IL GORILLA NON PARLA ITALIANO

Sandrone Dazieri, nel suo recentissimo “La danza del Gorilla” (Mondadori, ottobre 2019, 240 pp.), noir serrato e piuttosto pulp, pure troppo, ancora una volta dà prova di non maneggiare bene la lingua patria, come è dimostrato da quel che segue:

a pagina 59 si legge che “La pioggia aveva scemato”, ma in questo caso il verbo è intransitivo, quindi l’ausiliare è essere: era scemata.

A pag. 75 la successione delle frasi fa credere al lettore il contrario: “Andai a imbarcarmi lasciandolo piantato sul linoleum, contento di aver avuto l’ultima parola.” Ma è il Gorilla ad aver parlato per ultimo, perciò l’inciso doveva essere inciso dopo ‘imbarcarmi’.

A pag. 76 il protagonista “si era comportato da bravo samaritano”, ma si dice ‘buon’ e infatti a pag. 167 la dizione tradizionale viene ripristinata.

A pag. 116 Dazieri utilizza un ‘soffondo’, che è cosa di tinte, per ‘sottofondo’, che è faccenda sonora: “Durante la sorveglianza era stato a ronfare in soffondo”.

A pag. 136 la strasolatezza più evidente: “Mi fermai davanti al busto del tizio cui avevano dedicato la piazza e gli spensi la sigaretta su un piede”. Forse a una statua…

A pag. 192 “le finestre della cascina erano spente”. Le finestre? In contrasto con quelle ‘illuminate’ di Doderer?

A pag. 219 il disturbo Jekyll/Hyde di cui soffre il Gorilla si trasforma da maschile a femminile: “… fingere che il Socio fosse solo un prodotto della DDI”, ma trattasi di Disturbo Dissociativo dell’Identità.

Infine, sempre a pag. 219, a Cremona ai bambini da radiografare si dava del lei una cinquantina d’anni fa: “Fermo, non respiri” dell’infermiera quando ero bambino”.

La morale è sempre la stessa: l’Autore non si sorveglia abbastanza, forse perché ostacolato dalla doppia identità, e in Mondadori nessuno lo fa al posto suo.

M. M.

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