Adolescenti, genitori e droghe leggere

Probabilmente non sapremo mai, ed è giusto così, perché Gio a soli 16 anni si sia ucciso gettandosi dalla finestra di casa mentre la Guardia di Finanza faceva una perquisizione trovando 10 grammi di hashish. E non sapremo mai che cosa ha spinto i genitori ad agire come hanno agito in quei frangenti. Certamente non possiamo neppure semplificare le cose dicendo che la “denuncia” della madre alle Forze dell’Ordine sia la “causa” vera del gesto estremo del ragazzo e neppure dire che sia sbagliato di tanto in tanto mettere i ragazzi adolescenti dinnanzi ad un “principio di realtà”, fatto anche di responsabilità individuali, penali talvolta. Ma questa storia di Lavagna ci lascia molto, molto perplessi.

Il fenomeno degli adolescenti e delle droghe è da sempre un problema che nel tempo ha attraversato fasi diverse pur ripresentando dinamiche simili, ed anche i discorsi del mondo degli adulti sono, in fin dei conti, sempre gli stessi. Quali sono allora i “fatti nuovi”? E come si può comprendere meglio il quadro?

In generale l’aumento della povertà, l’insicurezza sociale, l’immigrazione, la fragilità genitoriale e le trasformazioni delle famiglie da una parte; per gli adolescenti, dall’altra parte, il diffondersi delle dipendenze da internet ed annessi, la diffusione di droghe di facile accesso da parte dei giovani, il crescente consumo di alcolici in età adolescenziale sono tutti fattori che insieme generano devianza, disagio, disturbo delle condotte.

Lavagna non è Torino, ma è utile sapere che, ad esempio, sono ovunque in aumento gli interventi con ragazzi in età precoce (11/12 anni) per la NPI e che sono sempre più significative le richieste d’intervento per i ragazzi sotto i 18 anni con percentuali che oscillano tra il 7% ed il 18% per i maschi ed il 3% ed il 10% per le femmine. Da molte parti, tra l’altro viene sottolineata una stretta relazione tra disturbi della condotta e della sfera emozionale associati a fattori psico-sociali. Analogamente è rilevata una connessione tra fattori psico-sociali e disturbi della personalità.

Il nostro dubbio è che dietro a fatti come quello di Lavagna, vi siano problemi delle famiglie e dei minori che non riescono ad emergere in maniera consapevole. La Guardia di Finanza dice che la madre “non sapeva più cosa fare” per convincere il figlio a smettere di far uso di droghe (pare leggere)”. Probabilmente hanno ragione coloro che dicono, come Angela Nava del CGD, che occorre ricominciare a parlare di droga a scuola, che occorre fare in modo che i ragazzi si fidino degli adulti, che reprimere non basta. La prevenzione si fa con il sostegno di una cultura dell’informazione e con delle proposte di opportunità “alternative”. Eliminare il rischio e il gusto della trasgressione è molto difficile, ma certamente è importante rafforzare le “politiche culturali” per i giovani che oggi più che mai devono essere al centro dei nostri pensieri.

Altrettanto condivisibile è la posizione di chi, come Daniele Novara del Centro Psicopedagogico di Piacenza, sottolinea come questi siano problemi educativi e non giudiziari, che occorre rivolgersi a figure competenti che possano orientare, che non si devono far sentire da sole le famiglie. I servizi sociali, le istituzioni devono far sentire la loro presenza, renderla evidente e affidabile, dare un sostegno alle famiglie non solo a quelle in difficoltà economica evidente, ma a tutte le famiglie. Il disagio dei ragazzi è sempre più trasversale anche perché sempre più trasversale è la fragilità familiare, degli adulti. I genitori non devono fare i detective, neppure comportarsi da alleati, da improbabili “amici” e complici. Difficile pensare che di fronte a “segnali da non sottovalutare” sia più immediato rivolgersi alla Forza Pubblica piuttosto che ad un servizio di psicologia. Questioni di valutazione e competenze diverse.

Roberto Saviano ha ancora di più allargato la questione, ritornando sul tema delle droghe leggere, sottolineando che i divieti sono un regalo alla criminalità, che il proibizionismo genera disagio ed è fallimentare sul piano sociale ed educativo. Non c’è dubbio. E’ vero. Ma è vero anche che, e studi approfonditi lo dimostrano, che l’uso di droghe leggere continuato, nei giovani adolescenti in crescita determina danni e disfunzioni neuro-bio-psicologiche più o meno profonde che rimangono stabili nel tempo. Insomma fanno male, per sempre. Come tante altre cose, come l’alcol, il tabacco, i social, ecc.

Indubbiamente il silenzio fa male a tutti, la criminalizzazione non è mai servita in questo campo, rilanciare l’idea che occorre costruire reti di aiuto e strutture preventive, restituire legittimità agli insegnanti, agli educatori, ai servizi sociali sono tutti passaggi necessari. Ho incontrato nella mia storia professionale molti giovani che facevano uso di droghe leggere, molti di essi erano davvero su una “cattiva strada”: solo il generarsi di una serie di circostanze favorevoli, lo sforzo personale del ragazzo o della ragazza, e soprattutto un coerente e costante lavoro educativo hanno potuto generare qualcosa di buono. Non c’è una soluzione unica, unici sono solo i ragazzi, i loro bisogni, le loro storie.

Ho anche avuto la pessima esperienza di seguire dei ragazzini arrivati persino al suicidio. E quasi mai purtroppo ho trovato una risposta razionale e soddisfacente. Ogni volta, però, qualcosa dentro mi diceva che si poteva evitare.

Stefano Vitale

 

CONDIVIDI