foto_padri_vitaleMi ha molto colpito la notizia apparsa su “Repubblica” del 21 aprile 2016. Il titolo “Napoli, tolti i figli al boss e il clan si vendica sparando sulla caserma”. Attilio Bolzoni fa un commento dal titolo “Guai a chi tocca gli eredi dei padrini”.

I fatti: il 19 aprile viene notificato alla moglie di un boss latitante di Secondigliano il decreto di allontanamento temporaneo dei due figli di tre anni uno e di dieci mesi l’altro. Nel quartiere comincia a circolare l’ordine di “pigliare i fucili, amma a pompa”. Il 20 aprile, poco dopo la mezzanotte, un commando composto da 4 giovanissimi con due mitra spara 26 colpi di kalashnikov contro la caserma dei carabinieri.

Già il titolo mi ha fatto pensare: “Tolti i figli al boss…”. Tolti, verbo che si usa anche in altri casi analoghi, benché ovviamente meno cruenti. Mai che venga da dire che i bambini siano stati protetti, che finalmente i figli sono stati liberati dal peso di un padre violento, abbandonico, abusante, mafioso, camorrista. Già, perché i figli sono considerati una proprietà e quale padre sia loro toccato è un destino che non si può cambiare. Lo sanno tutti: i magistrati, i malviventi, i giornalisti… tutti. I figli non si toccano. Per il boss ciò significa che sono una “cosa sua” e fa capire che non si scherza. Si spara.

Mi viene in mente il bel romanzo di Diego Da Silva “Certi bambini” (Einaudi) del 2001 il cui protagonista, Rosario, è un bambino di 11 anni costretto dalla camorra e dalla sua famiglia a uccidere. Il sentiero è tracciato, senza scampo. Guai a desiderare un un’altra vita. Perché i figli, anche quelli dei boss, fanno parte di una famiglia, inaccessibile e intoccabile con le sue regole ferree che vengono “coerentemente” applicate nei casi dovuti. Faide, vendette dirette o trasversali, omicidi, prove di coraggio e tanto sangue che ricade sui figli innocenti, non importa, sempre figli sono. E la famiglia ne può fare ciò che vuole. Lo sapeva bene il povero Peppino Impastato, di cui ci siamo già occupati, che fu ucciso anche perché la parte mafiosa della sua famiglia lui l’aveva “rinnegata” e aveva lottato contro di essa e contro tutte le famiglie di mafiosi.

Attilio Bolzoni, nel suo commento, racconta anche la tragica umanità di questi killer, felici la sera di tornare a casa, magari dopo aver ammazzato uomini, donne e sciolto nell’acido bambini, per provare la dolcezza di “farti ballare sopra la pancia dai bambini…”. I boss accarezzano la testolina dei propri figli, ma schiacciano senza pietà il tritolo che fa salare in aria interi palazzi. Ma questo è “lavoro”, quella è la “famiglia”.

Ma è in linea con una cultura generale che fatica a pensare la tutela dei minori come qualcosa che davvero viene prima del terribile legame di sangue. La camorra, la mafia in fondo sono in linea con una cultura che considera i figli una proprietà. Ma si è padri e si è figli se lo si riconosce, si è genitori se si assolvono certe funzioni e si garantiscono certi diritti ai figli e, finché si è minorenni, per quanto possibile, ci deve essere qualcuno che si prende cura della tutela dei bambini, se i genitori non sono in grado di farlo. Perché i bambini sono persone che hanno diritto ad un futuro, prima di essere solo “figli”. E i padri, sono adulti con delle responsabilità e dei doveri. Non sono i proprietari di altre persone.

Ma è dura da far passare. Anche i titoli dei giornali se lo devono ricordare e cambiare il loro linguaggio. Perché la cultura parte dal basso. Intanto si spara perché “la robba non si tocca”. Chiudo con la poesia di Khalil Gibran, anche se non se la meritano:


I vostri figli

I vostri figli non sono figli vostri… sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire
che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi,
perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito
e vi tiene tesi con tutto il suoi vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere,
poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.

Stefano Vitale

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