Ch.ma Sandra Bonsanti,
Grazie! Grazie! Grazie!
Il più grande grazie da un lettore del Suo splendido pamphlet ‘Il gioco grande del potere’ (Ed. Chiarelettere, pp. 240, € 12,90), che mi ha illuminato molti dei tanti angoli oscuri, nel mio modello mentale, della politica nell’Italia repubblicana.

Lei ha felicemente scritto il libello che andava scritto, perché mentre ricostruisce limpidamente il paesaggio politico dell’Italia post fascista, e le ragioni della sconfitta del disegno resistenziale, ne chiarisce anche l’evoluzione coerente interna. La deriva della prima repubblica verso il berlusconismo, rispetto al quale Craxi è, infine lo vedo chiaro, una prima prova generale; i nostrani aspiranti golpisti soltanto menti incapaci di capire che oggi si costruisce uno stato oligarchico solo in mascherata di democrazia. Nella lotta contro la democrazia, quello golpista fascista è oggi un disegno obsoleto ormai perfin in sud America.
In sintesi: Gelli vide, Berlusconi fece. Et voila, la povera Italia d‘oggi.

Grande lezione la Sua, e ammirabile, Sandra.
Una precisazione circa il titolo, ‘Il gioco del potere’: non è mai ‘grande’ ma, ad analizzarlo oltre gli orpelli, solo tristo, triviale.

Il potere statale, quando non è violenza, saccheggio, omicidio, nella sua forma migliore è sempre solo bungabunga, a dirla nell’oggi linguistico dell’ital-berlusconese. Di più. La vera natura d’un potere politico statale si chiarisce al meglio proprio intorno allo scambio di beni economici, estorti dal potere politico statale ai sudditi, con le prestazioni sessuali del potere erotico. Un caso evidente nell’oggi. Potere politico statale: cavalier on.le Silvio Berlusconi, potere erotico: Nicol Minetti igienista dentale. Risultato: il popolo italiano paga le troianate del cavBallista con l’igienista in buoni stipendi da assessora regionale alla troiana, la cui bocca si vuole igienizzasse intimamente il bunghista. Nulla di nuovo sotto il sole. Stessa la situazione a Bisanzio. Potere politico Giustiniano potere erotico Teodora, scambio potere contro sesso mediato da un matrimonio imperiale. C’è chi la sua cascina la sa far rendere e chi no.

Inciso in margine. Per negare la copresenza universale della dimensione sessuale in quella politica, in ragione d’un bigottismo cristianista incrollabile, a negare il fatto universale ed educare il popolo alla castità, il bigottismo post-cristiano di genere delle giudichesse di Milano ha inflitto l’abominio d’una incredibile condanna a sette anni al cavBallista per corruzione di minorenne. Cosa ci fosse da corrompere in Ruby Rubacuori, da come lei stessa si è raccontata, ci vogliono i parocchi mentali d’una Boccassini per accreditarlo in sentenza. Tra Ruby e il cavBallista, non ci può essere corruzione, ma solo una grande risata compartecipata, intorno alla dissipazione di risparmio pubblico nello scambio merci contro sesso.

Il cavBallista deve essere condannato sì, ma per furto continuato aggravato e associazione a delinquere con con il suo compare Putin. Il reato, è grandioso: che non si può non vedere, cara Boccassina, far pagare sul cosiddetto libero mercato dell’energia il metano kazaco all’italiano al prezzo più alto. Quasi tutto quanto consuma energia usa metano. Soprattutto le industrie e il riscaldamento. Noi italiani, come Lei ben sa, paghiamo il metano russo al prezzo più alto. Tutti gli altri, dagli spagnoli ai tedeschi lo pagano meno, ma la loro classe politica si accontenta di tangenti più basse, per un maggior controllo democratico sulla classe politica. Sul metano pagato dagli italiani, Putin trasferisce al cavBallista la sua parte, mentre per il costo eccessivo dell’energia le nostre industrie falliscono, non reggendo la concorrenza internazionale, mentre riscaldarsi in Italia costa più caro che in ogni altro paese del mondo. E che ti fantastica la magistratura italiana? Quella vera apoteosi del fariseismo che è considerare la troiana Ruby una minorenne ridotta in prostituzione dal libidinoso di Arcore. Ecco per quale strada uno dei più gradi ladri della storia d’Italia si fa un perseguitato; perché non c’è moralmente condanna più assurda di quella di Berlusconi per corruzione di minorenne. Le sue vere colpe si chiamano Alitalia, evasione fiscale, corruzione politica, lodo Mondadori…

