Una nota su politica e poesia nell’Europa delle democrazie (lib-lab & prolet)

Trascorsi cinquant’anni dall’attribuzione del premio Nobel l’Accademia di Svezia apre gli archivi, rendendo di pubblico dominio i verbali dei dibattiti dei commissari, o giurati, che ne determinarono le assegnazioni.
Dai verbali dei dibattiti per il lauro letterario del 1958 apprendiamo che il nostro Alberto Moravia fu proprio a un nulla dall’ambito riconoscimento.
Trascelta tra oltre cento candidati, la terna del 1958 era: il Nostro, Karen Blixsen e Boris Pasternak che, come Moravia, non per la prima volta entrava nell’autorevole in lizza; ma sull’opera di Pasternak pesava negativamente il giudizio, alla fine degli anni ‘940, di un insigne filologo svedese: l’aveva definita di ardua comprensione, ergo di limitata circolazione in ristretti circoli artistici, mentre la scrittura di Moravia, le cui opere più significative erano state tradotte anche in svedese, riscuoteva vasti e crescenti consensi. E invece a sorpresa vinse il meno accreditato dei tre candidati. E malgrado ‘Il dottor Zivago’, il romanzo epico che doveva dare risonanza mondiale all’opera di Pasternak, fosse stato edito solo pochi mesi prima dell’assegnazione del premio; e neanche in lingua originale, ma nella traduzione italiana.

L’editore Feltrinelli aveva mandato in libreria il nuovo romanzo il 2 settembre 1957, data concordata con l’autore e l’editore russo del dottor Zivago. Il libro avrebbe dovuto essere nelle librerie di tutte le Russie circa negli stessi giorni di quelle italiane, così facendo di Feltrinelli il detentore dei diritti editoriali dello Zivago in tutto l’Occidente.
L’unione degli scrittori russi aveva però condannato il romanzo, e quindi l’Autore come antisocialista, vietandone la pubblicazione, che i bolscevichi cercarono di impedire anche in Italia, con forti pressioni sull’Editore e dirette e attraverso il PCI. Ma quello che era in letteratura esecrabile nelle bolscevichie diventava altamente lodevole nelle lib-labdemocrazie.
Ed ecco infatti il prestigioso commissario del Nobel Anders Ósterling leggere nella traduzione italiana non ancora edita ‘Il dottor Zivago’, e annunciare al consesso accademico svedese che quel romanzo faceva di Pasternak uno dei grandi autori del secolo. La tesi fu confermata a tamburo battente, in sede di dibattito per l’assegnazione del premio, dal romanziere Harry Martinson, per il quale ‘Il dottor Zivago’ era la maggiore opera letteraria russa del XX secolo.

Oggi, ad apertura di archivi, tanta sollecitudine appare sospetta alla cultura italiana, che intorno al mancato Nobel al nostro Moravia sembra avviare un sodo capitolo di fantapolitica letteraria:
“Pur non essendo un’opera anticomunista ‘Il dottor Zivago’ era diventato l’oggetto di una violenta polemica e di una dura condanna da parte della critica del regime (bolscevico), culminata nell’esclusione di Pasternak dall’Unione degli Scrittori… L’Accademia di Svezia, lavorata ai fianchi dalla CIA, che era arrivata a definire Moravia ‘filocomunista (ma tutto ciò viene ovviamente negato dagli accademici viventi)…
F.S. Alonzo: Pasternak soffiò il premio Nobel a Moravia grazie alla CIA – in La Stampa del 9.1.c.a.”

Credere che la CIA si accorgesse di un romanzo russo ancora inedito quando incominciò tra i commissari svedesi, nel 1957, il dibattito per l’assegnazione del Nobel letterario per l’anno 1958, è davvero credere che i bambini nascano sotto i cavoli, o che Moggi regalasse agli arbitri schede telefoniche svizzere per aiutare l’economia elvetica. Un servizio segreto ha avuto comunque un ruolo decisivo nell’assegnazione del Nobel a Pasternak, ergo a farlo mancare a Moravia, non però la CIA.

