Lettera aperta all’on.le Presidente Raffaele Costa

Caro Presidente,
Envie è un comune della provincia di Cuneo, la Provincia che, con il voto diretto degli elettori, è stato designato a dirigere, per aver riportato, nella scorsa tornata amministrativa contrassegnata dal successo del centrosinistra, il solo risultato forte in controtendenza, a riprova di quanto la Sua Figura Pubblica significhi nella ‘Granda’; che Ella conosce paese per paese, dopo i tanti anni di impegno politico al servizio della Nazione e della Sua Terra, un cui lembo è appunto Envie: per me poco più che un toponimo, ma per Lei un insieme concreto di case e prima ancora di persone, alcune impegnate nella politica locale. E una di quelle Le avrà quanto meno comunicato che ad Envie viveva Antonio Schiavone, uno dei quattro morti nell’esplosione su una linea di laminatura delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino, mentre altri combattono con la morte, il corpo piagato di ustioni.

Da Envie a Torino sono settanta chilometri, e da tredici anni, trecentodieci-trecentoventi giorni all’anno, Antonio Schiavone percorreva quei centoquaranta chilometri. Una fatica aggiunta inspiegabile, perché la Sua Provincia, caro Presidente, ha il privilegio della piena occupazione, ergo un lavoro meno faticoso e forse perfin più vantaggioso economicamente, calcolate le spese di trasporto, Antonio avrebbe potuto trovarlo, se non sull’uscio di casa, certo a tanti e tanti chilometro quotidiani in meno.

Per quale ragione Antonio Schiavone percorresse tutti quei quotidiani chilometri per fare il lavoro non solo a più alto rischio, ma nel gergo tecnico definito: “il più usurante della produzione industriale, e tra i più faticosi”, l’ho appreso a un’ora inoltrata della notte dalla voce, fatta roca da un dolore senza fine, di una Donna che raccontava su toni bassi, antiretorici, quanto Suo Marito amava quel lavoro, che lei invece la faceva ogni giorno morire. Sempre la Donna ha spiegato per quale ragione il marito affrontasse quei quotidiani tanti centoquarantachilometri: era per le alte qualità professionali che il lavoro gli chiedeva, e infatti confermate alte anche dalla direzione dell’acciaieria, che aveva monetizzato un suo miglioramento tecnico con un premio mensile extra di settantotto euro. E almeno quanto il lavoro, Antonio Schiavone amava il clima di gruppo, la stretta collaborazione nel quale si realizzava. Invece lei: la Donna di Envie, ogni giorno aspettava quello squillo di telefono a dirle che il marito era arrivato in fonderia. Uno squillo e basta, perché le parole per telefono costano, e sono tanto più da misurare per chi ha tre masnà da crescere.

Uso, caro Presidente, il termine nostro pedemontano “masnà” perché la lingua italiana non ha l’equivalente per indicare quell’età creaturale nella quale, a distinguere per genere, servono i colori rosa e azzurro; l’età che invece il dialetto napoletano denota con il termine: “criature”. E le due masnà Schiavone più grandi, la più piccola ha due mesi: sessanta giorni, il primo dicembre avevano reclamato il loro presepe: “E io oggi non sapevo come dirglielo che il loro papà era morto.”, diceva la voce misurata della Donna di Envie, resa più tragica dal presepe di sfondo, e dalla misura nel rispondere alle domande del dottor Mentana, che visibilmente viveva la coscienza della maledizione che pesa sull’informazione, quando deve misurarsi con il dolore del mondo: la retorica.

Caro Presidente, è questa donna che mi costringe a scriverLe, il suo dolore misurato e per questo più tragico, reso più alto e straziante dallo sfondo del presepe. Un dolore che nella mia coscienza ha trovato un solo archetipo mitico adeguato a rappresentarlo: il pianto eterno della Grande Madre che lacrima senza fine il destino mortale dei figli che ha generato, e al cui cuore ogni morte ogni volta ripropone la tragica domanda: a che la vita. E con quale tragico furore deve straziare quella domanda il seno della Donna di Envie, davanti alle sue tre masnà, e un dolore tragico le tornerà ogni volta senza fine, nella misura del suo tempo umano, quando quelle tre masnà le porranno la domanda che è di ogni creatura senza un genitore: perché.
Caro Presidente, Lei può trasformare questa domanda in un’orgogliosa risposta per quelle tre masnà, facendone i figli non di una vittima, ma di un eroico martire del lavoro, attraverso l’attribuzione della medaglia d’oro al valor civile al Suo Concittadino Antonio Schiavone.
Caro Presidente la legittimità di questa medaglia l’ho intravista ascoltando il racconto di Antonio Boccuzzi, collega di lavoro da tredici anni di Antonio Schiavone, e stato a un nulla dall’essere anche lui incenerito, come mi descrivevano, nell’immagine televisiva, le terribili ustioni sul suo volto. Antonio Boccuzzi si è salvato per aver cercato, dopo aver constatato scarico l’estintore impugnato, di spegnere il fuoco andando a collegare un idrante al manicotto.