Ma torniamo all’aggettivo ‘grande’ nel titolo del Suo libro. Non c’è, se non in eccezionali contingenze storiche, vera grandezza politica in chi esercita il potere attraverso l’apparato statale. Sono i grandi politici che fanno grande una politica statale, ma molto episodicamente, e solo per contingenze storiche eccezionali. Vedere grandezza nell’istituzione Stato, e quindi nei politici che ne occupano i vertici, è puro abbaglio, come il gran libro di Lampedusa insegna. Uno di questi abbagli Lei rievoca nella Sua pagina sull’incontro tra Craxi e la redazione di Repubblica. Quel giorno, casualmente, in quanto amico di Nanni Filippini, lui mi disse: “Andreotti è un delinquente” – ero passato da Repubblica per incontrarlo, e sostammo entrambi ai margini della recita del pifferaio. Mi deluse e preoccupò vedere quanto, da Scalfari in giù, tutti voi patiste il fascino del grande cialtrone; che avevo conosciuto quando andava verso i trent’anni ed era ancora solo un vitellone della politica milanese che viveva di scrocco politico, usando anche, in proprio, i fondi dell’interfacoltà.

Proprio Craxi mi ha mostrato, il giovane Craxi, quale mentalità perversa sviluppi il vivere di politica. Qui è la vera ragione della corruzione degli apparati partitici, come purtroppo quotidianamente aggiorna l’informazione onesta, all’indagare della magistratura.

In Italia i partiti hanno funzionato fin quando hanno dominato la scena politica gli uomini usciti dall’antifascismo, che avevano affrontato il carcere e la lotta armata: gli antifascisti veri, ma già spesso anche quelli cedendo, nel trantran della politica, alla corruzione spicciola. Potrei raccontargliene delle belle anche circa gli incorruttibili piccisti. Un esempio. I loro traffici con la mafia sono ben più antichi di quanto Lei supponga, purtroppo avviati e sostenuti – borghesi che giocavano a fare i proletari, Berlinguer buonanima il perfetto esempio – in nome d’un becero idealismo di partito, espressione nel contingente del porco universale ‘spirito di corpo’.

E vengo al cuore del suo libro, al suo bello: il ricordo prezioso che Lei tramanda degli ‘azionisti’, sui quali a oggi significativamente manca un libro che li abbracci, e illumini il loro decisivo contributo alla rinascita morale ed economica dell’Italia post fascista a partire dall’antifascismo militante, Duce ancora imperante, quando furono, con i comunisti e più dei comunisti, la voce mobilitante alla resistenza. La voce degli Ernesto Rossi, dei Ricardo Bauer, dei Leone Ginzburg… mobilitante a una società democratica senza aggettivi: proletaria, cristiana …

La superiorità degli ‘azionisti’ stava nell’essere stati tutti uomini imprestati dalla cultura e/o dall’impresa alla politica, per loro scelta morale, da Carlo Levi ad Adriano Olivetti (che grande capitolo di esperienza politica tradita e dimenticata fu il suo movimento politico ‘Comunità’ che è tempo di riscoprire, come i suoi scritti), allo stesso La Malfa. I partiti burocratici: DC PSI PCI dovevano liquidare dallo spazio della politica la voce azionista, in quanto sosteneva l’imprescindibile necessità di epurare lo Stato dai fascisti; e soprattutto la legislazione dalle leggi fasciste, che invece rimasero e servirono, per esempio, ad Andreotti per esercitare la censura cinematografica. Si veda la condanna di ‘Umberto D.’ che pose fine alla carriera creativa del nostro forse più grande regista cinematografico, Vittorio De Sica costretto, non trovando più capitali per i suoi progetti filmici, a diventare attore brillante nella commedia all’italiana.

