Per qual ragione, non potendosi Grillo accordare con Bersani, l’Italia rischia un principato Berlusconi

Con perfetto sincronismo, stampa e TV hanno celebrato l’elezione dei due nuovi presidenti delle Camere come l’epica furbata di Bersani e la prima sconfitta di Grillo. A lume di logica è invece evidente che senza Grillo mai Boldrini e Grasso siederebbero sull’alto scranno; né chi lo avesse raggiunto avrebbe poi annunciato l’autoriduzione dello stipendio: Boldrini e Grasso compresi. Ma è proprio in questa annunziata autoriduzione che si fa evidente la vera ragione dell’impossibilità di Grillo a sostenere un ministero Bersani. Vediamo di chiarire il capitale punto.

La formidabile ascesa leghista nel anni ‘990 ha le stesse ragioni della vertiginosa ascesa M5S oggi: l’eccessivo fiscalismo e la corruzione statale: e burocratica e politica. Un disastro in atto che la propaganda leghista sintetizzò efficacemente nello slogan: “Roma ladrona”.
La Lega polarizzò il nocciolo quei ceti produttivi del nord che pagano i costi della macchina statale: artigiani, libere professioni, piccole e medie imprese. E anche cospicui gruppi di operai, dagli anni ‘980 sempre meno rappresentati da partiti di sinistra impegnati a inseguire la piccola borghesia del parastato e zone sempre più vaste di voto puramente clientelare. Un voto clientelare di sinistra costruito attraverso il controllo di banche, sindacati, comuni, province e regioni; tutti diventati veri uffici di collocamento governati da consorterie rosse, anche impegnate a sostenere una sinergica rete di cooperative e imprese legate politicamente a un ormai sedicente partito di sinistra. Tutto questo si ricapitola esemplarmente nella figura del grande affarista da cento fallimenti, noto come l’Ingegnere: quel Debenedetti che si è arricchito distruggendo la Olivetti e via proseguendo.

Chi abbia una conoscenza solo un po’ attenta circa i processi di dissoluzione di ceti dirigenti democratici in oligarchie a causa di situazioni di grave crisi economica, oligarchie che poi rovesciano sui ceti subalterni con accanita ferocia i costi della recessione economica, non può non vedere in tutta la politica, a partire dagli anni ‘970, del ceto dirigente che ha dato vita al PD, confluendo dall’ex area comunista ed ex democristiana di sinistra, una riconferma storica di questa deriva verso una soluzione oligarchica, a mantenere il potere; logica di ogni ceto dirigente la cui base sociale e il cui orizzonte produttivo si stanno dissolvendo.
Già delineatasi in Italia negli anno ‘970, la frattura tra ceti dirigente dei partiti di sinistra e classe operaia si è accentuata con la caduta del muro di Berlino; dopo il quale il ceto capitalista ha accelerato lo spostamento, già cautamente in corso, delle sue fabbriche verso aree del terzo mondo. Tipico esempio è la FIAT, un gruppo la cui produzione non di Brasile o Polonia, ma di Turchia è oggi superiore a quella in Italia.

La fuga delle imprese, e quindi la caduta di peso del ceto operaio organizzato, ha la sua origine nel sistema statale italiano; la connivenza della politica con la criminalità organizzata: voti di scambio, la corruzione della macchina burocratica tragicamente inefficiente, sistema statale che si reggeva e regge sul saccheggio fiscale del lavoro produttivo, in un paese per questo sempre più in declino. Un ceto politico italiano ormai con capacità e funzioni sempre meno dirigenti e sempre più parassitarie, che al declino della produzione industriale ha ovviato con il saccheggio finanziario, attraverso le banche controllate. Qui ha origine la catastrofe Monte dei Paschi, ma anche qui è la causa seconda: la prima il Vaticano, dell’ascesa del berlusconismo – variante storica imprevedibile del craxismo. Un berlusconismo solidale con i politici della sinistra su un solo punto: il piano di grandi opere pubbliche, tra il ponte sullo stretto e i vari tronconi della TAV; piano per il quale le varie mafie, compresa quella delle cooperative rosse, si trasformano in esattoria della classe politica dell’evo del secondo CAF: quello Berlusconi D’alema; che il PD, davanti alla crescente rivolta del paese, ha cercato e cerca disperatamente di occultare con la foglia di fico Bersani.
Bersani è lo strumento tecnico per salvare il complesso sistema di relazioni economico-politiche parassitarie di tutto il ceto dirigente di sinistra, un cui luminoso esempio è la famiglia Prodi. Non casualmente l’alfa-Prodi si oppose all’ingresso di Grillo nel PD. Un nucleo oligarchico di eccelsa cecità: ha preferito andare incontro alla presente sconfitta elettorale piuttosto di correre il rischio di una riduzione del proprio potere, ergo privilegi, accettando di affrontare la campagna elettorale a guida Renzi.

