Una riflessione su forza & diritto in margine a una notizia di ‘Striscia’ e alla connessa morte di Giovanna Reggiani

Un servizio del telegiornale satirico ‘Striscia la notizia’ ha di recente mostrato, accatastati in uno spazio del demanio militare in Campania, oltre cinquemila prefabbricati, ognuno di tre stanze e servizi, da oltre dieci anni messi là e abbandonati, in attesa di una eventuale catastrofe nazionale: un terremoto, un’esplosione vulcanica, un’inondazione, ma intanto una catastrofe nazionale sta accadendo; e però il nostro cristiano paese, in omaggio al detto evangelico: ‘Non sappia la tua mano sinistra quello che fa la destra’, forse perché il demanio militare e la protezione civile sono la sinistra e il ministero degli interni la destra, del disastro immigrazione, o meglio, del suo volto drammatico, non sono riusciti a darsene reciprocamente conto. E così, mentre nei paesi europei dove il cristianesimo evangelico non è così rigorosamente praticato, i prefabbricati servono a costruire centri di prima accoglienza degli immigrati, da noi sono abbandonati al niente, invece di essere, come negli altri paesi d’Europa, utilizzati per costruire centri di prima accoglienza dove controllare, indirizzare, nonché respingere i singoli immigrati, se non hanno i requisiti per essere accolti.

In Olanda nessun immigrato che non sia transitato e sia stato inquadrato in un centro di prima accoglienza può sostare. Da noi invece si preferisce lasciar degradare i prefabbricati, anziché usarli a vantaggio di tutto il paese, che ha bisogno di immigrati: e per curare gli anziani, e negli ospedali, dove gli italiani rifiutano i livelli subalterni, e nelle fabbriche. Perché da noi si rifiuta l’idea di centri di prima accoglienza, equiparati da certa stampa a protolager?

Un mercato è fatto di regole, a impedire la prevaricazione e l’usurpazione del più forte, e creare centri di accoglienza per gli immigrati significherebbe introdurre, anche se alle periferie, un indizio di regolamentazione in quella vera jungla che è oggi l’edilizia, dove vige, protetta dal ceto politico, la più sfrenata speculazione, come descrivono le varie bande dei furbetti del quartierino, – che sono almeno tre cinque per provincia italiana: gente che saccheggia il paese impunemente e legalmente, perché protetta dalla legge. Noi viviamo in uno stato che ha abdicato a garantire, tra gli altri, il diritto fondamentale del cittadino alla casa Un tale stato ovviamente non può neanche pensare per i nostri immigrati la soluzione olandese, che è parte integrante di un programma per la casa, dove al centro sta la confisca dei suoli edificabili, come d’altra parte a Londra. Una confisca dei suoli edificabili che è l’atto fondamentale di ogni vero piano per la casa, ma che da noi neanche Rifondazione Comunista osa pensare, e così da Roma, da Firenze, da Milano gli stessi cittadini italiani sono espulsi verso quartieri dormitorio con prezzi da neurodeliri, da dove poi il meccanismo dell’inflazione, che nella speculazione edilizia ha in Italia il suo luogo propulsivo.

Mentre gli italiani si arrangiano tra coabitazioni, perifericizzazione, e quel residuo di case popolari d’antan, che possono fare gli immigrati, arrivati in cerca di un lavoro la cui mercede non è spesso pari all’affitto di un monolocale?

Mancando i centri di accoglienza gli immigrati si sono inventati delle bidonvilles in luoghi invisibili alle periferie delle grandi città, tollerate per la positiva ragione che delle loro braccia il paese ha bisogno, ma dove, come in tutte le bidonvilles, con una maggioranza di persone oneste, si è rapidamente aggregato anche il crimine, che tende inevitabilmente a dilagare e reclutare gli elementi più deboli, o più intraprendenti, di quell’altra immigrazione, venuta per lavorare.

