Nota in margine al ritrovamento dei corpicini di Ciccio e Tore

Il crimine scaturisce da sempre dal confronto tra il mondo sognato dalle singole coscienze e il reale accadere degli eventi. Ma la forma del sogno di ogni coscienza è determinata: prende forma dal contatto con il racconto fantastico eticoreligioso, detto altrimenti: dai miti formativi che ogni società trasferisce nelle singole coscienze nel corso del loro processo di formazione.

Un processo che un tempo era individuato da un vocabolo con forti connotazioni semantiche nell’area del sacro: ‘iniziazione’, caratterizzata da un percorso di illuminazione attraverso la sofferenza. Un percorso che oggi viene accuratamente evitato nella dimensione di sofferenza, dolore: sistematicamente tenuti in ombra e allontanati, fino al rifiuto isterico di contrassegnare l’ultima forma di processo iniziatici di massa oggi agente: l’educazione scolastica, con ogni forma di verifica attraverso gli esami, in nome di un universale diritto alla felicità.

Da questo rifiuto della macchina sociale occidentale di preparare le coscienze dei suoi giovani alla vera natura del mondo: luogo della morte a pagare il prezzo della vita: che dura, si realizza attraverso un grande pasto antropofagico, deriva la sorpresa, – e perfin la fame in quanto svelamento di verità – delle singole coscienze davanti ai fatti della cronaca nera, ultima residua forma del principio di realtà, spazio residuo di apparizione di barbagli di coscienza, nel sistematico processo di falsificazione del reale. Una falsificazione la cui necessità appare così ineludibile da indurre un esperto di relazioni sociali quale il Cavaliere e tingersi d’un nero lucido da scarpe la trapiantata chioma, e un cicalone quale il Veltroni Walter a promettere cento nuovi campus universitari, ovvero luoghi di un eden felice, perché nulla è più estraneo alle nostre università della disciplina dello studio, nella tensione di conquistare una propria identità intellettuale.
Entro questa logica di capelli tinti e campus felici si sono per mesi cercati nei vari campus della felicità errabonda i due poveri morticini di Gravina, tra Romania e Germania. Il caso ha fatto emergere i loro cadaveri mentre il loro padre di trova in galera, accusato del loro omicidio.

Chi scrive spera che proprio dall’esame dei poveri resti di Ciccio e Tore emerga la tragica accidentalità della loro morte, e il genitore naturale ne sia scagionato, ma se egli fosse colpevole, davanti a tanto crimine andrebbe ricordato che esisteva un antecedente diritto criminale che consegnava in mano al pater familias il diritto di vita e di morte sui figli, sulla moglie e nuore; e per quale ragione non è così arduo da determinare.

La pulsione omicida poteva spingere ieri, come spinge oggi, il maschio alfa a reazioni omicide se il mondo non gli corrisponde. Là dove lo Stato non è ancora abbastanza forte da reprimere queste pulsioni attraverso un processo educativo prima che repressivo, la miglior scelta è quella di derubricare certe forme di omicidio, come ancora ieri da noi il delitto d’onore. Soltanto quando lo Stato si regge ed alimenta un processo educativo morale così forte da sviluppare forme di comprensione della debolezza della natura umana e della necessità di darle forma nella visione del destino di dolore che la attende – come realizzato nelle grandi scuole filosofiche o nelle due grandi religioni compassionevoli: il buddismo e il cristianesimo evangelico – ha senso, diventa possibile la condanna di alcune forme di crimine omicida scaturite da forme di relazione sociale sentite come oltraggiose per il prestigio individuale. Solo davanti a una crescita morale le reazioni violente criminali a queste offese possono essere esplicitamente condannate e perseguitate. Ma la nostra società riesce ancora a dare forma morale elevata in modo diffuso alle coscienze dei cittadini, o non piuttosto le costringe a vivere in una perenne situazione di cattivo incontro con la forma dolorosa e drammatica del reale; coscienze del tutto impreparate, ergo portate a continue tensioni parossistiche conflittuali che minacciano di sfociare in reazioni criminali?

Come appunto deve aver vissuto dentro la sua comunità il padre di Ciccio e Tore, in conflitto radicale con la ex moglie, che aveva picchiato, e accusato di avergli rubato i figli, quando questi erano spariti, e che autenticamente terrorizzava la attuale convivente, madre di un’altra sua figlia. Nella morte di Ciccio e Tore, come nelle sofferenze di tanti altri figli, vive soltanto il fallimento universale tra i padri del processo educativo della nostra società al tempo della loro formazione. Un processo educativo che non arriva mai a farsi positivamente formativo, nel percorso scolastico come nei luoghi di lavoro, dove prevalgono il nepotismo e la corruzione. Mancando un vero insegnamento formativo, quando il mondo si mostra nella sua nuda forma scatta la reazione di rifiuto, di negazione violenta, spinta a volte fino alla sua forma più radicale: l’omicidio, mentre poi l’assassino rifiuta di riconoscere la propria colpa, di ricordare il suo crimine, e quando ricorda è per ergersi, come certi mafiosi nei loro processi, a campione della giustizia.

Così procede, passo a passo, il cammino in discesa e spesso perfin felice, per la grazia di leggi come la depenalizzazione dei falsi in bilancio, di una comunità verso la barbarie, il cui esplodere poi imporrà le leggi adeguate alla barbarie, ovvero i codici che consegnano le donne e i figli in mano dei maschi e i maschi subalterni ai maschi dominanti.
A chi vuol vedere questo insegna: questo emerge dal pozzo oscuro di Gravina; dai due poveri corpi mummificati di Ciccio e Tore.

Piero Flecchia

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