Sosteneva il premio Nobel Luigi Pirandello che la realtà supera sempre di gran lunga la fantasia; e il Nobel a Pasternak sembra su misura per confermare la tesi del grande drammaturgo. Infatti, determinanti per il nobel a Pasternak, furono non i servizi segreti USA, ma bolscevichi, e anche loro malgrado.
Lo si deduce, fuor d’ogni dubbio, soltanto che si abbia l’umiltà di percorrere le pagine di un libro singolare, – tra i più bei libri italiani dell’ultimo decennio del secolo scorso – la biografia di Giangiacomo Feltrinelli, scritta dal figlio Carlo: ‘Senior service’, (ed. Feltrinelli, pp. 430, euro 8,50), un esercizio elegante e toccante di pietas filiale e a un tempo una acuta sezione della società italiana della seconda metà del secolo scorso attraverso la lente focale di uno dei grandi protagonisti della modernizzazione del Paese; perché tale fu, pur nella sua tragica parabola, Giangiacomo Feltrinelli, il magnate a diciotto anni arruolatosi volontario nel ricostruito esercito italiano per combattere il nazifascismo.

La nota alta dell’avventura feltrinelliana, documentatamene ricostruita dal figlio, è la pubblicazione del capolavoro di Pasternak, all’origine un progetto concordato tra l’editore italiano e l’autore russo. Ma Pasternak non poteva aver da solo individuato, nel suo isolamento, un piccolo editore italiano cui affidare l’opus maior, progettata per anni. È evidente che la Feltrinelli ‘Casa Editrice’, era stata imposta al grande poeta; il solo sopravvissuto allo stalinismo degli scrittori della straordinaria fioritura di inizi secolo. Psternak era sopravvissuto per una davvero miracolosa capacità di mimetismo artistico: sorvegliando la produzione e trasformandosi in traduttore di classici occidentali.
Egli era stato sempre comunque in contatto con la scrittura del dissenso: decisivo il suo ruolo per l’affermazione del grande e tragico autore dei racconti della Kolima. Inviso agli scrittori di regime, la sua opera poteva raggiungere l’Occidente soltanto per la mediazione e il consenso del KGB: la struttura centrale della nomenklatura bolscevica, anche il luogo d’origine di tutti gli attuali oligarchi e politici di punta del regime putiniano.
Il KGB di fine anni ‘950 puntava alla conquista di tutta l’Europa e l’operazione ‘dottor Zivago’ va letta in questa prospettiva.

Feltrinelli aveva investito, tra fine anni ‘940 e ‘950 molti milioni nella propria casa editrice, la cui linea editoriale, entro la costruzione di una cultura italiana filo bolscevica, era complementare, e un tempo calcolatamente eretica, rispetto alla linea Einaudi. Dare alla Feltrinelli un testo letterario di prevedibile successo era un modo per sostenerla economicamente e soprattutto rafforzarne l’immagine nel paesaggio letterario europeo; ergo, era dare forza alla linea culturale filo bolscevica. Questo in sede di progetto politico editoriale, ma all’astrazione del progetto politico si contrappongono poi nel concreto del mondo gli interessi costituiti, la ricerca contingente del prestigio personale, dell’autoaffermazione.
Proprio riflettendo su questa dimensione anche del mondo letterario, il suo farsi evento, Andrea Caffi, un profondo pensatore libertario, deduceva: nulla sarebbe tanto essenziale per la creazione letteraria in un mondo socialista che affidare agli scrittori, riuniti in cooperative, le case editrici. I peggiori inevitabilmente prevarrebbero e imporrebbero opere del loro livello. E proprio questo era accaduto nel mondo bolscevico. Questo nei fatti era lo zdanovismo, il realismo socialista, i cui adepti, quando ‘Il dottor Zivago’ era già in bozze nella lingua madre e pronto per le libreria di tutte le Russie, scatenarono la più selvaggia canea, arrivando fino a convincere l’allora segretario del partito Kruscev che un tal romanzo reazionario non si poteva tollerare.