Con l’emarginazione dell’Azionismo, alla classe dirigente reclutata tra i migliori, uomini venuti dalle attività produttive e intellettuali, succede una burocrazia di militanti di partito, reclutata intorno a mitografie mediocri, come appunto il ceto dirigente del PCI.

Il Pertini che Lei descrive con grande finezza nel grande dolore per la morte di La Malfa; che piange sul morto dicendogli “Solo tu avevi il progetto” sta confessando, nel dolore della morte dell’amico, che nella Repubblica Italiana non c’è stato altro progetto civile, oltre quello azionista, tra i due estremi di Gobetti e Ciampi, passando per la lotta armata intorno al sacrificio di Duccio Galimberti, e al mito della resistenza che ha tramandato lo scrittore d’area azionista Beppe Fenoglio. E oggi non ne resta nulla, ma se il Paese vuol vivere, da quel progetto deve ripartire, recuperandolo a costruire una morale pubblica che non sia solo somma di tanti interessi e latrocini privati.

Con la sconfitta degli ‘azionisti’ (liquidazione del governo Parri, voluta da una lega tra DC PCI PSI: fu il primo compromesso storico o prima larga intesa della Repubblica, dove Degasperi giocò Togliatti: e proprio come il cavBallista giocherà l’Ulema nel patto della crostata, Degasperi ponendo le basi del ventennio democristiano) i partiti storici della Prima Repubblica emarginano dal ceto politico la comprensione della cultura necessaria a sostenere lo sviluppo industriale. Questo, per gradi, in combinazione con le conseguenze discese della grande verità che solo nel Suo libro ho trovato: noi siamo una colonia, ha portato il Paese al presente articolato sociale, tipico appunto d’una colonia. (E anche, se ben si riflette, le vicende delle varie P2 P4 sono tipiche storie da colonia)

È stata la condizione coloniale che ha portato all’emarginazione e tramonto della nostra industria, come dice la ignobile fine della Olivetti nell’arraffa-arraffa post olivettiano, culminato con lo sfascio della gestione Debenedetti. L’uomo non casualmente tutto centrosinistra, ma pronto anche a tener bordone al sacco del suo Gran Maestro segreto: il Berlüsca, dal quale fu sempre giocato e perché, proprio come l’Ulema, anche l’ing. si credeva di ben altra statura, davanti al televisionaro venditore di spazi pubblicitari. Dal concreto accadere potrei raccontarle almeno una decina d’altri esempi di importanti industrie italiane condotte al fallimento per volere dei colonizzanti, nell’indifferenza di informazione politica e magistratura italiana. Una colonia è un mercato di consumo integrato nei bisogni del centro imperiale. E noi siamo non solo davanti agli USA, ma perfin davanti a Bruxelles, come parla nei comportamenti dei nostri politici, una colonia. Inevitabilmente, alla borghesia imprenditoriale che il fascismo aveva, se pur per abiette ragioni imperialiste straccione, tutelato in Italia, proprio come insegna accadere nelle colonie il vecchio Marx, è succeduta una borghesia di mediatori e affaristi. Quella borghesia che Marx chiama ‘compradora’, il cui massimo esponente italiano è oggi ai vertici del paese: Berlusconi Silvio. Mediaset è la tipica impresa coloniale. Importa e propaganda favole dal centro imperiale e vi trasferisce capitali.

