foto_referendum_vitaleSi sta stemperando il dibattito sul Referendum del 17 aprile. Alcune considerazioni, vanno fatte.

Per prima cosa il dibattito si è accesso in grande ritardo, anche perché l’informazione, in generale, si è mossa in ritardo: giusto gli ultimi tre-quattro giorni prima. Certo, sono i tempi dei media, ma i cittadini forse avrebbero bisogno di capire meglio. Come spesso accade, la comprensione stessa del quesito referendario non era facile: la solita confusione che scatta sui referendum abrogativi. In ogni caso alla fine non si è raggiunto il quorum dei votanti pertanto, benché abbia vinto il “Sì” in effetti ha vinto il “No”. Va ricordato che se si votava “Sì” sarebbe cessate, alla loro scadenza naturale prevista tra il 2016 e il 2034, 35 concessioni di estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana. Se si votava “No” l’attività estrattiva sarebbe andata avanti, come sarà, sino a quando si esauriranno i giacimenti e tale data non è ovviamente prevedibile.

Nei giorni che hanno preceduto il voto, la scena è stata occupata a un’altra questione. Quella appunto di andare o meno a votare. Ad esempio, su “Repubblica” de 12 aprile, Ezio Mauro aveva spiegato, con cura, il senso e la natura dei Referendum sottolineando anche il valore politico della consultazione: quello di andare a votare.

Il Primo Ministro Matteo Renzi, che era un sostenitore del “No”, ha impostato la sua campagna sull’astensionismo. La Costituzione non dice certo che ci sia l’obbligo di votare, ma prevedere che se un referendum non raggiunge un certo quorum esso non è valido, non significa automaticamente che l’astensionismo sia “costituzionale”. Semplicemente la Costituzione dice che “pochi non possono decidere per la maggioranza”. Si può discutere, ma per ora è così.

Il problema è che, in un contesto sociale e politico, come quello che stiamo attraversando, spingere gli italiani ad astenersi può anche essere un errore grave. Un gesto, certamente di strategia politica lecita, ma altrettanto una forma diseducativa e pericolosa perché, come sempre ha scritto Ezio Mauro: “invitare a non votare è un’abdicazione della politica, come se non credesse in se stessa” (“Repubblica” del 12 aprile 2016).

Inoltre le dietrologie sono state infinite. Si è pensato che Renzi avesse paura del fatto che i cittadini votassero di “pancia” facendo di tutta un erba un fascio schierandosi contro un’attività importante solo per inseguire generiche chimere ambientaliste; si è parlato della lotta interna coi Dem del Pd e della volontà di Renzi di una vittoria totale; si è messa di traverso la questione dello scandalo dei petrolieri di “Teppa Rossa” associandolo a quella del banchieri di Banca Etruria. La confusione è stata tanta. Anche perché, come detto, Renzi e una gran parte del Pd, hanno insistito sulla teoria del “non votare”. La maggioranza indiscussa degli elettori ha seguito, più o meno consapevolmente, questa “indicazione”. Ma, da quanto è emerso dalle analisi del voto, molti sono andati a votare proprio perché qualcuno diceva di non andare. Tanti altri erano tra quelli che non vanno a votare alle elezioni, ma che stavolta sono andati. Infine, molti di quelli che sono andati a votare, normalmente votano un po’ tutti i partiti.

Quasi quindicimilioni di elettori. Mica pochi. Quasi un partito del 23/24 %. Io continuo a pensare che anche il Premier, come altre cariche dello Stato, avrebbe dovuto ragionevolmente dire agli italiani che votare è un dovere civile. Cosa che Renzi ha detto subito, giustamente, a proposito del prossimo referendum Costituzionale. Non c’è dubbio che siano due cose diverse, ma in democrazia certe forme sono sostanza. Specie in tempi di disaffezione dei cittadini verso l’impegno politico e istituzionale.

Sempre Ezio Mauro aveva scritto: ”l’astensionismo invocato oggi rischia da domani di diventare la malattia senile di democrazie esauste, appagate dalla loro vacuità, incapaci di essere all’altezza delle premesse su cui sono nate”.
Un referendum, come anche altre votazioni pubbliche, può essere paragonato ad una partita: si può vincere o si può perdere, ma la partita è sempre meglio giocarla. Ora c’è da considerare che cosa fare di questi quindici milioni di cittadini che sono andati a votare e che possono essere un problema per tutti. Se ne riparlerà alle prossime imminenti Amministrative. Speriamo di non dover poi sentire le solite lamentazioni sull’astensionismo dei cittadini.

Stefano Vitale

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