Nella sterminata e rumorosa officina echiana si avvertono spesso, et pour cause, echi di altri autori e opere, ma quelli che sorprendono e agghiacciano maggiormente sono gli spifferi delle imprecisioni, degli anacronismi, dei refusi che in un simile luogo non ci si aspetterebbe di trovare.

Riprendendo in esame a oltre vent’anni dall’uscita Il nome della rosa (Bompiani, Milano, 1980), avvertiamo il primo gelido spiffero:durante la Notte del settimo giorno, quando Guglielmo richiede al venerabile Jorge (sembra di sentire una reminiscenza dell’onesto Jago scespiriano) il fantomatico secondo libro della Poetica di Aristotele, lo definisce “(…) quella copia greca scritta su carta di panno, che allora era molto rara, e se ne fabbricava proprio a Silos, vicino a Burgos, tua patria.”; ma al capitolo successivo, sempre in piena Notte del settimo giorno, quando il monaco cieco divora le pagine del testo proibito, Eco precisa che: “(…) dalla bocca gli uscivano lembi di pergamena (…)”. L’impressione è che, preso dalla foga di ritrarre la catarsi del colpevole, l’autore si sia dimenticato del materiale di cui è fatto il libro veicolo di morte!

All’inizio del capitolo Notte del settimo giorno i due monaci penetrano nel sancta sanctorum di Jorge-Borges e Guglielmo così lo saluta: “Felice notte, venerabile Jorge,- disse, -Ci attendevi ?-“; per cui è ovvio che, pur nella sua cecità e dialogando soltanto con Guglielmo, il vecchio è avvertito della presenza anche di Adso; invece, quattro pagine dopo, questi racconta:
“Io mi avvicinai e mi chinai sopra la sua spalla. Jorge col suo udito finissimo udì il rumore che facevo. Disse: -Ci sei anche tu, ragazzo ?-“: svista sorprendente, sia per Eco che per il bibliotecario !

Esaminando gli echi provenienti dall’altrui produzione, ci tocca segnalare un paio di casi nell’Isola del giorno prima (Bompiani, Milano, 1994): a pagina 381 vi è una non dichiarata ma evidentissima descrizione di uno o più personaggi tratti dall’Arcimboldo, quali l’Acqua (1566), l’Autunno (1573), l’Estate (1573).

La Gloria di Giuseppe Berto (1978) fa capolino alle pagine 423/4:
“Ahi,- aveva gridato Giuda piangendo, -io che pensavo solo a me stesso! Ma allora che debbo fare? Se lascio di aver agito come ho agito, rimango dannato. Se riparo al mio errore, ostacolo il piano di Dio, e ne sarò punito con la dannazione. Era dunque scritto sin dall’inizio che io fossi dannato a esser dannato”.

Più occulti richiami a esperienze di altri autori compaiono nel più recente Baudolino (Bompiani, Milano, 2000): alle pagine 54/55 si scorge il camaleontico Zelig (1983) di Woody Allen:
“(…) si chiedeva a che razza di creatura si trovasse di fronte, capace di usare la lingua dei bifolchi quando parlava di paesani, e quella dei re quando parlava di monarchi. Avrà un’anima, si domandava, questo personaggio?”

I nomi degli eccessivi Dodici Re Magi di pagina 121 sono certamente affini al Qfwfq delle Cosmicomiche (1965) di Calvino, quantunque non palindromici:
“(…) si sarebbero chiamati Zhrwndd, Hwrmzd, Awstsp, Arsk, Zrwnd, Arihw, Arthsyst, Astnbwzn Mhrwq, Ashrs, Nsrdyh e Mrwdk.”

Anche i nomi ipotetici di città delle pagine 242/3 sono un altro evidente omaggio al Calvino delle Città invisibili (1972):
“(…) e chi se ne importava se la città si chiamava Cesaretta o Cesarona che fosse, a lui andava bene anche Cesira, Olivia, Sofonia o Eutropia (…)”.

Una citazione la merita pure il film Indiana Jones e l’ultima crociata, così a pagina 281 si legge:
“Il Gradale doveva essere una scodella come questa. Semplice, povera come il Signore. Per questo magari è lì, alla portata di tutti, e nessuno lo ha mai riconosciuto perché per tutta la vita hanno cercato una cosa che luccica:”

Il deserto dei Tartari (1940) di Buzzati viene brevemente riecheggiato a pagina 409:
“Questi messaggeri sono davvero partiti ? Sono davvero tornati? Sono mai davvero esistiti? Io so tutto solo dagli eunuchi. E se tutto, questa provincia, forse l’intero universo, fosse il frutto di un complotto degli eunuchi, che si beffano di me come dell’ultimo nubiano o sciapode?
E se non esistessero neppure gli unni bianchi?”

Il pendolo di Foucault (Bompiani, Milano, 1988) è un’autentica miniera di stranezze echesche:
Un’errata attribuzione di patria appare a pagina 102, dove alla domanda “Da dove viene Ugo de Payns?” viene risposto: “Dalla Champagne, vicino a Troyes”, ma Ugo dei Pagani, che nel 1118 fondò a Gerusalemme, con altri otto crociati, l’ordine dei Templari, il Novissimo Melzi (Milano, 1972) lo vuole nato a Nocera dei Pagani, l’odierna Nocera Inferiore (prov. di Salerno).

A pagina 114 segnaliamo una mancata concordanza, che toglie mascolinità a un attributo tipicamente virile: “Ci guardava con gli occhi umidi, umide le labbra e i baffi (…)”…

Ancora più sorprendente la metamorfosi di certi sigari, che a pagina 226 sono descritti come “corposi e grassi”, ma a pagina 229 sono diventati “rachitici”: ohibò !

Nel capitolo 75 si riporta la data del 1798 per l’arresto di Cagliostro, il quale, salvo resurrezione negromantica dell’ultima ora o oltre, era già defunto in quel di San Leo nel 1795.

L’idea della “deriva delle nazioni”, deriva tellurica di interi Stati quali il Nevada o il Colorado (pag. 357), con successivo, immancabile panico a Wall Street, è un prestito dalla Zattera di pietra (Feltrinelli, Milano, 1986) del futuro premio nobel Saramago, il quale immagina che la penisola iberica si stacchi dall’Europa e vada a zonzo catastrofico per l’Atlantico, allarmando doverosamente gli Stati ancòra Uniti.

In conclusione si può confermare che Umberto Eco, nei complicatissimi voli pindarico-icarioti dentro e fuori la propria officina, perde di frequente la bussola. A questo proposito è lo stesso autore che confessa quanto da noi ipotizzato in precedenza:
“Con un tratto non raro nei narratori di Romanzi, quando non sanno come frenare l’impazienza, non osservano più le unità di tempo e di luogo. (…) e questo, gentile mio lettore, tu non l’avresti mai osato prevedere.” (pag. 456 de L’isola del giorno prima).

Un modo provocatorio di mettere le mani avanti e chiedere venia per tutto ciò che non quadra?

M. M.

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