Un’osservazione di metodo, ma che si deduce anche dall’ultimo capitolo del Suo libro, anche se Lei chiarisce il concetto con un luogo comune giornalistico: l’opposizione Stato/Antistato.

La storia dice, per restare nel suo linguaggio, che non è possibile Stato senza Antistato, come mostra lo Stato ridotto all’uno. Lo Stato del ‘Principe’ che deve, come Machiavelli chiarisce, essere leone e volpe, Stato e Antistato. E Lei lo ha anche descritto in Cossiga: ora Stato ora Antistato. Ma per quale ragione? La stessa che rendeva, nel Suo racconto, Paietta impaziente alla Sua denuncia, in un dibattito pubblico, del peso nefasto nel Paese della P2. Anche il PCI di Paietta era una sorta di P2 al servizio dell’impero bolscevico, nell’illusione di servire la planetaria rivoluzione palingenetica proletaria.

Il concetto di antistato illumina poco. Giusto chiarisce, ma non del tutto, le vicende di quel politico da niente che è stato l’Ulema, infatti fattosi giocare sistematicamente da Berlusconi. L’Ulema è puro Antistato, per usare una categoria del giornalismo di questi anni a denunciare le ruberie dei politici, che passerebbero all’Antistato quando rubano, sistemano le clientele. Questa categorizzazione si fonda e perpetua l’illusione che possa esserci uno Stato buono, epurata la sua parte corrotta: Antistato. Ma lo Stato è fatto di uomini, nei quali bene e male convivono inscindibili. O i cittadini sorvegliano lo Stato o lo Stato diventa l’universale magna-magna che è l’Italia statizzata d’oggi. E chi ne patisce è chi paga la festa politica dell’Antistato. Quanti contribuiscono al monte tasse, e pagano, tra tasse indirette indirette, fin l’aria che respirano.

L’Ulema è anche la dimostrazione che il potere fa impazzire, rende cretini. L’Ulema infatti, convinto di giocare al gioco ‘grande’ della politica si è fatto beffare da un ciarlatano da fiera quale il Berlüsca, ma che sapeva che il solo senso dell’occupazione dello Stato è mettere le grinfie sul monte tasse. Vero che questo lo sa anche l’Ulema: ci è campato; però in un suo bozzolo ideologico fasullo, vivendo la politica alla maniera di certe fanciulle che, per volerla dare solo in stile lirico petrarchesco, poi si ritrovano, sempre dentro quel loro sogno petrarchista di poesia amorosa, alla masturbazione solitaria. Come appunto l’Ulema con la sua ansia di potere politico da grande gioco, che si trova a prendere calci sui denti perfin da pidocchio Renzi; ma che è urgente votare, perché oggi il resto è peggio. Per qual ragione?

Nel mio vissuto quotidiano ho visto un paio d’amici, belle menti e coltivate, che per aver conseguito giusto uno spunto di potere politico in fidecommesso, sono andati fuori di testa.
Non ci fu Cesare di Roma che non impazzisse. E l’uomo è sempre quello, ergo lo Stato è Antistato sempre. Questo voleva dire il mito romano di Giano. Nel tempo della storia Stato e Antistato sono copresenti. Quanto lo dissi a Bobbio, vidi il suo sguardo grifagno farsi perplesso. Non voleva vedere il punto, pur non riuscendo a rifiutarlo.

Il punto si fa chiaro solo se si coglie nella loro specificità politica strutturale il comune medioevale, la polis greca, la Roma repubblicana. E la loro specificità è l’essersi costruite intorno all’assemblea del popolo in armi. Qui stava la loro forza e capacità di costruzione giuridica di spazi di libertà, ma solo fin quando le assemblee elessero e tennero sotto controllo i magistrati.

