RILETTURA DI PIERO CHIARA
Rileggendo con divertimento a distanza di anni lo zibaldone di Piero Chiara “Sale e tabacchi” (Oscar Mondadori 1991, pp.336), prima edizione postuma del 1989, che copre il periodo 1971-1985, ci corre l’obbligo di indicare una serie di inesattezze imputabili al facondo Autore, oltre a quella risibile dell’editore, che nell’Indice fa diventare il prefatore Federico Roncoroni il mitico regista Ronconi!
Sin dalla prima pagina (19) la memoria del Nostro falla, descrivendo le monete bronzee da dieci centesimi coniate ai tempi della sua infanzia sotto V. E. III: “quelle con la vespa da una parte e il re dall’altra”. … Trattavasi di un’ape.
Strana frase al fondo di pag. 93: “Tra l’Italia e l’Etiopia erano in corso da tempo le trattative che dovevano portare nel 1936 alla guerra tra i due stati”. Belle trattative, soprattutto decisive!
A pag. 121 Chiara definisce ‘buffetti’ (?) i mantici o soffietti di congiunzione tra carrozze ferroviarie.
Tra le pp. 130 e 131, di nuovo trattando di ‘Sciaboletta’ V. E. III, l’Autore descrive i metodi pre-berlusconiani messi in atto dal Re per apparire più alto: “Portava tacchi di 10 centimetri e un berretto da generale alto 20 centimetri, coi quali raggiungeva un metro e settanta circa di altezza”. Ma quella reale pare fosse già addirittura di 1.50, per cui: + 10 + 20 = 1.80
Bizzarra metamorfosi dei Promessi Sposi in tomo singolare a pag. 157: “Esempio sommo di codeste autobiografie indirette e simulate è il Promessi Sposi di Alessandro Manzoni”.
A pag. 220 è detto che Diego Fabbri era morto a Rimini nell’estate del 1980: si trattò di Riccione.
A pag. 250 Chiara sottolinea che l’Isola borromea dei Pescatori “è lunga un centinaio di metri”: in realtà, verificata su Google Maps, tocca i 350!
Infine abbiamo reperito una mezza gaffe all’ultima pagina (308): “Mi informò, in quell’occasione, di due o tre gravi disgrazie che avevano condizionato ma non guastato la sua vita. Gli era rimasta la moglie e una figlia”. Queste le disgrazie?
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GL’INCIAMPI DI CHIARA E DEL BALORDO
A distanza di anni abbiamo ghiottamente riletto anche “Il Balordo” (Oscar Mondadori, 1972, 230 pp.), del quale conserviamo il prezioso autografo dell’Autore, stranamente apposto a una copia della seconda edizione del maggio 1967, la prima essendo del marzo (Narratori Italiani Mondadori, 1967, 220 pp.); segnalando che la trasposizione filmata del ‘78 coll’immenso Buazzelli è reperibile su YouTube, andiamo ad indicare i pasticci di Piero Chiara.
A pagina 25 inizia a descrivere le due figlie maggiori del Bordìga, Aida e Semiramide, ne parla per una pagina intera, poi salta fuori una certa Ginevra, che solo a pag. 27 viene accreditata come ‘La terzogenita’, ancorché apparentemente non facente parte della famiglia. (?)
La stessa viene descritta come ‘allampanata e rificolona’, ma quest’ultimo non è un aggettivo, bensì un sostantivo che designa un palloncino di carta colorata, con all’interno una candela accesa, posto in cima a un palo nelle fiere, tipo festa delle lampade tradizionali cinesi.
Alle pp. 38/39 Chiara perde di vista il buon senso descrivendo il Pelitti: “senza le due dita interne della mano destra”, che immaginiamo essere l’anulare e il medio, ma poi: “il Pelitti, mancando dell’indice e del medio della mano destra non poteva eseguire il saluto romano senza fare le corna”. Erano proprio il medio e anulare dunque!
A pag. 41 due carabinieri di servizio “stavano sempre in piedi (…) in posizioni da cariatidi, lisciandosi i baffi”. Magari da telamoni.
Qualche confusione alle pp. 84 e 94: l’Autore afferma che nel paese abbandonato forzatamente dal Balordo per recarsi al confino, “andavano maturando quattro casi (…) e proprio alla vigilia del quarto scandalo…”. Ma lui ne ha descritti soltanto due, il quarto sarà esposto solo a pag. 108 e il primo era già maturato alle pp. 70/73.
Degenza in ospedale prolungata di un mese per ‘l’eroe Bordigoni’: a pag. 171, gravemente ferito a fine aprile ’45, operato e salvato, “La convalescenza sarebbe durata un paio di mesi”, ma a pag. 173: “Il Bordigoni uscì dalla clinica il due agosto”.
Concludiamo con tre ortografie tra il discutibile e l’errato: ‘provincie’ (ma esiste la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, e lì siamo), ‘angoscie’ assolutamente cassabile, e ‘diffilato’, inesistente.
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C’è di più…
IL CAPPOTTO DI ASTRAKAN VA UN PO’ STRETTO
Anche nel suo famosissimo libro del ’78, ridotto per lo schermo da Marco Vicario con l’interpretazione di Johnny Dorelli e dell’enigmatica Carole Bouquet, Piero Chiara compie una serie di errori e imprecisioni che, come al solito in Mondadori, nessuno emendò.
Nell’edizione Oscar del marzo ’81 abbiamo rilevato quanto segue:
– a pagina 43 il protagonista afferma di aver “ormai camminato per tutta Parigi”, poi però precisa che, fatta centro dell’agglomerato urbano nelle planimetrie l’Ile Saint-Louis, faceva “girare da quel punto un raggio per cent’ottanta gradi senza trovare (un luogo) che non avesse battuto o visitato”. Quindi rimane fuori mezza Parigi: tutta la parte nord o sud, per esempio.
– A pag. 46 l’enigmatica Valentine al primo approccio fa la sostenuta oppure l’Autore si sbaglia di brutto, poiché alla richiesta di un’informazione stradale: “La seconda a destra” – mi rispose seccamente, indicando a sinistra, verso l’alto”.
– Crudeltà gratuita dell’Autore a pag. 56: una clinica per incurabili o cronicario viene definita anche ‘marcitoio’, cioè ‘macero’.
– A pag. 80 la cresima viene prima della comunione: strano, forse a Parigi intorno al 1920 succedeva così (dato autobiografico: 26 aprile 1964, Chiesa di Sant’Alfonso a Torino, prima comunione di mattina, cresima con buffetto del vescovo al pomeriggio).
– Altra indelicatezza di Chiara a pag. 95: le croci metalliche di un cimitero le considera ‘ferraglia’.
– Imprecisione cronologica a pag. 143: il protagonista dice di avere 39 anni nel 1950, ma a pag. 80 ne accusava uno meno del suo ‘sosia’, nato il 5 luglio 1911; quindi Chiara-Dorelli, essendo del ’13, ne ha solo 37!
– Bizzarro rumore a pag. 144: “il ruggito semispento dei primi autobus della giornata”. Attutito?
– Stranezze oniriche a pag. 146: “Il sonno (…) mi rapì ai miei incubi. Dormii più di un’ora, passando attraverso vari sogni”.
– Infine si sveglia a pag. 205, l’ultima: “Mi alzai ingranchito che era quasi mezzogiorno”. Cioè aggranchito, intirizzito, anchilosato, formicolante: meglio sgranchirsi un po’!
M. M.
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