrà la voce
di tutti i più canori uccelli
ed ai tuoi piedi fiorirà di primule
e di giacinti azzurri
la zolla a cui t’aggrappi
nei giorni della pace
come nei giorni del pianto.

Anima, sii come la montagna:
che quando tutta la valle
è un grande lago di viola
e i tocchi delle campane vi affiorano
come bianche ninfee di suono,
lei sola, in alto, si tende
ad un muto colloquio col sole.
La fascia l’ombra
sempre più da presso
e pare, intorno alla nivea fronte,
una capigliatura greve
che la rovesci,
che la trattenga
dal balzare aerea
verso il suo amore.

Ma l’amore del sole
appassionatamente la cinge
d’uno splendore supremo,
appassionatamente bacia
con i suoi raggi le nubi
che salgono da lei.
Salgono libere, lente
svincolate dall’ombra,
sovrane
al di là d’ogni tenebra,
come pensieri dell’anima eterna
verso l’eterna luce.

Da “Antonia Pozzi – Tullio Gadenz: Epistolario” (1933-1938) – Viennepierre, 2008

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