Quando le magistrature si saldano e gerarchizzano, allora nasce dal comune lo stato da dove emerge, come ultima svolta del processo di maturazione dello Stato, quella degenerazione universale, dal punto di vista delle libertà della persona, degli stati burocratici, che Lei chiama Antistato. L’Antistato cresce con il crescere dello Stato nella comunità libere, attraverso il militarismo, la religione, le camarille oligarchiche, la corruzione e la falsificazione propagandistica del reale, come descrive la storia di Roma, dai Gracchi, per Silla e Mario e Cesare fino ad Augusto, nel quale Stato e Antistato convivono: il ‘Principe’. E negli stati coloniali, come l’Italia, il processo degenerativo diventa massimo, anche per una ben precisa ragione, legata alla forma della democrazia parlamentare, che cerca di controllare il potere politico-burocratico attraverso un’assemblea di secondo grado eletta dai cittadini. Ma gli eletti in queste assemblee tendono a consorziarsi, a istituirsi come oligarchia, per cui la stessa assemblea che dovrebbe controllare le magistrature, mentre si arroga di nominarle, si istituisce come blocco oligarchico, passando da controllore dello Stato ad Antistato oligarchico. Qui è anche la radice della catastrofe bolscevismo. I politici italiani poi, in quanto espressione d’una situazione coloniale, se fanno politica nell’interesse del Paese, ledono gli interessi della potenza colonizzatrice dominante cui devono rispondere. Solo coscienze vili, in questa situazione entrano in politica o vite disperate onerate da debiti, come appunto il cavBalista prima di fare il grande arraffo forzitaliota. Se un politico fa una politica nazionale, in Italia sparisce subito. Come uscire da un tale disastroso stallo?

L’Italia lo può o deve, come popolo, morire?

Solo il passaggio a una forma di democrazia diretta porta alla dissoluzione dello Stato, per la riduzione delle sue funzioni burocratiche gerarchiche e gerarchizzanti a magistrature con poteri d’ambito, sotto il controllo della comunità. Solo questa soluzione politica potrà tenere a bada quel processo degenerativo, immanente in tutti gli Stati, che Lei chiama l’Antistato ma solo perché, per il controllo esercitato dai cittadini, non prende forma lo Stato autoreferenziale gerarchico burocratico, rischio sventurato incombente su tutte le società storiche democratiche. Nelle oligarchie e tirannidi ha già vinto l’Antistato.

Mi scusi per aver divagato nell’audacia d’una lettera pubblica, ma se ho letto molti libri sulla crisi della nostra Repubblica, a discendere da quelli insuperati di Piazzesi, non avevo mai scritto agli autori, anche quando ne apprezzavo, come in Piazzesi, il pensiero; ma perché in nessuno avevo colto una visione così articolata e fondata su un vero slancio alla verità, che rende la Sua vita bella. Peccato non averLa incontrata quand’ero ancora anch’io bello di fragile gioventù. Dal sogno imperfetto di libertà di quegli anni, Le ho scritto.

Grazie ancora
Piero Flecchia

PS:

Lei ha visto molto, potrebbe darci un libro di memorie memorabile. Un vero libro di memorie, del quale la nostra letteratura è significativamente molto povera, perché nelle società coloniali raccontare la propria vita è spesso confessare il proprio asservimento a un potere altro. E l’Italia, tra papato, Francia e Spagna e Impero è stata dal Rinascimento al Risorgimento una colonia per poi dopo, e come conseguenza della sventura fascismo, tornarlo. Vicende coloniali sono la distruzione della Olivetti, voluta dall’impero americano per mettere le mani sul progetto ‘Elea’ alla morte di Adriano Olivetti. Come vicenda coloniale sono stati i grandi scioperi fine anni ’60, che azzopparono la FIAT, sovvenzionati dai servizi francesi, connivente Fanfani, che sognava di ottenere dal collasso FIAT una sua Renault italiana, dove sistemare le sue clientele sterminate, per finire al disastro Telecom. Tutti disastri possibili solo per l’azione d’una fazione interna interessata a collaborare con l’aggressore esterno

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