E l’esempio di questa convivenza, dove il peggio vince inevitabilmente sul meglio, è nella dinamica del delitto Reggiani, dove l’assassino della donna è stato arrestato soltanto perché una conterranea dell’omicida, con la forza della disperazione si è sdraiata sull’asfalto a fermare un bus per gridare il crimine che stava accadendo. Questa donna campa lavorando a ore presso famiglie romane che, quasi certamente, non le pagano i contributi per sanità e pensione, ma che se versati, servirebbero, tra l’altro, a riempire la voragine delle casse del fondo pensione dei dirigenti, ma anche degli ex deputati, mentre chi versa quasi certamente non recupererà quei contributi. Così va il mondo, dove dai tempi dei tempi i poveri mantengono i ricchi, ma in Italia in una particolarmente becera e feroce innocenza triviale. E nulla lo descrive quanto il disinteresse verso le condizioni di soggiorno degli immigrati, ma fermamente inquadrati entro una serie di norme legislative mirate a ricavarne forza lavoro da sfruttare per il paese, ma anche combustibile per alimentare quella componente xenofoba che è il fondamento di ogni potere autoritario. E infatti, mentre dalla nostra informazione è del tutto scomparsa l’immigrata che ha denunciato l’assassino della Reggiani, ne ha permesso l’arresto: ha impedito che il crimine rimanesse impunito, intorno al crimine Reggiani la politica, attraverso l’informazione, ha scatenato il più ripugnante e osceno sabba di furore retorico e televisivo e legislativo, a eludere che Giovanna Reggiani è morta perché i prefabbricati necessari a Roma, per scelta politica, imputridiscono in Campania, ma la mascherata mediatico legislativa non modifica di una virgola il problema, perché le nuove leggi non hanno smosso nessuna gru, nessun camion verso quel campo di prefabbricati in Campania a prelevarli per allocarli in spazi dove far sorgere centri di accoglienza, non soltanto segno di vita civile a vantaggio degli sventurati mossi da una scelta sbagliata ad immigrare in questo povero infelice paese, ma prima ancora e soprattutto centri di accoglienza capaci di avvantaggiare i cittadini italiani, garantendoli da rapinatori, ladri, spacciatori e quant’altro, attraverso i centri di accoglienza immediatamente isolati ed emarginati. In compenso però le ruspe si sono mosse per distruggere un misero accampamento sulla sponda del Tevere, in un’azione ipocrita e inutile come le disposizioni di espulsione varate, inutili e grottesche in quanto fondate su una legge senza dimensione sociale strutturante, che non sia la repressione poliziesca. Con quali conseguenze sul lungo periodo?

Per comprenderlo ripartiamo dal cadavere di Giovanna Reggiani, intorno al quale stanno tre streghe: la rapina, crimine economico, lo stupro e l’omicidio, crimini contro la persona. Ognuno di questi crimini, già da solo, in ogni paese d’Europa è più che sufficiente a far condannare tra oltre dieci anni di galera e l’ergastolo il reo; non in Italia, dove l’assassino stupratore rapinatore di Giovanna Reggiani potremmo ritrovarlo tra qualche sette otto anni a ridelinquere per le strade della penisola. Qui sta il punto, dal quale discende che se il caso ha concatenato la vittima e l’assassino, ma non casuale è il fatto in sé. Giovanna Reggiani, è solo una delle tante donne morte ammazzate in Italia perché donne: ne muoiono come Giovanna Reggiani da una a tre al giorno, e alcune di queste morti non vanno oltre la cronaca locale, in quanto non si può concatenare quegli omicidi nell’immediata evidenza del caso Reggiani.

L’omicidio Reggiani ha debordato, fino a diventare copertura e pretesto per del puro razzismo in quanto lo si è letto come un crimine effetto dell’immigrazione di una forza lavoro eccedente: che non ha nel nostro paese uno spazio dove collocarsi, da dove l’inevitabile deriva verso il crimine di chi lavoro non trova. Da qui la richiesta demagogica, fomentata da alcuni gruppi politici, di un controllo su questa forza lavoro eccedente, da arrestare alle frontiere, o da espellere, se proviene da paesi della Comunità. La questione non sta assolutamente in questi termini: c’è una frazione di immigrati che muove verso l’Italia già entro un progetto criminale, che può portare avanti nel nostro paese in quanto trova poi qui due elementi decisivi per il delinquere: un mercato aborigeno del crimine e uno spazio culturale che lo favorisce. Si pensi alla tratta delle prostitute dall’est e dall’Africa nera, allo spaccio della droga, al commercio di merci falsificate, tutti crimini che trovano nella mafia, nella camorra, dei percorsi privilegianti. In ragione di questa subcultura aborigena criminale e di un sistema giudiziario allo sbando per il marasma legislativo creato dalla politica, l’emigrazione delinquente tende a privilegiare l’Italia. E la prova del nove è il fatto certo e incontrovertibile che l’assassino stupratore rapinatore di Giovanna Reggiani tra sette, otto anni come minimo uscirà in licenza premio dal carcere, come massimo avrà un lavoro in una cooperativa sociale e andrà al più a dormire in carcere. I delinquenti degli altri paesi sanno che in Italia, tra codice e indulti, tra Gozzini e Cirielli, si rischia di meno, e anche i criminali tendono a minimizzare il rischio d’impresa.

