OSSERVAZIONI NIPPONICHE SUL PEZZO DI MARCO MORELLO
“LE CONTRADDIZIONI DEGLI HAIKU”

…..Carissimo Marco san,
il testo Le contraddizioni degli haiku” mi ha riportato per un attimo nel mio Giappone.
Noi, Giapponesi, cominciamo a leggere Haiku o Tanka dagli ultimi anni della scuola elementare e a scriverli dalla scuola media. Non so se questo ti possa interessare, ma vorrei raccontare quello che impariamo a scuola prima di comporli.
Bisogna inserire sempre un termine che indica la stagione, detto Kigo. Ma le 4 stagioni degli Haiku sono divise in primavera da Gennaio a Marzo, estate da Aprile a Giugno, autunno da Luglio a Settembre e inverno da Ottobre a Dicembre. Questa divisione che anticipa la stagione provoca ai Giapponesi di oggi una grande confusione nell’uso dei Kigo. Allora Sakura è un kigo di primavera o dell’estate?
Sono pubblicati molti libri di kigo che si chiamano Saijiki. Già solo leggere il Saijiki è una guida a prestare attenzione e fa crescere la sensibilità verso il mondo della natura. E, come tu sai, in un Haiku ci deve essere un solo Kigo e, oltre al Kigo, ci deve essere un altro tema.

“Che (bei) fiori di colza (Nano Hana ya)
la luna (si alza) all’est (Tsuki wa HIgashi ni)
il sole (cala) all’ovest” (Hi wa Nishi shi) di Yosa Buson
Fiori di colza è un kigo di tarda primavera.

La stagionalità è molto importante nel mondo degli Haiku e nella composizione va preso sempre qualcosa della stagione del momento. Buson ha scritto questo Haiku durante il viaggio a Rokko, vicino a Kobe. Ma lui scrisse molti altri Haiku con fiori di colza come Kigo; si vede che era una delle sue materie preferite.
Il tuo testo mi fa ricordare che, quando i Giapponesi si allenano a fare un bel Haiku, provano a comporre diversi Haiku su un tema che magari hanno trovato durante una passeggiata. Poi fanno una selezione e poi tornando a casa ancora pensano a questi Haiku, li ricompongono. Li confrontano con altri o con quelli dei poeti famosi. Se poi sono soddisfatti veramente, magari lo scrivono su una striscia di cartoncino con bella calligrafia.
Haiku è una maniera di racchiudere il mondo della natura e della vita insieme dinamico e profondo.
Non è assolutamente facile. Per cui ci vuole allenamento. Chi ci riesce in un attimo è un genio. Ma attraverso l’allenamento otteniamo una sensibilità più acuta e una maggiore attenzione all’ambiente intorno, anche alla bellezza quasi nascosta.
…..Motoko Iwasaki

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…..Il tuo discorso sull’originalità è un pregiudizio da occidentale. Per esprimere certe emozioni stagionali la riconoscibilità (raccolte di kigo) è più importante. La grandezza dell’autore sta nell’accostamento tra lo stupore per la bellezza della natura riconoscibile e condiviso dal lettore alla situazione/sentimento personale dove esce la personalità del poeta.
I Giapponesi vedono con simpatia l’amore per gli haiku nella letteratura occidentale e si divertono a vedere l’utilizzo che viene fatto della loro forma metrica. Però in Occidente gli autori si limitano a rispettare il gioco delle sillabe, la libertà di espressione nel descrivere l’elemento naturale è assoluta, a volte addirittura manca. Sono un’altra cosa.
…..Claudio Gallina

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 Da “POLEMICA SUGLI HAIKU”
articolo di Marco Morello: IL GIORNALACCIO, novembre 2019

Analizzando il volumetto dedicato agli “Haiku” dalla collana “I grandi classici della poesia” (Fabbri Editori, da BUR, 1995/97/98, 110 pp.), abbiamo ravvisato alcuni elementi che stridono nella storia e nella realizzazione di questi componimenti giapponesi tradizionali: il curatore Leonardo Vittorio Arena giustamente specifica che questa forma d’arte dovrebbe scaturire per ideazione istantanea, chiamiamola ispirazione, oppure folgorazione divina o panica o sublime, magari alla fine della giornata vissuta, come riassunto e compendio.
Va bene, ma allora com’è che alcuni dei grandi facitori di haiku ci viene raccontato che li limavano addirittura per dei mesi? Pur dovendo realizzare soltanto una strofetta di tre versicoli della lunghezza canonica di 5,7,5 sillabe?
Noi ci siamo dilettati, e ancora a volte indulgiamo, a comporre haiku, ma forse per la nostra forma mentis prettamente occidentale e nevrotica, colta l’immagine/scaturigine primigenia, non impieghiamo più di qualche secondo a veder realizzato su carta un nuovo oggetto poetico che a nostro modesto avviso funziona, con l’impegno etico di NON ripetere versi già utilizzati in passato.
Invece nell’antologia succitata appaiono numerosi haiku dello stesso o di successivi autori, dal ‘600 al ‘900, che ripetono il verso conclusivo (?!?). Ma allora è una presa in giro il rammentare che questo fu discepolo di quello, che si fece o meno influenzare, che portò o meno una rivoluzione (?) nell’haiku, e che magari si sforzò per mesi di raggiungere il sublime, se poi le sue elucubrazioni portarono a una stessa chiusa!
Dopo attenta disamina dell’antologia, abbiamo verificato che il verso conclusivo più frequente è:

aki no kure = crepuscolo d’autunno.
Al secondo posto si classifica:
kareno kana = che landa desolata! (un presagio eliotiano?)
Al terzo:
ochiba kana = le foglie morte (un presagio marqueziano?)
E al quarto:
hototogisu = canta il cucù.

Concludiamo perciò con un nostro haiku polemico, seguendo il dettame di Eliot che un poeta deve utilizzare cascàmi di altri poeti per essere valido:

kareno kana    che landa desolata!
hoto hotogisu    cucù canta il cucù,
aki no kure    crepuscolo autunnale.

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