Recensione in forma di lettera aperta
Caro Travaglio,
complice una noiosa influenza, ho seguito il Suo consiglio giornalistico, e trascorso un giorno tutto in compagnia del “Lolito” luttazziano, la qualità della cui scrittura è a vertigini al di sopra dei titoli che vanno per la maggiore.
La vicenda s’avvia svelta e provocante, tra la fascinazione amorosa dell’adolescente Silvio per le gemelle, dove la sua originaria metamorfosi in Lolito, il suo primo matrimonio, il divorzio e l’incontro con il diavolo a Napoli. Prosa e invenzione degne dei migliori Chiara e Bianciardi, ma poi Luttazzi incontra Nabokov e il suo romanzo diventa un vero caso di contagio, nello spazio letterario ovviamente, del canone Berlusconi, che vorrebbe demistificare.
Mi spiego. Vero che Omero e l’Ariosto hanno riscritto storie d’altri, che Shakespeare ha attinto dal Bandello e Tito Livio, e l’Alfieri dalla bibbia Plutarco e quant’altro, Calvino il suo ‘Visconte dimezzato’ lo ha preso da Massimo d’Azeglio; ma poi – a partire da Calvino (Italo) – tutti questi autori hanno reinventato la storia presa in prestito, ricostruendo e facendo cifra loro irripetibile il narrato, mentre Luttazzi, circa da pagina 80 del suo narrato, ha trascritto una parafrasi, spesso una traduzione letterale, del libro di Nabokov. Certo con gran tratto di eleganza, soltanto che l’Italia del suo “Lolito” sta su un pianeta altro, rispetto all’Italia presente; alla concreta tragica Italia contemporanea di esodati e puttane, truffatori politici scatenati a torme e torme di disoccupati che ne pagano il prezzo, falsi invalidi sottoprofittatori e capitalisti prenditori; paesaggio intanto tutto occultato nelle nebbie dell’affabulato linguistico legislativo e propagandistico berluschista.
Nulla di tutto questo nella parafrasi luttaziana del paese, che si articola, sopraffatta dall’imprestito nabokoviano, con ritmi da favolosa grottesca, involontariamente arieggiante forzitaliotità. Questo paesaggio altro, rispetto all’Italia contemporanea: puro paesaggio di riporto dal gran romanzo di Nabokov, diventa il tutto nella seconda parte del romanzo.
Qui Lolito si dibatte entro un tramare scolastico mondano sociale torinese del tutto di maniera, mentre in Nabokov, dopo la seduzione c’è la caduta negli inferi del mondo angosciato dell’America della prima società dei consumi: il succedersi disperato e vuoto dei motel intorno all’ossessione erotica del protagonista e il dibattersi crudo della giovane vita che vi è rimasta impigliata. Il Lolito di Luttazzi è solo l’impigliato fantoccio patetico di una parafrasi rococò di un grande romanzo. Una parafrasi che si regge sulla pagina per la bella mano del dotto letterato, ma che nel narrare per imprestito intanto abortisce un romanzo erotico dilatato a dismisura: fino a smarrirne l’oggetto originario: truffatore Silvio. E questo accade per non aver fondato la narrazione sui correnti costumi italioti.
La scrittura satirica si realizza sempre alla maniera stabilita da Aristofane rispetto alla sua Atene, o se vogliamo dirla in canoni nostrani, dal Ruzzante e dal Folengo davanti al veneto del glorioso rinascimento, ma atroce per le sue plebi. Sono pagine che Luttazzi ha di certo meditato, ma per poi singolarmente non tenerne conto. Per quale ragione? Forse è accaduto perché anche il coltissimo uomo di lettere Daniele Luttazzi, episodicamente comico, intellettualmente, a sua stessa insaputa, sta dentro il modello fondativo archetipico illustre dal quale discende anche la falsificazione berlusconiana della società italiana?
Il modello narrativo italiano moderno è disceso dal modello teologico cattolico per la mediazione della distillazione letteraria romantica reazionaria francese dei primi ‘800, ed è: ‘I promessi sposi’, vicenda dallo scaltrito Manzoni dislocata nel ‘600 per poter svolgere la favola buona della chiesa romana madre e scudo dei popoli della penisola. Da e dopo quel punto d’avvio alto, il romanzo italiano si è articolato, entro questo modello, inevitabilmente come affabulazione mirata e alla falsificazione e all’occultamenti della realtà. Un narrare falso del vero cui pochi grandi scrittori si sono sottratti, aut cercando modelli di poetica all’estero: Verga nel realismo francese, Pirandello nella cultura germanica, aut, da Imbriani e Faldella, per Gadda fino a Fenoglio, respingendo la stessa struttura linguistica del codice letterario manzoniano; come si coglie ancora in quel capolavoro dimenticato che è ‘La vita agra’ di Bianciardi, mentre circa negli stessi anni ’70 Piero Chiara scriveva la più dissacrante parodia del magno romanzo manzoniano, usando come categorie destrutturanti l’eros e il comico: le due grandi armi estetiche della lotta contro le falsificazioni del sacro: le sue forme di interdetto sociale, messe in atto da messer Giovanni Boccaccio e diventate, per la volgarizzazione della sua scrittura, il vero patrimonio connotante tutta la tradizione letteraria narrativa europea alta, dalla quale anche “Lolita” esce, frutto straordinario dell’esule Nabokov.