Se il delitto Reggiani non ha mosso i prefabbricati rimasti a rottamare in Campania, ha però ribadito che, come ai tempi del Manzoni, nel nostro paese uno spagnolesco potere politico produce sempre altre e nuove grida di assoluta inefficacia. E l’esempio di massima evidenza di questa inefficacia legislativa, e dei suoi disastri, è davanti agli occhi di tutto il paese. La più spagnolesca delle tante grida emanate dal nostro parlamento è la legge elettorale, efficacissima dal punto di vista del potere del singolo politico, ma assolutamente dannosa: criminalmente dannosa nella prospettiva degli interessi generali del paese. Una legge che soprattutto una cosa denuncia: la radicale assenza nel ceto politico del senso di appartenenza a una identità nazionale comune, perché in nessun paese che questa identità possegga un politico che si dichiarasse padre di una tale legge avrebbe più in politica un avvenire. Non così in Italia, ma dove Calderoli, lui lumbard, ci sta di mala voglia, e quindi deciso a fare il massimo danno, ovviamente non agli altri politici, solo a quell’entità per lui astratta e inutile che è lo stato italiano. Insomma, nell’azione legislativa, se analizzata attentamente, si scoprirebbe il modo organizzato più efficace per campare in modo truffaldino di una parte del popolo italiano sull’altra: farla franca e arricchire attraverso l’appropriazione di frazioni del monte tasse. Le varie risse intorno alla finanziaria sono l’annuale descrizione di questa lotta tra bande organizzate per appropriarsi del proprio minimo vitale dal monte tasse: un minimo vitale che va molto oltre una quotidiana fiorentina. Ma questo inferno legislativo ha un connesso ulteriore effetto perverso.

In un paese dove la legge è fatta per interessi di consorterie, inevitabile sorge il problema dell’interpretazione: ecco anche perché ci sono in Italia più avvocati che in tutta Europa. Avvocati impiegati a garantire il crimine, attraverso l’uso di strumenti legali, al centro della loro strategia processuale ormai non più ottenere per il cliente una assoluzione o in via subordinata la minore pena, ma la prescrizione, ovvero l’impunità del crimine, dove si è consumato. Una prescrizione generalizzata, resa disponibile al 95% dei processi in ragione della loro esasperante lentezza: nessun processo, se non c’è di mezzo un omicidio, va a dibattimento prima di tre anni, e si trascina per almeno altri tre anche senza un’azione dilatoria degli avvocati, mentre per legge oltre l’80% dei reati si prescrive in cinque anni, da dove circa il 95% dei processi cade in prescrizione, ma non per caso. Il trionfo della prescrizione nasce dall’azione legislativa dei politici, mirata all’origine a estinguere, attraverso la prescrizione, i propri crimini, crimini da colletti bianchi, e il risultato finale è che i criminali rei confessi della più grande truffa finanziaria di tutti i tempi: la truffa Parmalat, resteranno impuniti. Ma questo il quadro, la nostra legislazione ipertrofica e ipergarantista oggi serve non solo a coprire i crimini dei colletti bianchi (Parmalat et similia), serve anche al crimine più accorto nella scelta dei suoi mercati e strategie. Oggi l’Italia, in ragione del suo sistema politico-giudiziario è la Palestina del crimine, la terra promessa dei criminali. Ovviamente anche tra i criminali c’è chi non sa stare a tavola, da dove le tante povere Giovanna Reggiani: che hanno nome anche Borsellino, Livatino ecc ecc, la cui morte ogni volta serve per un ulteriore peggioramento legislativo per opportunistica iniziativa dei nostri politici da grida.

