Una nota sull’economia criminale della Prima Repubblica, in margine al rapimento Emanuela Orlandi
Per Augusto Del Noce (1910-89), sodo filosofo neotomista, l’origine del fascismo è nell’Attualismo, la sintesi filosofica, esposta nelle sue linee essenziali, da Giovanni Gentile tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, senza la quale, per il Del Noce, Mussolini non avrebbe saputo produrre quella sorta di rivoluzione plebea antiborghese che fu lo stato corporativo.
Del Noce era pensatore profondo e attento, ma anche impegnato a sostenere la necessità per l’Italia di un ruolo centrale della tradizione cattolica, disgiungendola dal Fascismo.
Un ruolo che riceve un’inquietante illuminazione da un episodio apparentemente marginale, ma dal quale dovrà partire ogni futuro serio studio storico sulla decomposizione della Prima Repubblica: la sepoltura nella chiesa romana di sant’Apollinare del delinquente per nulla pentito noto come ‘Renatino’, uno dei grandi capi della banda della Magliana.
La questione è clamorosamente affiorata nel sistema dell’informazione intorno alla nuova spiegazione circa il rapimento di Emanuela Orlandi, l’adolescente figlia di un funzionario del Vaticano, la cui scomparsa era stata finora legata alla Guerra Fredda. Nella nuova versione la ‘Guerra Fredda’ resta sempre, ma sullo sfondo, come causa remota. Stando al giudice istruttore che ha indagato sulla galassia ‘Banda della Magliana’ è perfettamente credibile che questi delinquenti rapissero, su commissione della mafia, la povera ragazza, per dare un avviso allo IOR, chiamarlo a coprire le perdite degli investimenti mafiosi nell’Ambrosiano, il cui fallimento sarebbe da imputare agli investimenti vaticani in Polonia nella lotta anticomunista.
In quest’interpretazione, non monsignor Marcinkus sarebbe la persona che diede l’ordine di rapire l’adolescente, ma la vittima del ricatto. Come siano andate le cose forse non lo sapremo mai, ma questa collusione scoperta di capitali criminali e finanza vaticana, riciclatrice di soldi della droga e dei sequestri di persona, non è per nulla così campata in aria e permette di spiegare molti tratti locali altrimenti incomprensibili del crepuscolo della Prima Repubblica, a partire dal singolare pseudonimo ‘Ghino di Tacco’ preso da Craxi in alcuni suoi interventi a commento della politica italiana dalle colonne proprio dell’Avanti.
Bandito attivo nella maremma, di Ghino abbiamo memoria atttraverso una novella del Boccacio: rapisce un cardinale gottoso e lo guarisce, durante il rapimento, somministradogli un cibo spartano. Mi ero sempre chiesto per quale ragione quello psudonimo craxiano, ma che il quadro emerso oggi intorno al rapimento Orlandi spiega infine con perfetta coerenza.
Craxi aveva certamente notizie di prima mano dei traffici tra finanza vaticana, mafia e industria dei rapimenti, e con quello pseudonimo a quei traffici alludeva tra gli allora ‘color che sanno le segrete cose’, e soprattutto alla necessità di una immediata cura dimagrante della chiesa, come poi il suo concordato almeno in parte si propose.
Per Craxi bisognava spezzare il ciclo perverso tra finanza nera e criminalità, perché stava distruggendo il Paese, ovvero ne stava devastando il tessunto produttivo, soprattutto nell’area dell’allora centrale triangolo industriale. E quanto profonda questa devastazione nulla lo dice quanto la vicenda familiare che ha fatto di Carla Bruni Tedeschi la signora Sarkozy.
Negli anni del rapimento Orlandi mi accadeva spesso di incontrarmi con un gruppo di amici nel negozio di pianoforti Chiappo, in Torino, nella storica piazza Vittorio. Un negozio di antica tradizione, dove mi accadeva di incontrare, di primo pomeriggio, impegnate selvaggiamente a pestare sui tasti, due magnifiche givanottone, una bella signora e un non meno elegante signore di mezza età. Era la famiglia dei proprietari della CEAT, allora con la Pirelli la più grande fabbrica di pneumatici italiani, e tra i leader mondiali nel settore dei cavi. La sede della CEAT non era lontana, e le tre donne venivano, nell’intervallo del pranzo, a fare musica con il padre e marito, noto in città non meno che per la proprietà della CEAT – dopo la FIAT la maggore industria, con oltre allora 30.000 dipendenti e stabilimenti in tutto il mondo – per essere un appassionato musicologo, compositore, e generoso mecenate: era stato sovrintendente del teatro lirico ‘Regio’ ovviamente senza spese per l’Ente, e protagonista una vasta attività musicale con echi internazionali.
Il titolare del negozio di pianoforti mi disse che purtroppo stava per perdere quei ricchi e preziosi suoi clienti, a causa della paura dei rapimenti. Bruni Tedeschi stava trattando per cedere la CEAT a un gruppo inglese, e ritirarsi in Francia.
Perché proprio in Francia?
La spiegazione che il dottor Chiappo mi diede fu approfondita ed esauriente: anche in Francia la malavita aveva tentato, e prima che in Italia, la strada dei rapimenti, per i criminali industria di vasti e facili profitti, ma a una condizione: che lo Stato permettesse la mediazione tra la famiglia della vittima e i criminali. In Francia la malavita sapeva che chi andava a ritirare il riscatto era assassinato a freddo dalla polizia: che aveva l’ordine di impedire ogni transazione economica tra la famiglia di un rapito e i rapitori. In Italia ormai le cose erano a un punto tale che, nei grandi rapimenti, anche la fase della consegna del denaro era saltata. Si stipulavano polizze assicurative e le compagnie pagavano estero su estero, in quanto i rapitori godevano di protezioni troppo in alto.
E così i Tedeschi lasciarono l’Italia, che ne pagò il prezzo: la scomparsa della CEAT. Innumeri furono le medie aziende del triangolo industriale che si trasferirono o nell’area francese delle Alpi o nell’area catalana, avviando quel processo di deindustrializzazione che di fatto era la conseguenza di una politica in alto loco, e che non poteva che condurre la Prima Repubblica a quel disastro che Craxi vedeva chiaramente venire, e ritenne di poter scongiurare quando crollò il bolscevismo, per cui cadeva la logica perversa alla base del cattocomunismo: la logica del tanto peggio tanto meglio, che vedeva nella rovina del tessuto economico nazionale, dalla sponda comunista, il passo necessario verso la conquista del potere. Ma la congrega era ancora così forte da costruire una sua linea Piave, un cui caposaldo estremo è il sarcofago del capobanda della Magliana in sant’Apollinare e l’altro nella dottrina delle origini gentiliane del fascismo di Augusto Del Noce.
Ognuno si fabbrica le opportune pezze di nobiltà secondo sua scienza e conoscenza. Al nostro poco di scienza appare chiaro che il fascismo sta a Gentile poco più poco meno che Marx al bolscevismo, mentre una molto più profonda corrispondenza, pur nelle profonde differenze formali, tiene l’esilio di Craxi in Tunisia e quello dei Bruni Tedeschi in Francia. E soprattutto l’origine dell’economia della corruzione, intorno alle imprese di Stato, dov’è la causa prima di ‘tangentopoli’, in quanta parte non nasce e si articola, intorno all’aggressione criminale mafiosa al sistema economico – quanto meno nell’indifferenza degli alti apparati statali – che nell’industria dei rapimeniti ebbe il suo elemento centrale?
Piero Flecchia