foto_mafia_vitaliSu “La Repubblica” del 10 aprile 2016 è pubblicata una bellissima e lucidissima lettera di Giovanni Impastato, fratello di Peppino ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978.

Marco Tullio Giordana raccontò nel film “I cento passi” (2000) la vita del giornalista, scrittore e poeta morto a soli trent’anni. Peppino, anche attivista politico nelle fila di Democrazia Proletaria, stava denunciando i delitti del boss Tano Badalamenti. Il fratello Giovanni, coinvolto da Matteo Levi, ha dato vita ad un nuovo film che “avrebbe dovuto raccontare il coraggio di mia madre, Felicia Bartolotta, che con fierezza e tenacia, si è battuta contro tutto e tutti per ottenere verità e giustizia”.

Già, perché va ricordato che stampa, forze dell’ordine e magistratura ai tempi parlarono di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima. L’uccisione barbara di Peppino, avvenuta in piena notte, riuscì a passare, la mattina seguente, quasi inosservata, poiché proprio in quelle ore veniva ritrovato il corpo senza vita del presidente della DC Aldo Moro.

La matrice mafiosa del delitto viene individuata, proprio grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta (1916 – 2004) e dei compagni di militanza e del Centro Siciliano di Documentazione, fondato a Palermo nel 1977 da Umberto Santino e dalla moglie Anna Puglisi (dal 1980  intitolato proprio a Giuseppe Impastato). Sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate, venne riaperta l’inchiesta giudiziaria. Va detto che Peppino Impastato nacque da una famiglia mafiosa (il padre  era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi ed il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua auto imbottita di tritolo). Peppino, dopo aver appunto rotto i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa, avviò la sua attività politico-culturale antimafiosa.

Nel maggio del 1984 il Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni di Rocco Chinnici (anche lui ucciso dalla mafia nel 1983) che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia, emette una sentenza, firmata da Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Se ricordiamo questi fatti è perché tutti devono ripensare a come vanno le cose in Italia nel settore delicatissimo dei fatti di mafia.

Ma torniamo alla lettera di Giovanni Impastato. Il film è stato prodotto, tra gli altri, da RAI 1. La stessa rete che ha messo in onda “Porta a Porta” l’intervista al figlio mafioso di Totò Riina, il capo dei capi. “Questo figlio che, a differenza di Peppino, di mia madre e di tutta la nostra famiglia, non rinnega un padre mafioso, anzi lo difende e nega ogni condanna pronunciata contro di lui”. E la lettera prosegue: “Ritengo inconcepibile che sia stato permesso di dare spazio a questa persona senza pensare alle conseguenze di un messaggio negativo e diseducativo soprattutto nei confronti delle nuove generazioni”.

Ma Vespa dice di aver solo promosso un libro: una vecchia a consunta maschera di vile perbenismo. E allora Giovanni incalza: “Non penso… che sia questo il modo di conoscere o studiare il fenomeno. Ma è piuttosto un modo per far crescere l’audience al costo di calpestare la dignità di molte persone che hanno pagato un prezzo altissimo con il sacrificio dei propri cari”. E conclude dicendo “Siamo noi la linfa di questo Paese e, finché vivremo, lotteremo per sconfiggere il potere mafioso a dispetto di questi indegni spettacoli che i media ci offrono”.

Intanto laddove meno ce lo aspettiamo, una ragazza di 16 anni, Chiara Perreca di Bacoli (Napoli) porta su TV 8 ad “Italia’s Got Talent 2016 (show condotto da Lodovica Comello con giudici Claudio Bisio, Luciana Littizzetto, Nina Zilli e Frank Matano) un monologo tratto proprio dal film “I cento passi” per raccontare la storia di Peppino e dice candidamente che è “una storia che mi ha colpita, è un eroe che ha deciso di sacrificare la sua vita per combattere la mafia” e racconta di frequentare l’Alberghiero, sogna di diventare attrice drammatica e che non tutti i ragazzi passano il loro tempo a “sballare o guardare il Grande Fratello”.

Bene, fa piacere scoprire che vi sono giovani affascinati dal senso di giustizia e non solo dai valori della mafiosità. Ai quali sembra aderire, cinicamente, Bruno Vespa. E mi chiedo: ma cosa aspetta la RAI, cosa aspetta Renzi a cacciare questo squallido sedicente giornalista? Sappiamo che ha un contratto milionario che nessuno, né Prodi, né Letta, né Monti né tantomeno Berlusconi hanno mai avuto il coraggio di rescindere. Potrebbe Renzi “cambiare verso” e renderci un servizio pubblico facendo sparire Vespa dalla TV di Stato? Forse i ragazzi come Chiara potrebbero diventare di più di quel che ora sono. Oppure sono più importanti ed utili i giornalisti sdraiati col potere, quale che sia?

Stefano Vitale

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