Una riflessione sulla morte della povera Giovanna Reggiani non deve quindi auspicare in primis una legge per espellere chi delinque e non è italiano, perché quegli espulsi qui torneranno, mentre i migranti decisi a integrarsi attraverso il lavoro e un vivere onesto lasceranno l’Italia per più civili nazioni. Il problema preliminare non è dunque la cacciata degli immigrati, ma di capire come l’Italia sia giunta a questa sventurata condizione di mecca del crimine, che tale resterà fin quando si continueranno a fare leggi ad personam, come appunto la legge uscita dal cadavere di Giovanna Reggiani, mentre i prefabbricati continuano a marcire inutilizzati. E continueranno a marcire inutilizzati fin quando il nostro resterà il paese delle leggi ad personam, come tutta la serie vergognosa di leggi ad personam a vantaggio della chiesa, forte delle quali la macchina vaticana continua a chiedere di più, sentendosi perfin legittimata, in quanto sempre più spesso svolge azione di supplenza nel vuoto dell’azione statale, sopraffatta da una logica del particolare, che ne sta minando la stessa esistenza della nazione Italia, ma per quale ragione?
Che cosa corrode, mina mortalmente lo stato italiano?

Per ragioni storiche è sostanzialmente mancata, fino a oggi, una identificazione maggioritaria dei cittadini italiani nella loro istituzione stato. Essi, in ragione di questo senso radicato di estraneità, hanno continuato a restare sostanzialmente dei sudditi, come nelle antiche monarchie, ovvero sottoposti a una legge dello stato creata al di sopra e spesso contro la loro volontà, ergo oggetti e non soggetti partecipi alla creazione del loro diritto comunitario. Gli italiani restano estranei all’elaborazione legislativa proprio come sono estranei all’elaborazione della legge sulla loro espulsione i cosiddetti immigrati, che invece la cultura cattolica definisce, con una lieve ma significativa variante terminologica, migranti. E in questo scarto semantico, a seguirlo, si ricostruisce la frattura originaria che ha presieduto alla nascita dello stato italiano e ne ha reso complessa e travagliata la storia: la frattura tra istanza delle minoranze di origine illuminista, ma un illuminismo mediato dalla spinta romantica, che hanno creato lo stato italiano attraverso la rivoluzione risorgimentale, politicamente contro l’impero asburgico, ma socialmente contro il clericalismo Vaticano. Un clericalismo radicato e tenace che ha dolorosamente dilacerato e opposto spesso, – si pensi ai Manzoni, D’Azeglio, Ricasoli – proprio i migliori cattolici alla gerarchia vaticana, mentre simmetricamente la grande macchina ramificata e capillare intorno alle parrocchie della chiesa cattolica apostolica romana controriformista teneva separate dallo stato risorgimentale le plebi agricole e in parte le urbane, facendo dello stato risorgimentale uno stato minoritario. La chiesa cattolica in Italia si è ferocemente opposta, ricorrendo a tutte le forme di propaganda terrorista, alle grandi istanze laiche e antiche: il diritto al divorzio, e nuove: dottrine della scienza come il darwinismo nelle sue conseguenze tecniche quali l’uso delle staminali.

Alla frattura tra maggioranza cattolica e minoranze illuministe risorgimentali arroccate nello stato, a partire dalla fine del secolo XIX s’è giuntato un non meno radicale e devastante fattore di estraneità ulteriore: la spinta radicale antistatale e libertaria e marxista del primo socialismo. Un socialismo, nato come progetto di superamento dell’istituzione stato, radicalizzando la posizione sullo stato del liberalismo – si pensi all’affermazione perentoria: “Pagare le tasse è dare soldi al nemico.” di uno dei grandi teorici del liberalismo non solo italiano: Vilfredo Pareto. Questo socialismo, ha poi finito per coltivare nel XX secolo, dopo l’eclissi dell’ala libertaria, progetti rivoluzionari intorno a un metaprogetto di stato proletario, diventato suggestione maggioritaria tra gli operai e anche in alcune aree agricole ad alta intensità di sviluppo, ma così finendo per costruire in Italia, davanti allo stato, accanto all’estraneità cattolica, un’altra non meno radicale estraneità. Il fascismo: la sua origine, ha le proprie radici e l’humus generatore in queste due aggressive, tenaci macroaggregazioni culturali orientate in direzione di un uso tattico e opportunistico del parlamento, e quindi della legislazione. E, caduto il fascismo per sconfitta militare, il risultato pratico dell’azione culturale e politica convergente antilaica dei due grandi blocchi socialcattolico e socialmarxista è stato il prevalere di una logica di partito, il cui effetto ultimo e tragico è stato il ritorno al vecchio tipo di legislazione definita da una trascendenza, che fonda gli stati autoritari, e trasforma i cittadini in sudditi. Caduto il fascismo, in Italia soltanto formalmente, e per pressione degli eserciti Alleati, è stata restaurata la meccanica politica parlamentare liberale, mentre la sua gestione è caduta in mano alle forze antiliberali, ergo nel fondo tenacemente antiparlamentari, cattoliche e dal partito comunista, che hanno emarginato l’area lib-lab, liquidando il residuo laico risorgimentale resistenziale del Partito d’Azione e satellizzato sistematicamente l’area socialdemocratica.

