DE GIOVANNI, ANIME  ANCORCHE’  DI VETRO

Il giallista napoletano pubblicò nel 2015 l’ottavo romanzo della serie del commissario Ricciardi ambientato nel 1933, ripubblicato nel 2017 in Einaudi, Stile Libero Big (444 pagg. per 14,50 euro): vi abbiamo reperito non molte incongruenze, ma qualcuna sì, che andiamo prontamente a segnalare.

Come evidenziato dal titolo di questo articolo, l’Autore predilige ‘ancorché’ e molto lo usa.

A pagina 4 del Prologo (ma l’Indice, come spesso accade ormai, non esiste) troviamo “un colombo (che) tuba insistente per un paio di secondi e vola via”. Insistente sarebbe per due minuti.

A pag. 132 “Enrica a quasi venticinque anni era ancora sola, né sposata né tantomeno fidanzata”. Magari il contrario.

A pag. 236 c’è “quell’ometto senza nome e senza età, anonimo e di pochissime parole”. Pleonasmo, ancorché scarsissimo di parole!

A pag. 237 “Gli era arrivato il biglietto di convocazione nella casella di posta fissata”. Fermo posta?

A pag. 340 “I capelli rasati coprivano il cranio a esclusione di ampie macchie di calvizie”. Cioè?!

Tra la pagg. 345 e 346 rileviamo ancora un bisticcio numerico: nel convento-convitto della Madonna Incoronata “Gli allievi erano ormai più di mille, duecento dei quali femmine” e quando “Il portone del convitto si aprì i maschi si precipitarono fuori di corsa” (tutti e 800?) e “Le ragazze uscirono dopo di loro in uno sparuto gruppetto”. Di 200?!

M. M.

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