Il quadro socioeconomico sopra delineato per sommi capi era già la causa, nel anni ‘990, dell’ascesa leghista; che all’analisi politologica rivela due insegnamenti decisivi, non sfuggiti a Grillo, da come si barcamena:

– il pendolo politico del Paese volge, dagli anni ‘980, verso destra, per usura interna della sinistra, dopo la caduta del bolscevismo, come confermato dal successo Berlusconi, ma soprattutto dalla necessità per i ceti dirigenti della sinistra di assumere linguaggi mutuati dal liberalismo classico ottocentesco, abbandonando non solo la cultura marxista leninista originaria, ma perfin quella socialdemocratica

– questa svolta verso destra, iniziata dal craxismo, per la crisi economica del Paese e l’incapacità a darvi soluzioni anche dei ceti dirigenti di sinistra: percepiti come una concausa, tende a radicalizzarsi in movimenti di tipo rivoluzionario di destra, come appunto il leghismo, che senza la maligna configurazione (berlusconismo e mediocre intelligenza strategica dei suoi capi), avrebbe potuto costringere il Paese a riorganizzasi secondo il progetto federalista neocattolico per nulla utopico di Gianfranco Miglio.

L’integrazione consortile romana del leghismo, per la mediazione del berlusconismo, è stato l’evento che ha aperto a Grillo lo spazio politico al Nord, mentre l’incapacità dei gruppi politici del resto della penisola: sempre più cricche affaristiche, ha orientato verso Grillo quei ceti locali ai quali, anche nel sud, sempre più evidente che la festa della cosiddetta seconda Repubblica non era la loro festa. Grillo, con la nuotata attraverso lo stretto di Messina, ha costruito l’immagine propagandistica di un polo democratico conservativo: e della democrazia e degli interessi positivi dei ceti popolari subalterni. Egli è stato capace fin qui di inglobare vasti consensi elettorali intorno a un concetto di lotta radicale alla corruzione che una secolare propaganda aveva costruito nel Paese, tra i sulfurei libelli di Ernesto Rossi e quelli dei vari Stella & C. nell’oggi. Questa secolare polemica contro la burrosaurocrazia Grillo ha saputo fare propria, e senza gli orpelli leghisti di scissionismo e odio anti nazionale. Inchiodato Grillo a questa linea, il PD potrebbe accettare la scomparsa delle Province, dove si addestra la sua nuova classe dirigente; mettere i bilanci delle regioni sotto il controllo delle locali corti dei conti, il cui personale ha formazione, a oggi, prevalentemente extrapartitica?

Di più: può il PD concedere a Grillo la fine della voragine TAV in valle di Susa, per la quale si è impegnato l’oligarca Piero Fassino, venuto da Roma a farsi pagare l’auto blu occupando oligarchicamente la carica di sindaco di Torino? Può il PD soprattutto rinunciare ai vari Enti inutili, a discendere da quella losca istituzione che sono le fondazioni bancarie, dove vanno a riposare in vecchiaia i politici incapaci, ma mai sazi di prebende: ovvero tutti? Exemplificatur: Chiamparino.
Questa la situazione, ogni accordo politico con Bersani avrebbe sui destini del M5S lo stesso effetto nefasti dell’accordo della Lega con Berlusconi. Condannerebbe Grillo, e ben più rapidamente, allo stesso declino che ha segnato Bossi, dopo essersi accordato con Berlusconi. Un Berlusconi con il quale il PD vorrebbe ma non può a sua volta accordarsi per la stessa ragione di sopravvivenza politica che impedisce a Grillo di accordarsi con il PD.

In questa situazione di stallo, il vero rischio per il Paese è che il processo di oligarchicizzazione sia portato avanti dalla sua fazione peggiore: le bande dei beluscones, dall’intramontabile cav-Ballista condotte nella prossima veniente campagna elettorale (tra questo ottobre e il prossimo marzo) a un clamorosa vittoria, purtroppo non così improbabile; soprattutto se si rivotasse a Giugno.

E vedremo in un paio d’anni le giovani generazioni italiche farsi badanti in Asia e in America in una penisola de-industrializzata dominata dalla criminalità organizzata. Intanto operai tedeschi e polacchi e russi potranno venire a fare le vacanze a buon mercato, e i loro capitalisti investire in nuove fabbriche a sfruttare una mano d’opera infine a buon mercato e detassata. E ‘presidenta’ del Paese sarà Marina Berlusconi, dopo che il suo papà avrà commosso la penisola affrontando impavido il carcere e il martirio, ma infine vincitore per plebiscito dell’assurda pretesa della magistratura che la legge sia uguale per tutti.
Se nel ‘400 la repubblica di Firenze, cooperante anche lo pseudoradicalismo savonaroliano, ebbe la sua apoteosi tragica nel principato mediceo, perché quest’Italia dominata da bande di oligarchi pronti a tutto pur di continuare nel loro magna-magna, non dovrebbe, entro lo stesso meccanismo di sopravvivenza degli oligarchi toscani, trovare la venturata arca di salvazione della dinastia Belusconi?
Non è forse caduto il muro di Berlino per consegnare la Russia a Putin e per un niente l’Italia sfuggita alla padella Occhetto, pur se per cadere nella brace del cav-Ballista?

La sola alternativa alla berluschificazione dinastica del nostro paese è che Grillo regga nel suo isolamento, e alle prossime vicine elezioni sorpassi il PD, spolpando voti anche leghisti, fino a creare, da posizione dominante, in ragione del sorpasso elettorale, un Governo. Solo per questa strada al momento si può scorgere in uno sconfitto il cav-Ballista e il perverso processo di oligarchicizzazione del Paese, avviato da Craxi; e nel quale anche i d’alemiani vari sono accorsi a generoso sostegno bicamerale, e del principe e del suo principio motore: legittimare il fare lestofante della nostra oligarchia lungo il solco storico tracciato dall’aratro legislativo del cav-Ballista di Arcore, l’arconte del Bunga Bunga.

Piero Flecchia

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