Lo Stato della prima Repubblica italiano, a partire dalle amministrazioni locali, è stato gestito da forze decise a realizzare una statualità tecnocratica attraverso una saldatura totalitaria di politica e burocrazie, riducendo il mercato e la sua logica a forma vuota. Per la caduta del muro di Berlino, questo progetto si è trovato a una svolta critica per l’insorgere di reazioni interne e la mancanza di un favorevole quadro internazionale e soprattutto europeo. Da qui il collasso della prima Repubblica, ma le cui forze si sono riorganizzate, hanno fatto blocco attraverso un metabipolarismo la cui funzione non si è rivelata l’auspicata via al rinnovamento del paese attraverso lo snellimento dell’elefantiasi clientelare della politica, ma una strategia di copertura per la continuazione della degenerazione della repubblica parlamentare in una statualità di facciata fortemente demagogico-populista, e nelle strutture agenti tecnocratico-burocratica, ergo antilib-lab.
L’Italia della cosiddetta seconda Repubblica non è altro che l’espressione dei due antecedenti blocchi cattolico e comunista, costretti, per non precipitare in un marasma di tipo russo, ma senza i minerali e fonti energetiche della Russia, a patire una sorta di controllo da parte dell’Europa.

Lo stesso forte antagonismo conflittuale che ha caratterizzato la cosiddetta seconda repubblica: l’incapacità tecnica di centrodestra e centrosinistra di parlarsi, dialogare sui temi fondamentali, a partire da una condivisa legge elettorale, nasce dall’oscuro antecedente che agita aspirazioni neocattoliche e post e neocomuniste a una forma di stato invasiva e aggressiva, ma secondo progetti il cui ubi consistam è però ormai soltanto un dettaglio di centri locali di potere senza una vera capacità di disegno generale, e che quindi agiscono come macchine di disturbo della vita civile del paese là dove e quando esercitano la loro azione legislativa, come ha riconfermato l’ultimo delirio legislativo sui migranti-immigranti. La ragione prima di quest’azione legislativa devastante è, torniamo a ripeterlo, nella visione che la ispira, il cui centro motore non è oggi, come ieri non lo era per i comunisti e i cattolici, dentro la società civile, ma calata sulla società da uno spazio trascendente, che stabilisce le grandi linee direttrici, sulle quali il cittadino non ha voce, ma così trasformandolo in suddito sottomesso a una trascendenza, ovvero riducendo i cittadini nella stessa posizione dei migranti davanti alle leggi italiane. E che questa nefanda visione trascendente resti fortemente radicata non solo nella mentalità della classe politica, ma anche nel paese, lo ha descritto il delirio succeduto al delitto di Roma; un delirio legislativo fondato sul presupposto che lo stato italiano possa agire a suo arbitrio legislativo verso i migranti, in quanto non portatori di un loro diritto oggettivo in quanto persone umane: individui, e quindi inclusi in un diritto immemorabile dove al centro stanno le leggi dell’ospitalità, come appare tra l’altro dall’Odissea nel dialogo tra Ulisse e Poliremo. Qui diritto e natura, ordine fondato sulla legge e ordine fondato sulla forza, vengono a confronto dispiegandosi compiutamente attraverso il racconto nella coscienza del lettore. Ulisse chiede, in nome della forza trascendente degli dèi al gigante monocolo Polifemo, ovvero all’uomo naturale, di ricevere ospitalità, il monocolo invece ringrazia gli dèi del buon pasto che gli hanno mandato. Polifemo, ovvero l’uomo del crudo: della legge naturale della catena alimentare, sbrana subito un paio di quei migranti omerici, e mette in dispensa gli altri. Odisseo, portatore della cultura del cotto, reagisce ubriacando il monocolo, accecandolo e poi sfruttando, per sfuggirgli, il sentimento affettuoso del monocolo per le proprie pecore.