Dalle pagine di ‘Senior service’ deduciamo che Pasternak aveva già previsto quanto poi sarebbe accaduto. A parare il colpo e garantirsi comunque l’uscita in Occidente del suo capolavoro, in una lettera all’editore Feltrinelli aveva affermato la propria irrevocabile decisione di pubblicare comunque la versione italiana del dottor Zivago , affidandone l’edizione e la gestione dei diritti di sfruttamento dell’opera per tutto l’Occidente a Giagiacomo: che soprattutto doveva in ogni caso tenere in nessun conto eventuali richieste dello stesso Pasternak di sospendere l’edizione italiana. Nella stessa meditata lettera, Pasternak informava il suo editore di considerare vera espressione della propria volontà autentica soltanto le lettere di suo pugno scritte in francese. E infatti la inevitabile revoca della pubblicazione di pugno di Pasternak giunse a Giangiacomo, ma in tedesco: che l’editore e l’autore frequentavano come altra lingua madre. L’editore non ne tenne conto, e malgrado il pesante intervento del PCI, come concordato, il 2 settembre 1957 l’edizione italiana de ‘Il dottor Zivago’ era in tutte le librerie della penisola.

Sempre in ‘Senior Service’ c’è un gustoso dettaglio che mostra quanto la vita possa muoversi per percorsi di ustionante involontaria ironia. Feltrinelli chiede a Moravia di rivedere il testo tradotto dello Zivago, ricevendone un rifiuto, per cui l’incombenza cadrà sul linguisticamente molto più raffinato Giorgio Bassani; che avrebbe poi portato all’editore il manoscritto dell’altro grande successo editoriale feltrinelliano ‘Il Gattopardo’. Un manoscritto, proprio come prefigurato dalla riflessione di Caffi, rifiutato tenacemente dai letterati nostrani del realismo socialista, che ne sconsigliarono la pubblicazione tanto a Einaudi che Mondadori e Rizzoli.

Alla banda del realismo socialista nostrano si deve anche l’esilio, loro viventi, dai circuiti editoriali dei tre maggiori autori italiani della seconda metà del XX secolo: Lampedusa, Fenoglio – recuperato da Pampaloni – e Morselli. Nel fatto è la filigrana di quella democrazia sotto tutela, andare oltre i cui limiti sarà la tenace tensione che porterà Giagiacomo Feltrinelli al suo tragico appuntamento con il traliccio di Segrate, anche qui per un crudo, sarcastico gioco dei demoni del suo tempo.

Per la vicenda editoriale dello Zivago, Giagiacomo Feltrinelli aveva rotto con il PCI avvicinandosi all’area riformista socialista, convinto che il disegno rivoluzionario fosse in occidente nel presente impossibile. Riformista tattico, dopo i clamorosi successi editoriali dei due grandi romanzi di Pasternak e Lampedusa, Feltrinelli punta a un terzo successo planetario: l’autobiografia di Fidel Castro. Ma avvicinando il rivoluzionario cubano, misurandone la statura e ricostruendone la vicenda, Feltrinelli ritorna al progetto rivoluzionario adolescenziale, per le ragioni che espone in toccanti lettere al figlio bambino: “… tuo padre vuole che tu viva in un mondo migliore. Per questo combatte ….”
Sono lettere percorse dal presagio della morte perché, come dirà Secchia alla moglie di Feltrinelli: “Il mondo può perfin celebrare un miliardario comunista, ma non tollerare che dia armi alla sedizione.”
Una profonda, commossa pietà percorre la scrittura di ‘Senior service’, strazio di un figlio che ricostruisce il volo verso la morte del padre, volo verso il sole di un novello Icaro epigone nell’oggi del mito del volo verso un sognato sole di libertà. ‘Senior Service’ è un documento davvero unico, una fonte per molte vicende italiane, come appunto anche quella del premio Nobel perduto dal nostro Moravia, ma non il solo scrittore della lingua del si che abbia mancato il Nobel.

