Con “La Corrida” finisce la mattanza dei candidi babbei
Strani tempi i nostri. E noi siamo una strana umanità che perde pezzi per la strada, primo tra tutti il senso della carità cristiana. Mi correggo a vantaggio degli agnostici: la virtù della carità e basta, quella che, tra le altre cose, insegna a rispettare e sorreggere i “poveri di spirito”.
Cosa intendesse esattamente quel giovane nazareno quando promise il possesso del regno dei cieli proprio ai poveri di spirito, è cosa incerta: se non si vuole scomodare la teologia, l’interpretazione della frase stessa muta di continuo. Nel cinico giorno d’oggi, molto impropriamente e laicamente, il ‘povero di spirito’ non è che un ingenuo campagnolo, un candido sciocco digiuno di qualsivoglia uso di mondo: insomma, un non-acculturato e retrivo babbeo. Così babbione, ma così babbione da far morire dal ridere.
La RAI, televisione di Stato con canone obbligatorio per tutti (polli o volpi che siano), ha capito subito come divertire il grande popolo dei “ricchi di spirito” sulla pelle dei cerebro-sprovveduti. Succede così, che la RAI della prima serata, generosa com’è, regala dai tre ai cinque minuti di notorietà agli ottusi di borgata che sognano di mostrarsi, finalmente, dall’interno di uno schermo ultrapiatto. Mostrarsi a chi? Agli amici del bar, ai parenti di fuori porta, ai distratti compari di quartiere che, il giorno dopo l’esibizione mediatica, saranno persino tentati di domandar loro un autografo.
Tutto qui; i poverelli di oggi non domandano che questo privilegio. E “La Corrida” speculava già sulla loro ingenuità nei giorni del compianto Corrado. Ma erano tempi ‘morbidi’, quelli; dove la sensibilità compassionevole, il rispetto umano avevano ancora un barlume di significato. Fino allo scorso, ultimo venerdì, invece, ci pensava Paolo Conti – sommo professionista dell’Auditel – a pungolare le vittime sacrificali perché abbandonassero ogni dignità, perché esibissero il loro peggio fino a rendersi dei patetici, involontari buffoni.
Era poi sempre il conduttore a scatenare, incoraggiare la reazione ilare del pubblico. Sia chiaro: qui non si parla d’un pubblico di sprovveduti. Il pubblico de “La Corrida” sì, che era evoluto e scafato. Peccato non fosse altrettanto riguardoso, né civile, né ricco di umana pietà. Era, invece, una platea scomposta, esagitata che non vedeva l’ora d’inscenare una gran caciara autorizzata; anzi, sapientemente stimolata. Era un pubblico che, a suon di campanacci, fischi e “buuu… buuu…” forniva con dovizia la seconda, grande forza-ascolto del programma: l’umiliazione crudele di quegli inetti concorrenti così poveri (poverissimi) di qualsiasi capacità autocritica.
Tanto per tirare le somme, dunque, qui si cita un pubblico misero, barbaro, impietoso: vale a dire una schiatta di coglioni strumentalizzati che, volendo restare nell’ambito evangelico, non conosce misericordia e non avrà mai misericordia: unico elemento, il pubblico, che sia riuscito ad essere la porzione più immonda dell’intero programma.
Beh, a Dio piacendo l’orrida mattanza propria di ogni corrida si è spenta anche per la nostra TV di Stato. Rilassiamoci, per un paio di mesi, nel pigro languore delle emittenti estive e poi… Scommettiamo che, se non sarà la tortura di innocenti bovini, toccherà allo scempio di chissà quali altre povere bestie?
A/6
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