Ecco il racconto: Boccuzzi e Schiavone avevano terminato il turno di lavoro del sabato 9 dicembre alle dieci di sera, e si erano già cambiati, ma a completare l’organico del turno mancavano due tecnici, o gli operai avrebbero dovuto tornare a casa perdendo la giornata. Ecco perché Schiavone disse al collega: “Facciamogli guadagnare la paga anche a loro, che ne hanno bisogno.” E avevano entrambi reindossato la tuta, ormai non più per lealtà verso l’azienda, perché sapevano che l’acciaieria avrebbe spento per sempre gli alti forni entro il prossimo luglio, come da accordo sindacale. Qui è la vera radice della catastrofe: sfruttare al massimo gli impianti, ormai da rottamare, i morti e i grandi ustionati della tragedia vittime del processo di deindustrializzazione del paese, accettato passivamente dalla classe politica e sindacale, perfin felice di dimenticare quei novecentomila metalmeccanici senza contratto di lavoro da due anni, mentre attenta a mediare e imporre la stipula del nuovo contratto di lavoro ai trecentotrentamila bancari.
Qui: con l’avidità arrogante neocolonialista della ThyssenKrup è la radice putrida della morte di Antonio Schiamone, mentre gli altri che sono morti perché Antonio Schiavone non poteva permettere che fossero venuti fin in fonderia per poi tornare a casa senza guadagnare la paga di giornata.

Un altruismo semplice, diretto, immediato, come semplice, diretta, immediata, è stata la discesa volontaria nell’inferno con un estintore, a spegnere quel principio di incendio. Noi non sapremo mai se, come quello di Boccuzzi anche l’estintore di Schiavone non abbia funzionato, o là sotto la linea di laminazione si fossero raccolti troppi liquami di olii esplosivi per mancanza di manutenzione agli scarichi, rendendo inutile il pronto intervenire di Antonio Schiavone. Certo è che dalla sua decisione di lavorare per salvare la paga ai compagni, fino al suo accorrere per primo, perché aveva più chiara la coscienza del rischio, in quell’appuntamento con la morte di Antonio Schiavone: “Andato a lavorare e non alla guerra.”, nelle icastiche parole della Donna di Envie, caro Presidente, si delinea: nei tratti della cronaca di quella tragica notte, una limpida, suggestiva semplicità altruista degna di assurgere ad esemplarità emblematica.

Caro Presidente, la medaglia al valor civile prima che alla Donna Tragica di Envie e ai suoi tre figli serve a dare a tutti noi una misura di civile dignità nella convivenza, che Ella è certamente capace di scorgere molto meglio di me, proprio per quell’impegno istituzionale che Lo ha portato a sottolineare, partecipare a tante manifestazioni della società civile, in una delle quali l’ho appunto conosciuta. Fu in Bonn, una città della Germania renana, quando nel chiostro di Beethoven il pittore cuneese Carlo Sismoda esponeva quei suoi tragici paesaggi e nature morte di silenziosa profonda bellezza. La stessa che deve ardere nel cuore della tragica Donna di Envie, quando ricorda, con la vampa che giel’ha arso, la vampa degli abbracci del Suo Antonio.

Caro Presidente, spero che non troppo tardi: non nei tempi della burocrazia ma del dolore e della speranza umani, possiamo ritrovarci, come a Bonn, ma ad Envie, Lei a consegnare per noi tutti che lo vogliamo, segno di civiltà, la medaglia al valor civile per il sacrificio di Antonio Schiavone alla tragica Donna di Envie, ma dalla quale sono certo Lei è forse è già andato, o comunque andrà molto presto, a dire quello che tutti noi sentiamo e vogliamo dirLe: per la nostra dignità non possiamo e non vogliamo mai lasciare sola la vedova di Antonio Schiavone e le sue tre masnà.

Suo
Piero Flecchia

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