Una decontaminazione intellettuale del paesaggio sociopolitico berlusconiano usando il comico e l’eros: questo mi sarei aspettato, dopo aver letto, caro Marco, la Sua sobria esortazione alle pagine del “‘Lolito”; individuando niente meno che nel joyciano Ulisse uno tra gli archetipi stilistici dell’intrapresa letteraria luttazziana.
Vero che lo stile di “Lolito” arieggia a tratti, nel gioco delle metafore, la pagina joyciana, ma senza che vi suoni l’eco della ragione tragica che generava quella prosa. Nell’epopea dell’Ulisse di Dublino si dispiega la resistenza eroica e disperata del popolo irlandese contro il colonialismo inglese. Un colonialismo che costrinse quel popolo espropriato di tutto ad usare, privato anche della sua originaria lingua, quella degli invasori per levare il proprio grido di rivolta. La democrazia, quando si fa imperialismo, sa essere non meno atroce delle più efferate tirannidi, come sappiamo purtroppo fin dal Tucidide del ‘Dialogo tra gli Ateniesi e i Meli’.
Caro Marco, una delle pagine riuscite del “Lolito” luttazziano è quella del diavolo a Napoli. Riflettendo su quella, dopo la svolta nabokoviana della vicenda: il suo assopirsi, come accaduto anche all’Arbasino di ‘Fratelli d’Italia’, in una pura estetizzazione traslata da un grande modello, il mio forte sospetto è che il vero diavolo della storia italiana contemporanea sia Berlusconi, e che Luttazzi questo punto essenziale non abbia saputo vedere finendo, come tutta l’Italia fine secolo XX, anche quella della denuncia e della protesta, magato: porcificato suo malgrado, dalla Circe di Arcore.
Forse Berlusconi è davvero un diavolo mandato dagli arconti del male a riraccontare quel sogno di paradiso insediatosi e reinsediatosi molte volte nell’immaginario politico italiano; e raccontando il quale, generazioni di politici italiani hanno ingannato in uno sé stessi e il popolo; tutti prigionieri entro quella metafora simbolica che Benedetto Spinoza così espone a chi sa ascoltarlo: “gli uomini, nel tentativo di farsi angeli, si mutano in diavoli”. Uomini che sognando universi angelici si sono fatti diavoli erano ieri Baffino e il banal grande Veltroni, come lo sono oggi i vari Nik orecchino, Ingroia-noia e altri tanti post spotBersani montepasciuti. Essi ripetono soltanto, nella loro favola, quella della lettera di restituzione dell’IMU stilata da quel diavolo che negli ultimi vent’anni ha porcificato gli italiani.
A cercare di contribuire a impedire che continui a tenerci nel suo porcile, malgrado la febbre e l’influenza, malgrado il brutto tempo e la decisione di non votare, io cittadino oscuro di Melo e non della gloriosa Atene, andrò a tracciare, nella scheda elettorale, la mia croce di analfabeta politico sul simbolo del M5S, anche se certo di ripetere con il mio voto in politica l’esito del Lolito di Luttazzi in letteratura.
È il suo gran bel libro mancato, ma che mi ha fatto dire: devi votare, e dunque anche devo dire all’autore: “riprovaci ancora Daniele. Entra per davvero con la tua concreta persona letteraria in questa fossa sociale di kapò politici e servi loro scribacchiati ciarle che è l’Italia contemporanea. Affronta l’intrapresa letteraria come Grillo la politica.
Intrapresa nella quale, in quanto Amico profetico di Daniele, la prego – caro Marco Travaglio – sostenga il Nostro, come generosamente ha sostenuto il Grillo della Superba. Sebbene ben più rari che a Lourdes, anche in letteratura e in politica a volte i miracoli accadono, come stanno a provare la ‘Commedia’: il libro che ha inventato la nostra lingua, e Cavour: l’uomo che ha inventato la nostra nazione. Ma anche l’apparizione nel panorama, da ben prima di Circe-Berlü porcificato, dei quotidiani italiani, de ‘Il fatto’.
Suo Piero Flecchia