Negli anni ‘924 – 29 entrò ripetutamente nella terna dei papabili il grande poligrafo Guglielmo Ferrero, nella prima metà del XX secolo l’autore italiano, con D’Annunzio, più tradotto e letto all’estero; ma si impose il dictat del governo italiano.
Come Pasternak dal bolscevismo, Ferrero, per alcuni anni: dal delitto Matteotti al 1930, era stato sequestrato dal fascismo nel suo podere in Toscana. Solo davanti alle proteste della cultura internazionale Mussolini concesse nel 1930 a Ferrero di andare a Ginevra per una conferenza; e Ferrero rimane in Svizzera, diventando, dal 1930, un autore di lingua francese. Caduto il fascismo, però in Italia continuerà la fascista damnatio memoriae sull’opera dell’esule, in ragione di un sua irriducibile eterogeneità tanto al marxismo che al pensiero d’area cristiana. Soltanto in un convegno del 1957, ma in Francia, il Pasternak nostrano della filosofia politica Norberto Bobbio, oserà ricordarne l’opera.
Insomma, la convinzione dell’uomo morto sul traliccio di Segrate che la democrazia in Italia fosse sotto tutela, non era solo paranoia. Ne circola molta di più nella testa di chi pensa che l’Accademia di Svezia possa fare uno sgarbo a un grande Stato finitimo premiando un autore dissenziente.

Pasternak ebbe il Nobel non per un dispetto al bolscevismo, ma perché un’Accademia prestigiosa, come appunto si pensa ed è quella di Svezia, sa che il suo prestigio dipende dai premiati e non viceversa, per cui tra un Moravia e un Pasternak non può esserci dubbio nella scelta, ma spesso accade che anche l’Accademia svedese debba spesso ignorare un grande scrittore per ragioni politiche. Allora però, costretta a rimozioni, ma custode della dignità del premio, lo nobilita egualmente con scelte come quella, alternativa a Ferrero, di Luigi Pirandello: al lauro del Nobel già accademico d’Italia, autore fin là se non di regime, gradito al fascismo; che decise di usare, dopo il Nobel, Pirandello come propagandista, mandandolo per un giro di conferenze nei quattro continenti. Ma invece di parlare di fascio & duce, Pirandello parlava d’Italia e libertà. E in USA fece di peggio: parlò con e degli antifascisti, esortando il regime ad abbandonare la dittatura.

Mussolina non gradì e iniziò una sottile opera di diffamazione del drammaturgo, accusato tra l’altro, ma per invidie accademiche, di aver insidiato un’allieva, facendone l’unico professore universitario costretto alle dimissioni.
Una solitaria carrozza funebre dei poveri, in un mattino romano, di buon ora, accompagnò il feretro del premio Nobel Luigi Pirandello al campo santo, dove sarebbe stato cremato.
Il destino di Pirandello è emblematico di come da sempre il potere politico frequenti l’universo della creatività letteraria; oggi, nel mondo della scienza, spazio di ri-creazione, rinnovamento dell’universo simbolico.
Ed è esattamente quanto nessun potere politico può accettare, in quanto ogni potere politico si fonda, anche quando predica la rivoluzione, sulla conservazione di una tradizione. Ecco che cosa oppone strutturalmente letteratura e politica, poesia e potere, le cui verità e logiche profonde stanno sui due versanti opposti del fiume umanità.

Il caso Pasternak, il caso Ferrero, il caso Pirandello, ma anche il caso Feltrinelli sono frammenti, schegge, capitoli di questo scontro, immemorabile: originario. Infatti già Augusto, sulle orme di Cicerone, lavorava alla damnatio memoria di Lucrezio, brevi i momenti di armonia tra politica e poesia ed episodici, tra la Atene di Eschilo – ma già con Euripide l’incanto si era rotto – e la Londra di Sakespehare e la vergine Elisabetta. Uno scontro, quello tra poesia e politica, che va oltre i disegni e le volontà individuali; nasce da una opposizione tra disciplina e creatività nei momenti migliori, ma di norma tra entropia burocratica e tumulti per la renovatio mundi dello spirito, ebbro e anelo di libertà.

Piero Flecchia

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