SEPARARSI NON FA MALE

I dati sono notevoli: 140.746 ingressi, 2,25 milioni di visualizzazioni su Twitter, oltre 138.000 like su Facebook ed oltre 380.000 le persone raggiunte dalle dirette; il 78% del pubblico si è detto molto soddisfatto della visita, tantissimi libri venduti, tanta attenzione sui giornali.

Insomma Il Salone del Libro di Torino è stato un successo e non solo locale come sostenevano i fuoriusciti: quasi il 30% dei visitatori veniva da fuori regione (29% dalla Lombardia, il 10% dalla Liguria, l’11% dal Lazio e così via). Un successo che indubbiamente è il frutto di tanti ingredienti, compresa la curiosità di vedere come andava dopo la separazione da alcuni importanti editori.

Già perché secondo me le cose sono andate bene perché ci si è alleggeriti da un peso. I gruppi legati a Mondadori, che avevano capitanato la scissione milanese, erano un peso. Torino si è sentita più leggera, libera di esprimersi lontano dai giochi di potere dei grandi editori. Perché anche i grandi editori presenti a Torino erano più umani, meno invadenti. C’era più spazio, meno conflitti, tutti dovevano fare qualcosa per far andare bene le cose e nessuno pretendeva di esser più importante di altri.

I dibattiti, le presentazioni sono state tantissime, come sempre, ma il clima era più festoso, più arioso. Non c’era quell’atmosfera cupa da librificio, da fabbrica, da mercato a tutti i costi. E i visitatori se ne sono resi conto. Le code c’erano, il rumore anche ma tutto pareva più vivibile. E ci sono stati tanti ingressi anche l’ultimo giorno, di solito più deserto.

Tutti hanno venduto più dello scorso anno: oltre il 30% in più di media, con la punta del 50% in più registrata da Newton Compton come ci racconta Emanuela Minucci su “La Stampa” del 23 maggio 2017. Ma tutti, anche i piccoli editori, ne hanno tratto vantaggi: un salone un po’ più piccolo e meno dispersivo, un numero di eventi sostenibile ha spinto il pubblico verso i banchi meno noti aprendo mondi a volte sconosciuti e di qualità.
Ho visto tanti libri di poesia, tanti bambini (c’era il collaudato Spazio nel Quinto padiglione), meno folklore e meno corse nevrotiche. Tutti gli espositori erano stanchi, ma felici dei contatti con la gente.

Molto importante anche il Salone Off (che c’è da anni), ma quest’anno ha valorizzato autori, siti, esperienze che hanno trainato il Salone principale e non venivano proposte come ripiego, contentino. In tal senso il lavoro del Direttore Nicola Lagioia è stato importante. Faceva un po’ tristezza vedere il “Punto Einaudi” frutto della “umiliante trattativa con la capogruppo Mondadori”: la casa editrice torinese per antonomasia ridotta ad un punto…

La mia idea è che le cose sono andate bene perché ci si è separati: come accade nelle coppie un po’ scoppiate, prendersi una boccata d’aria è servita a far tirar fuori le qualità di ciascuno. A Milano è andata male, certo. Ma il Salone è nato qui a Torino e con la separazione anche Torino ha dovuto cambiare qualcosa nella testa e nelle gambe. Anche Torino aveva bisogno di una scossa e di una mossa: in passato c’è chi aveva lavorato bene, ma anche sulla dirigenza torinese ormai c’erano troppe ombre.

Ma non è stato merito della politica: Appendino non c’entra niente anche se certamente ne trarrà dei vantaggi (lei era stata brava subito a trovare il modo di rinnovare l’affitto della sede del Salone abbassando il canone). Anzi, credo che le cose siano andate bene perché la politica si è tenuta su un basso profilo, non sapendo bene come sarebbe andata a finire.

Ora dobbiamo augurarci che restino un passo indietro e che sia recuperato davvero “lo spirito degli inizi” con quell’entusiasmo che tiene lontano i traffici, i furbetti , gli approfittatori. E lasci spazio ai lettori, agli appassionati, alla cultura.
Una cosa per finire: finalmente tutti facevano gli “sconti fiera” sul prezzo del libro. Separarsi non fa male, ti obbliga a cambiare.

S. V.

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