Da Buccinasco a Los Angeles. Il “rap” italiano s’innalza a musica d’esportazione grazie a Fedez, quando diventa personaggio assai popolare grazie al programma televisivo “X Factor”. E’ il primo rapper che, uscito così dal web, sfonda tra i pop-melomani più maturi, portando alla ribalta un genere di nicchia i cui estimatori non erano che adolescenti per lo più di periferia, abbondantemente tatuati, trafitti da un esubero di piercing, arrabbiati quanto basta per costituire un ‘fenomeno giovanile’ molesto e preoccupante.
Tutto questo, però, non fa storia. O meglio, non la fa più da un pezzo; da quando il rap è diventato anche nel nostro Paese un prodotto discografico di largo consumo e dai giri d’affari milionari.
Ciò che si discute oggi, invece, è il valore dei testi che caratterizzano i pezzi rap. A fronte di chi li ritiene ossessive sequenze di parole senza senso, sta un’ampia corrente di letterati e accademici inclini ad affermare che alcuni brani dei rapper più quotati siano i contenitori di una vera, pregevole poesia nascente. A questo proposito, sul giornale web Satura lanx, Luca Boschieri esamina in modo approfondito il fenomeno e così ci informa:
“Il Rap è un genere musicale molto banalizzato e stereotipato; i rapper raramente sono definiti dei veri artisti e si crede che ciò che scrivono, nella maggior parte dei casi, siano delle rime senza alcun senso.
Al contrario ponendo l’attenzione sulla scrittura di un testo rap sono presenti tutte le caratteristiche che contraddistinguono le opere poetiche. I testi vengono scritti in versi, che nell’ambiente vengono chiamati “barre”, poi è presente la divisione in strofe solitamente composte da sedici barre.
La presenza delle rime è la caratteristica più importante di questo genere musicale e vengono impiegate tutte le sue variazioni. Non si utilizzano, come molti pensano, solo rime baciate ma anche le alternate, incrociate, che vengono definite rime ad “incastro”, e, per chi più abile, anche le rime incatenate. Queste caratteristiche, con l’aggiunta dello studio sulle parole da utilizzare per esprimere il significato che si desidera, compongono la metrica di un testo. […]
Il lavoro che intraprendono i rapper esprime il loro dissidio verso lo Stato, le ingiustizie sociali e la Chiesa, utilizzando un linguaggio semplice in modo che venga compreso da un pubblico più ampio possibile, è paragonabile all’opera di Dante. Il padre della lingua italiana scrisse la Divina Commedia in volgare poiché il suo obiettivo era che più persone possibili riuscissero a leggerlo e quest’opera criticava l’operato della Chiesa e di papa Bonifacio VIII.
Aggiungendo che sia i rapper che i poeti hanno sempre trattato gli argomenti sul carattere umano e sui propri sentimenti, possiamo dunque concludere che entrambi utilizzano metodi e linguaggi differenti tra di loro, ma hanno gli stessi obbiettivi: esprimere i sentimenti dell’animo umano e dare voce a chi non ne ha abbastanza per farsi sentire.”
Se è dunque incontestabile che il rap sia divenuto una colonna portante della moderna cultura giovanile, resta da vedere quanto il mondo della poesia canonica sia disposto ad accettare l’elevazione di questi testi messi in musica a Poesia con la P maiuscola. Trionfa, a questo proposito, il mio lo scetticismo: eppure fu solo una questione di tempo perché, in casa nostra, De Andrè, Vecchioni, De Gregori, ecc… venissero riconosciuti come poeti a tutto campo, mentre all’estero Vinicius de Moraes, Brassens, Jacques Brel ed altri già ricevevano gli onori concessi ai grandi letterati. Senza contare il colpo di grazia, dato ai fondamentalisti del classicismo, dalla Reale Accademia di Svezia con l’assegnazione del Nobel per la Letteratura al cantautore statunitense Bob Dylan.
Senza generalizzare ulteriormente, tornerei proprio a Fedez indicandolo come artefice della miglior specie di “rap d’autore” e prendendo ad esempio alcuni stralci dei suoi testi perché sia il lettore a stabilire se, la sua, è davvero poesia. Chi ritiene che i suoi versi siano soltanto sproloqui di un giovane oramai del tutto globalizzato” il quale, dei temuti Poteri Forti di casa nostra, se ne infischia allegramente, potrà forse ricredersi; oppure no. Personalmente, mi auguro di sì.
