IL SOLITO LUCARELLI PASTICCIONE

Nel suo recentissimo poliziesco storico ambientato a Bologna nel ’44, “L’inverno più nero” (Einaudi, marzo 2020, pp. 308), a parte i molti refusi tipo ‘ristata’ per ‘risata’ (2 volte), Lucarelli si dimostra ancora una volta poco sorvegliato, da sé stesso e da un elusivo editor.

A pagina 33 si parla del titolo in neretto di un giornale, ma poi viene riportato solo in corsivo.

Alle pagine 77 e 205 si parla di ‘cartongesso’, ma questo materiale, pur inventato nel ’13 in America, prese piede negli USA solo nel dopoguerra e in Italia soltanto dagli anni ’60; inoltre lo Zingarelli del 1987 non riporta neppure il termine.

A pag. 79 un ‘murato vivo’ si lamenta di esser stato nascosto per quattro mesi, ma la sua segregazione è iniziata a metà settembre e siamo solo al 5 dicembre, per cui poco più di due mesi e mezzo, pur interessando comunque quattro mesi…

Inversione sintattica involuta a pag. 87: “anche a così ridosso” invece di “anche così a ridosso”.

A pag. 106: bara appena inumata, loculo murato, e ci sarebbe già la fotografia sulla lapide?

A pag. 107 “Silvia (…) aveva le guance ancora rosse per lo schiaffo”. Tutte e due?

A pag. 110 la stessa “camminava dritta e spedita, come un’indossatrice”. Ricordiamo che la prima sfilata di moda, almeno in Italia, avvenne nel ’51 a Firenze.

A pag. 116 si tratta di allontanare un pesante letto dal muro a cui è accostato: “De Luca e Petrarca lo spinsero indietro a fatica”. Piuttosto ‘lo tirarono indietro’, ‘lo scostarono’.

A pag. 138 una strana parentela per Sandrina: “E’ il fratello di Valerio. Che è anche mio cognato, ha sposato mia sorella”. A parte l’uso delle virgole e mai dei due punti esplicativi da parte dell’Autore, essendo Valerio il marito di Sandrina, il fratello di lui sarebbe già cognato di lei, senza aver sposato per sovrammercato la sorella di lei! Quindi Valerio è doppiamente cognato di Sandrina.

A pag. 141 De Luca ordina una ‘sorveglianza continua, h24. Un modo di dire a nostro avviso anacronistico per l’epoca.

A pag. 142, inopinatamente, il succitato Valerio, per bocca del suddetto fratello, diventa Antonio(?!)

A pag. 188 Lucarelli s’ingarbuglia con la biancheria femminile: “Aprì le gambe. (…) De Luca la guardò. Mutandine di pizzo bianco in fondo all’intreccio delle giarrettiere”. Ma cosa ha visto?!

Alle pp. 199/200 non si capisce se De Luca provi male o no: (…) anche il tacco che puntato così sulla gamba gli faceva male.” Però: (…) si era accorto soltanto allora che il tacco gli faceva male, ma lui resistette”.

A pag. 206 probabilmente manca qualcosa: “C’era l’uomo senza un braccio che dormiva su un materasso, acciambellato come un feto alla moglie seduta accanto a lui”. (?!)

A pag. 208 ‘imparasse’ per ‘apprendesse’, nel senso di ‘venire a sapere’.

A pag. 211 ripetizione di ‘quello’, mentre altrove ‘caffè caffè’ significa vero, non di cicoria.

A pag. 213 “Il vecchio bavoso aveva voluto vantarsi con la Vilma.” Concetto ripetuto inutilmente a pag. 218:(…) il borsaro aveva mentito per farsi bello con la Vilma”.

Alle pp. 214/215 troviamo uno strano balletto di schegge metaforiche: “Era come avere qualcosa sotto la pelle, una scheggia minuscola, di quelle che spuntano appena e dànno fastidio solo quando si sfiorano, per sbaglio.” Ma alla riga successiva inizia la confusione: “La sua scheggia, De Luca, non ce l’aveva sotto un’unghia ma dentro la testa.” E poche righe dopo:(…) grattarla con un ago, la scheggia andava ancora più giù, a bruciare invisibile sotto la pelle graffiata.” E una pagina dopo: “Sensazioni che sfioravano la scheggia come l’unghia di un pollice, la puntura di un istante, a ricordare che stava ancora lì.” E a pag. 218: “La scheggia di legno sotto la pelle. Così evidente da potere essere afferrata tra i polpastrelli, neanche tra le unghie, e tirata fuori in un colpo.” E ancora a pag. 268: “Istintivamente, senza accorgersene si grattò la punta di un polpastrello con l’unghia del pollice, come per togliersi una scheggia piantata sotto la pelle”.

A pag. 237 ‘gli’ maschile per ‘le’ femminile.

A pag. 245, siamo al 9 dicembre 1944: “Si era fidato un po’ troppo della luna. Ce ne erano più di tre quarti, ma era quella di dicembre, velata da un filtro di nuvole.” …E invece, a quella data, era all’ultimo quarto! Ma Lucarelli avrebbe potuto controllare su Google, come abbiamo fatto noi.

A pag. 300, l’ultima del romanzo, sono presenti addirittura tre brutture: ‘giaccio’ per ‘ghiaccio’; ‘dall’orecchie’;(…) quel gelo livido e marcio, quell’aria gonfia che lo soffocava, erano dappertutto, e non bastava girare lo sguardo per evitarle.” Evitarli!

Però è nelle tre pagine dei Ringraziamenti che l’Autore risulta più sconclusionato nel periodare, probabilmente perché ha dovuto tirarli via in fretta, con troppa gente da ringraziare, che non ha fatto il suo dovere, a parte noi, che Lucarelli ringrazia in anticipo: “Qualche errore più grosso l’avrò sicuramente fatto, e non mancherà, giustamente, chi me lo farà notare. Lo ringrazio fino da ora”.
Il bello è che ne fa ancora due: a pag. 303 afferma che il libro è stato (?) finito “sabato 7 dicembre 2020” (sic); e a pag. 304, nelle Note, accredita il verso di una canzone a p. 301, che è la prima dei Ringraziamenti(?).

Che brutto servizio al lettore!

M. M.

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