MANKELL E WALLANDER SBADATI

Anche nei racconti prequel della saga del commissario svedese Wallander “Piramide” (Marsilio, 2006, pp.410), Henning Mankell fa degli errori, e lo ammette pure nell’Introduzione, oltre a far fare delle figuracce al suo personaggio, che in ogni avventura picchia le gambe o la testa a sangue, gli si spacca un dente tre volte masticando o pigliando cazzotti, lo accoltellano quasi a morte, gli sparano, ecc. Proprio uno sfigato, come confermato a pagina 248: “Sentiva la mancanza di Mona.”

E anche lui, come gli eroi simenoniani, nel corso di un ventennio di inchieste, dal ’69 all’’89, compie una serie di azioni banali ‘distrattamente’, ’involontariamente’, ‘istintivamente’, ‘automaticamente’, (quasi) ‘inconsciamente’ … ma sempre meno col passare degli anni, e soprattutto mai meccanicamente o, peggio, macchinalmente!

Ma veniamo alle incongruenze: a pag. 83 una donna cadavere è seduta su una sedia in casa sua a occhi aperti con la luce accesa da giorni… e nessun vicino s’è preoccupato del fatto, nonostante a pag. 93 vengano definiti “persone estremamente curiose”?

A pagina 100 siamo solo ai primi di giugno, ma “L’estate era finalmente arrivata”; strano perché in quelle zone nordiche, tipo a pagina 142, a fine aprile “La primavera era ancora lontana”. E ancora a pag. 158: “Mercoledì 29 aprile fu la prima vera giornata di primavera (notare il bisticcio) nella Scania”.

Incertezza ridicola di Wallander a pag. 153: “Adesso abbiamo una pista da seguire. Anche se non saprei dire esattamente quale sia”. (?!)

Errore cronologico tra le pp. 181 e 232: “Wallander e Mona si erano sposati alla fine di maggio del 1970.” Ma adesso siamo solo a metà aprile del 1988 e Linda, loro figlia, “Aveva diciotto anni”. Leggasi 17!

A pag. 230 nel giro di una dozzina di righe Mankell si smentisce clamorosamente: “W. chiese notizie sulle lettere che Lamberg aveva scritto lamentandosi del lavoro della polizia”; ma poi: “Simon Lamberg era un fotografo. Lui non scriveva. Lui si esprimeva con le immagini”. (?!)

L’errore più macroscopico si trova a pag. 303, quando Martinsson e Wallander disquisiscono sulla possibilità che il sospettato Holm fosse o meno una delle vittime carbonizzate nel Piper precipitato nel Prologo del racconto che dà il titolo alla raccolta. Solo che a pag. 253 si legge: “L’aereo si schiantò al suolo (…) alle cinque e diciannove minuti del mattino dell’11 dicembre 1989.” E a pag. 264, lo stesso giorno: “Alle undici e un quarto precise Wallander (…) andò nella stanza dove Holm stava aspettando insieme al suo avvocato. (…) Wallander spinse il pulsante di avvio del registratore e iniziò l’interrogatorio”. Che si concluse a pag. 265: “A mezzogiorno e venticinque, Wallander spense il registratore. Ne aveva avuto abbastanza di Holm”. Decisamente vivo dunque, non carbonizzato!

Tra le pp. 379 e 381 l’Autore preferisce ribadire il concetto: “Alzò lo sguardo. Pensò alle piramidi. Erano illuminate da riflettori così potenti da fare quasi sparire il cielo stellato egiziano.” E poi: “Al Cairo, le piramidi erano illuminate dalla luce di potenti riflettori. Per questo era praticamente impossibile vedere le stelle nel cielo”. Abbiamo capito!

M. M.

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