Anna Antolisei
– 21 grammi di felicità
Ho consumato 21 grammi di felicità
Per sognare ad occhi aperti come anni fa
quando anche se non c’era niente ne bastava la metà.
21 grammi di felicità.
Siamo l’effetto collaterale
di una vita tagliata male.
Guardo le ferite che ci hanno lasciato
per poi ricucirle con ago e filo spinato. […]
– Generazione bho
[…] Non ci fermiamo alle precedenze
ma ci fermiamo alle apparenze.
Abbiamo più punti interrogativi
che punti di riferimento.
Guardiamo tutti le stesse cose
indossiamo gli stessi vestiti
mettiamo le stesse scarpe.
Siamo specchi che non riflettono
prigionieri del presente in un Paese senza futuro.
O reagiamo o ci troveremo a cucire l’orlo del baratro
e a quel punto i rimorsi
faranno più male dei morsi.
– Non c’è due senza trash
Il pomeriggio in tele ho solo voglia di sapere
i dettagli della morte di quel carabiniere.
Di quella che ha abortito due gemelli in consultorio
ma non vi conviene fare le dirette in obitorio.
[…] Con la cultura non si mangia
ma i libri più venduti sono quelli di cucina.
[…] Discorsi sull’umanità ne sento di tutti i tipi
ma non siamo umani, siamo scimmie avvolte in bei vestiti
figli senza valori ma molto bene istruiti
vomitati da un sistema che da tempo ci ha inghiottiti.
– Si scrive schiavitù si legge libertà
Basta non finire dentro il girone degli invertiti
passare metà del tempo a sputare su chi è diverso
per poi nel tempo libero andare coi travestiti.
Ma questa è la mia nazione che pesa sulle mie scelte
gridando rivoluzione ma con le braccia conserte.
Ora che il beneficio lascia spazio al benestare
capisco quant’è avvilente morire senza lottare. […]
Questo mondo è una prigione con la cella un po’ più grande
e prendere frasi fatte e ficcarcele dentro un testo
è il modo più intelligente per dire ciò che non penso.
E se il mondo ti esclude ti chiudi nel tuo universo
ma nulla ti gira intorno se giri attorno a te stesso.
– Faccio brutto
Ho la catenazza d’oro presa nell’uovo di Pasqua
giro coi fusilli crudi e ti chiedo se vuoi una pasta.
Non esco mai di casa se non ho il mio ferro in tasca
però prima mi sistemo un po’ i capelli con la piastra.
Grido “Poliziotti Infami” ma con voce un po’ indecisa
poi mi sente mio papà mentre si toglie la divisa.
Mangio pane e malavita e pippo polvere da sparo
Ho il poster di 2Pac con la faccia di Totò Cuffaro.
Ho un odio represso verso tutte le persone gay
ma poi limono con la foto del cantante dei Green Day
Quattro giorni galera, risse ogni sabato sera
i soliti racconti finti, tratti da una storia vera.
Una volta al giorno lucido la Beretta
quando non so cosa fare incendio una camionetta.
Ogni rapper mi rispetta perché arrivo dalla strada
e in effetti sono rapper anch’io ma io arrivo da casa.
Per amore della fama ogni cosa è lecita
prendi la tua piccola parte, in questa grande recita
e se menti come gli altri, non puoi farne più altrimenti:
la fortuna mi ha baciato prima di lavarsi i denti.
– Magnifico
Sapessi quante ne ho viste di scalatrici sociali
regalano due di picche aspettando un Re di denari.
Quante volte ad un “Ti amo” hai risposto “No, non posso”
hai provato dei sentimenti e non ti stanno bene addosso.
[…] Fuori è magnifico, sì ma tu un po’ di più
sei la bellezza a due passi, a portata di manicure
ma so che quando troveranno il centro dell’universo
rimarrai delusa a scoprire che non sei tu.
Ognuno coi suoi pensieri, i suoi segreti
lo so, siamo divisi dallo spazio senza essere pianeti.
L’amore rende ciechi, devo dirtelo
e io devo smettere di cercare le scarpe nel frigorifero.
Ma tu non guardi me, continui a guardare fuori
ti ho dato i giorni migliori dei miei anni peggiori.
Contraddizioni e vizi, a ognuno il suo
ma questa notte dormo sul mio fianco preferito: il tuo.