LA “TRANSVERTEBRAZIONE” DI PROUST

A pagina 17 dell’edizione ‘folio’ di “Du còté de chez Swann” (Gallimard, 1979, 510 pp.) ci s’imbatte nel termine ‘transvertébration’, che Natalia Ginzburg rende pari pari con ‘transvertebrazione’ per Einaudi e a pagina 16 nella collana mondadoriana “Il Bosco” del luglio 1957 (“La strada di Swann”).

Questo vocabolo non compare nei vocabolari né francesi né italiani: la parola che vi si approssima di più, sia nel Tommaseo del 1871 che nello Zingarelli del 1987 è ‘tra(n)sverberazione’ = ‘riverberazione’ e quindi, per entrambi, si tratterebbe di qualcosa che accade soltanto a livello visivo, come pare appunto nel brano del libro, dove Marcel Proust ragazzino si diletta con l’immagine fantasmagorica di un cavaliere cangiante proiettata da una lampada magica sulle pareti e i tendaggi della sua cameretta.

Ma si sa che, almeno dalle esperienze mistiche di Santa Teresa d’Avila (1515/82) contenute nel suo “Castello interiore” del 1577, la ‘tra(n)sverberazione’ è tutt’altra cosa: per la mistica cristiana è sinonimo di “assalto del Serafino”, con conseguente ‘ferita d’amore’, cioè trafittura del ‘cuore’ tramite oggetto affilato, dardo dorato e infuocato da parte di creatura angelica; così com’è magistralmente rappresentato nell’Estasi di Santa Teresa (1647/52) dal sommo Bernini nella Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria a Roma: trattasi manifestamente di deliquio sessual-spirituale procurato alla Santa dall’Angelo brandente appunto il ‘dardo infuocato’ e sfoderante un sorriso ineffabile.

Per venire più vicini a noi nel tempo, il regista spagnolo Julio Medem nel 2010 girò il film “Habitaciòn en Roma – A Room in Rome”, misteriosa e turbolenta storia del rapporto saffico di una notte tra le bravissime e affascinanti attrici Elena Anaya e Natasha Yarovenko, dove verso il finale è mostrata una ‘autentica’ trasverberazione: l’attrice spagnola viene inaspettatamente trafitta da una freccia al petto mentre si trova nella vasca da bagno e il sangue arrossa l’acqua, finché l’amica riesce a strapparle il dardo scoccato apparentemente da un cupido affrescato sul soffitto, e tutto si risolve con un ‘non era successo per davvero’.

Tentando di chiudere il cerchio con Proust, la variante da lui apportata al termine (sempre che non si tratti di un banale refuso), con quella ‘vertebra’ in mezzo, non può non farci pensare a Giovanni Storti, quando nello sketch dei tre sardi, minaccia il suo antagonista Giacomino Poretti: “Nonno, guarda che ti sposto una vertebra!”.

M. M.

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