Il mito racconta per archetipi qualcosa che non è mai accaduto e che continua ad accadere. Monocoli accecati sono quei dementi che hanno picchiato, dopo il delitto Reggiani, in un posteggio di supermercato dei rumeni, e quelli che hanno assalito e devastato un negozio gestito da rumeni, proprio come un monocolo era l’uomo che ha stuprato, derubato e ucciso la povera vittima che ha scatenato la furia di tutti i monocoli nostrani, a discendere dai monocoli legislatori, ma non si possono fare leggi con un occhio solo, e la nostra classe politica si fonda, serve una visione monoculare dello stato italiano, convinta che solo imponendo la propria visione monoculare potrà realizzare un buon stato italiano.

Quanto una visione sostanzialmente paraislamica monoculare pervada, permei sotterraneamente tutta la visione politica italiana è scritto ricapitolativamente nei fatti delle tragiche giornate di Genova in occasione del G8, dove la frattura tra stato e cittadini, l’incapacità dello stato di essere depositario di una condivisa legge dell’ospitalità in ragione dell’assenza dalla coscienza dei cittadini di una legge dell’ospitalità condivisa, emerge e si raggruma intorno alla morte tragica di Carlo Giuliani, tragica perché banale e quindi assurda. Esiste la documentazione fotografica della sua morte. Giuliani procede brandendo un estintore, contro una camionetta della polizia, isolata e aggredita da manifestanti inferociti, uno dei quali appunto Giuliani, contro il quale un terrorizzato poliziotto spara, realizzando così quel processo tenacemente cercato dalla visione ciclopica dello stato: l’omicidio in ogni sua forma, tra la pena di morte e la guerra, fino a quella estrema: la civile, a cancellare l’idea di coabitazione tra cittadini, ovvero diverse identità, a creare l’uniformità sventurata dei sudditi, ben esemplifica oggi dai credenti meccani, tutti volti a un solo polo, imprintati da una sola fede.

Giuliani morto è l’oggetto necessario a dimostrare a un tempo la necessità della violenza statale e di occuparne e dirigerne le strutture violente al servizio di un altro progetto. Questa è la dinamica nata dalla frattura cattolica prima e poi dalla doppia frattura cattomarxista che ha determinato la contraddizione del conflitto per un’idea di stato, e quindi di diritto diversi da quello laico liberale, che preside alla storia infelice dell’Italia post risorgimentale, riesplosa clamorosamente a Genova nei giorni del G8, e che ritorna in forma attenuata intorno alla questione degli immigrati-migranti, tecnicamente forza lavoro senza la quale a Torino la Mirafiori avrebbe chiuso, a dare un’idea del fenomeno tradotto in termini economici. Oggi l’economia italiana gira sul lavoro dei migranti-immigrati, ergo il paese non può respingerli. E infatti la questione della legge sull’espulsione dibatte tutt’altro problema. Il problema di continuare a opporre all’idea di uno stato dei cittadini quella dello stato dei sudditi, la cui definizione incomincia dalla costruzione non di una legge dell’ospitalità, – della quale tutti a parole si dichiarano campioni, siano essi cattolici reazionari o reazionari rifondaroli o metaliberalberluschisti – ma incomincia dal trasferimento, entro le leggi dell’ospitalità, dei prefabbricati oggi tenuti a rottamare dalla burocrazia statale.

Un impiego dei prefabbricati realizzerebbe uno spazio di pratica concreta delle leggi dell’ospitalità, ma così minacciando tutta quella vasta congrega di interessi confliggenti che trova una provvisoria intesa soltanto intorno al progetto di usare il lavoro, ergo la vita degli immigrati come Polifemo voleva usare di Ulisse e compagni. Detto altrimenti, se vogliamo davvero cambiare le cose: non essere dei moderni antropofagi non dobbiamo fare nuove leggi, ma abrogarne almeno il 90%, per poter, fuori dalle farabuttesche ragne legislative, praticare anche noi le leggi dell’ospitalità secondo costume europeo, per il quale le leggi dell’ospitalità si fondano sul principio scambista della reciprocità, intorno a una legge condivisa. O la condivisione scambista o la regressione verso forme di antropofagia nelle forme proprie del nostro tempo, come appunto accadde nell’Italia fascista incominciata e terminata nel grande pasto antropofagico della guerra civile. Questo l’aut aut vero che ci sta ancora davanti.

Piero Flecchia

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