copert_alaimo_traslochiFranca Alaimo

TRASLOCHI

Poesia

Edizioni LietoColle

 


La gioia dei sensi

“Adesso sento il mio corpo una cosa fra le cose”. Mi occorre partire da questo verso per orientarmi nel tripudio dei sensi che nonostante qualche ombra emana e grida la sua intatta forza dalle poesie di “Traslochi” di Franca Alaimo. Sempre avevo amato nella sua poesia il “sì” alla vita che illuminava la tavolozza di colori con cui questa poetessa così colta e così dotata di natura, così poetessa di statuto e di stato, tesseva la tela della sua scrittura confusa con quella della vita, in una rima perfettamente baciata.

M’incanta ancora l’attenzione alla fenomenicità dell’esistenza con cui questa poesia della maturità mi entra dentro con la ferocia del canto di una habanera, sensuale e tenera, fedele alle forme che gridano sempre la loro forza. Sarei tentato di dare una patria a questa così precisa fedeltà ai sensi. E nominerei la Sicilia, come ampio letto dell’anima di Franca. Un’anima che ha una bocca, un corpo, dei capelli, una carne tremula da baciare … Perché è un paradiso dei sensi quello cui aspira a comporsi l’ansia terrestre e non celeste di questa sua poesia. Nulla di teologico e mistico si trova nella sua scrittura, così arresa alla bellezza dei sensi, alla sacralità immanente della vita e delle sue forme. Come è nella letteratura siciliana, se si pensa a Verga e a Pirandello. Senza dimenticare che “Traslochi” è la scrittura di una donna.

Nominiamo allora almeno alcune delle mille e una forma a cui si affida… Ecco i ponteggi che in poche ore mutano la facciata del palazzo di
un condominio e la promuovono quasi a selva magica, con gli operai dai “capelli vaporosi come i piumaggi dei passeri” che lavorano come a un
gioco. Ecco la frutta non consumata nei mercati, che nella notte, sognata dalla poetessa, se ne va nei carichi dei furgoni, a non più donare
l’esuberanza dei suoi sapori e colori a qualche dolce bocca. Ecco Dio che si fa ragazzo accoccolato ai margini della strada, intento a cercare la vena dove iniettarsi la droga, “per sapere come si cade in stessi”. Ecco la gatta offesa per il cambio di casa, stupita di quella padrona che ha scambiato un Eden dove viveva, per un inferno. Ecco i tanti pezzi di carta in cui Franca segna le assillanti spese, fra mille desideri di cose che le vetrine dei negozi ostentano e nella notte occhieggiano sole, come lei, che si ripete “non sento più l’anima leggera”. Ecco i condomini della casa di via Bonanno, che “vanno e vengono tutto il giorno e poi /… tornano, come a un grande albero gli uccelli”. E ancora “vecchie signore trascinano sporte da cui escono fuori/ verdi gambi di sedano e toscanelli appena sfornati:/ sembrano brano calme, come mari in bonaccia,/ anche se nuotano dentro il panico segreto della morte”. Anche un muro può animarsi alla doppia vista di Franca: “mentre guardo come uno schermo il muro / dove improvvisamente una macchina/ proietta un occhio giallo di luce”.

Il mondo così fedelmente attraversato nella umiltà di un altro faticoso giorno da vivere a ogni risveglio, mi ricorda “la calda vita” di Saba, poeta pure così attento a illuminare le cose, con eguale sentimento di epicità del quotidiano. E, come Saba, Franca Alaimo ha la coscienza del privilegio della Poesia, che torna a visitarla anche nella nuova casa, dove inaugura la sua solitudine eppure non è mai sola se la Musa viene a soccorrerla: “È rimasta muta per molto tempo, lei,/ sepolta sotto un cumulo di neve/ come un animale morto./ Pensavo che m’avesse abbandonata. / Invece l’altro ieri è tornata”.

Chi si inoltrerà nella foresta di forme e colori di questa nuova raccolta di Franca Alaimo, sentirà come me quel tocco magico che Leopardi
definiva “accrescimento della vitalità” proprio soltanto della poesia vera, quella sottile febbre che sa comunicarsi subito al lettore quando ha la fortuna di trovare un testo che lo inquieta per la voglia di scorrere le pagine, subito calamitato dall’energia della scrittura.

Roberto Pazzi
Gennaio 2016

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